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IL CORVO: da James O'Barr al film con Brandon Lee

Creato il 02 gennaio 2015 da Ifilms
Dettagli Scritto da Lorenzo Bianchi Categoria principale: Rubriche Categoria: Dal libro al film Pubblicato: 02 Gennaio 2015 “Non può piovere per sempre” Chi non conosce questa frase? Eppure, come spesso accade, le citazioni perdono le proprie origini per rimanere indelebili solo nella loro forma. Ed è un peccato, perché opere toccanti come Il Corvo rischiano di essere dimenticate. Era infatti il 1994 quando l’allora esordiente Alex Proyas, che a curriculum portava con sé la regia di diversi videoclip musicali, dava vita sul grande schermo alla graphic novel di James O’Barr, consacrandola definitivamente. Come spesso accade, però, Proyas prende solo spunto dall’opera originale, dando vita ad un progetto differente, a tratti più coerente, caricandolo ulteriormente di una componente romantica e a tratti commovente, per un film che, sì, può essere visto come un film di supereroi – di anti eroi – con tinte dark, thriller (per qualcuno anche horror), ma che, in realtà, è una storia d’amore. Tra le più belle mai raccontate. Eric Draven (Brandon Lee), risvegliato dal picchiettio di un corvo sulla sua lapide, torna in vita la notte di Halloween, per vendicare la morte della sua amata Shelley, uccisa un anno prima da una banda di malviventi. La trama, a grandi linee è simile, ma Proyas decide di tagliare dei personaggi (Skull Cowboy, la guida di Eric nel fumetto), modificarne altri (Sarah, Albrecht), ampliare alcune sequenze, il tutto per rendere coerente il suo progetto di una trama lineare. Ad esempio, il fumetto parte in medias res, con Eric (Draven è stato aggiunto da Proyas per l’assonanza con “The Raven”) che immediatamente uccide a sangue freddo Tin Tin, reo di aver tolto la vita a Shelley, dopo averla stuprata. Anche nel film è lui la prima vittima, con la differenza che nella pellicola Eric uccide i malviventi con le loro stesse armi, in una sorta di legge del taglione ad ampio raggio, ed ecco che allora usa i coltelli con Tin Tin, le siringhe di eroina con Fun Boy, l’esplosivo con T-Bird e gettando Skank dalla finestra. Vendetta come purificazione dell’anima, per rendere giustizia all’amata Shelley, prematuramente scomparsa. Anche le circostanze della morte dei due ragazzi sono differenti: nella graphic novel vengono uccisi in un vialetto, appena scesi dalla loro automobile, quasi per sfizio, mentre nella pellicola i malviventi si recano appositamente nella loro abitazione per una questione di mafia, un regolamento di conti nei confronti di chi voleva portare giustizia in un quartiere malfamato. In entrambi i casi, l’accaduto è raccontato tramite flashback, brevi, frammentati, incisivi. Per quanto riguarda lo stile scelto da Proyas, la pioggia battente che accompagna costantemente ogni sequenza dona ritmo alla pellicola, è un sottofondo che diventa quasi personaggio, assieme a una colonna sonora metal che rende evidente il trascorso da regista di videoclip, che alla sua prima opera riesce a raggiungere comunque risultati di buon livello. “Sei quello che ha ammazzato Tin Tin?” “Era già in una fossa. È morto un anno fa, nel momento in cui l’ha toccata. Sono tutti morti. Solo che ancora non lo sanno.” Un dialogo tra Eric Draven e il poliziotto Albrecht (Ernie Hudson), una delle poche luci di speranza in una città corrotta. Eric Draven, con il suo viso truccato da Pierrot, una maschera di cerone per coprire un anima dilaniata, scissa tra l’amore estremo verso i suoi cari (Shelley, la piccola Sarah) e l’odio profondo e spietato verso chi ha tolto la vita a lui e alla sua amata. In realtà, l’obiettivo di questo angelo dark è proprio fare giustizia per Shelley, di lui non gli importa niente, non nomina mai la sua morte, ma solo quella della ragazza. Interessantissima la scelta di James O’Barr, che alterna un tratto a prevalenza nera, spigoloso, rigido e cupo in tutta l’opera, salvo nei flashback dei bei ricordi passati con Shelley, dove invece è dominante il bianco, con un tratto molto più morbido e delicato. Evidente contrapposizione e perfetta metafora dell’anima di Eric, un antieroe oscuro, cui si dice si sia molto ispirato Heath Ledger per il suo Joker e che richiama anche alla memoria la maschera di V in V per Vendetta, giusto per citare due opere di livello assoluto. Per il suo ruolo venne scelto Brandon Lee, cui è dedicato il film dopo la sua tragica scomparsa, a pochi giorni dal termine delle riprese, a causa di un colpo di pistola che si credeva caricata a salve. Disattenzione? Fatalità? Mano della mafia cinese? Non è dato saperlo, ma le strane circostanze della morte di suo padre, il celeberrimo Bruce Lee, qualche dubbio lo lasciano. Canto del cigno per Brandon Lee, dunque, che come saluto regala un’interpretazione ottima, che pare abbia in sé una sequenza totalmente improvvisata, assieme a Ernie Hudson, in cui spicca la frase «È strano, sai le piccole cose per Shelley contavano così tanto. Io le giudicavo insignificanti. Ma credimi, niente è insignificante». Rispetto al fumetto, inoltre, il rapporto con Sarah (che nell’opera di O’Barr si chiama Sherry) è molto più intenso, quasi paternalistico, uno dei punti più emotivamente coinvolgenti dell’intera opera, che mostrano il lato dolce di questo spietato assassino: su tutte, resta incisiva la sequenza in cui, di fronte ad uno specchio, Eric salva la madre della piccola, portandole redenzione e facendola poi riconciliare con lei. «Madre è l’altro nome di Dio sulle labbra e sui cuori di tutti i nostri figli». L’eroina esce dalle vene della donna, ora salva per sempre, grazie a questo angelo fuori dal comune. Eros e thanatos, salvezza per Sarah e sua madre Darla, giudice e giustiziere per gli assassini di Shelley. “All’improvviso sentii un rumore, come se qualcuno stesse bussando gentilmente alla porta del mio negozio”(Eric Draven, alla porta del banco dei pegni di Gideon) Per chi apprezza e conosce Edgar Allan Poe, sarà facile riconoscere il verso “Sentii all’improvviso un picchiettio, come un bussar gentile, alla mia porta”, tratta da Il Corvo (1845), uno dei suoi componimenti più celebri. Inserita nella pellicola, e non da O’Barr che invece nella usa opera cita Rimbaud, la frase introduce una sequenza significativa, che porta alle origini del fumetto e ad una delle riflessioni minori, ma comunque importanti, dell’opera. Gideon, scorbutico proprietario del banco dei pegni, è infatti l’acquirente delle merci rubate dalla banda di Top Dollar, compreso l’anello di fidanzamento di Shelley. Pare infatti che una delle fonti d’ispirazione di O’Barr sia stata proprio la storia di due fidanzati uccisi per un anello nella città di Detroit. «Ognuno di questi anelli è una vita interrotta, una vita che tu hai contribuito a stroncare». Riflessione quanto mai attuale, quella di Proyas. Il regista, inoltre, dona ancor più importanza al corvo che accompagna Eric ovunque egli vada: il corvo è la sua forza, il corvo è il suo sguardo sul mondo, la sua prospettiva, il suo tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti, reso con splendide soggettive e scelte registiche pensate ad hoc. Con Il Corvo, Alex Proyas ha regalato un film memorabile, che forse non è universalmente riconosciuto tra i “grandi”, ma che non lascia indifferenti, tocca il cuore, mandando un messaggio d’amore come sentimento che travalica la morte, un sentimento che non può essere fermato. “Se le persone che amiamo ci vengono portate vie, perché continuino a vivere, non dobbiamo mai smettere di amarle. Le case bruciano, le persone muoiono, ma il vero amore è per sempre.”

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