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Il drone biodegradabile: una “non notizia” diventata la news perfetta

Creato il 27 novembre 2014 da Valtercirillo

Il drone biodegradabile: una “non notizia” diventata la news perfetta

La notizia del drone biodegradabile ha fatto in pochi giorni il giro d'Italia. Arricchendo di un nuovo trofeo il palmares dell'informazione spettacolo, ma perdendo l'occasione per un minimo di approfondimento su cose importanti per un Paese industrializzato, come sono le tecnologie dei materiali.

Di cosa si tratti è noto. Intorno al 20 novembre l'Ansa e qualche post sui social si accorgono di una notizia (probabilmente tratta da NewScientist del 12 novembre) che parla di un bio-drone, realizzato con materiale biodegradabile, presentato a fine ottobre all' iGEM 2014, competizione internazionale che premia progetti di macchine "geneticamente ingegnerizzate" sviluppate da giovanissimi ricercatori. Nel giro di pochi giorni la notizia si diffonde in modo virale su quasi tutti i media che parlano di ambiente e nuove tecnologie.

Il drone in questione presenta sicuramente diversi aspetti d'interesse, ma non più della maggior parte degli altri progetti presentati all'iGEM 2014. Infatti si è visto assegnare una "medaglia d'oro" che premia genericamente il merito (è stata data a 99 dei team in gara), ma nessuno dei 18 veri e propri premi cui poteva aspirare.
In pratica, quello che secondo l'Ansa è un drone biocompatibile creato da una geniale equipe di studenti americani, in grado di arrivare dall'alto a sorvegliare la natura senza creare alcun tipo di danni all'ecosistema, nella realtà è poco più di un giocattolo, di nessun utilizzo pratico a parte la sperimentazione di laboratorio.

Come il drone biodegradabile diventa la notizia perfetta

Non è difficile capire perché questa non notizia sia diventata una notizia virale. Messa così, infatti, è una sorta di news perfetta per i social media: c'è la nuova tecnologia ambientale semi miracolosa (il materiale biodegradabile al 100% prodotto dal micelio fungino), c'è la tecnologia fantascientifica alla mission impossible (il drone, l'oggetto misterioso che arriva silenzioso, tutto controlla, tutto svela e poi letteralmente sparisce nel nulla, senza lasciare tracce di sé) e c'è anche il genio solitario del gruppo di giovani (che sono genericamente presentati come 15 studenti provenienti da prestigiose università, lasciando immaginare che forse si incontrano in qualche scantinato, e non che lavorano nei laboratori delle rispettive università - Brown University, Spelman College e Stanford University - con l'assistenza di fior di professori e la sponsorizzazione della Nasa).

Nella realtà non è vero che il drone è biodegradabile al 100% (non lo sono le quattro eliche, il sistema di controllo e la batteria), non è adatto al rilevamento di dati (mancano sensori e apparati vari) e anche il "rivoluzionario" materiale derivato dal micelio e utilizzato per la struttura portante non è affatto una novità (è stato commissionato alla Ecovative, una azienda specializzata che dal 2008 sviluppa nuovi materiali derivati dal micelio fungino e dal 2010 produce il materiale in questione).

Tuttavia l'idea del gruppo di studenti è sicuramente buona, ben oltre l'interesse per il settore dei droni, che comunque è di per sé un mercato di sicuro sviluppo.
Anche dal punto di vista informativo sarebbe stata un'ottima occasione per una vera news di taglio scientifico e di notevole interesse sia ambientale, sia tecnologico. A volerlo fare.

Di primo acchito ci vengono in mentre tre possibili spunti che meritavano di essere approfonditi, invece di buttarla solo sulla spettacolarizzazione.

Il primo spunto è dato dal concorso iGEM 2014. Sarebbero bastati pochi minuti di navigazione in Internet per scoprire che si tratta di una manifestazione del tutto sconosciuta in Italia, ma molto seria e di successo, alla cui ultima edizione hanno partecipato 247 team di ricerca. Ecco: a nostro avviso sarebbe stato interessante informare e commentare il fatto che 82 di questi giovani team sono arrivati dall'Asia, 14 dall'America Latina, 84 dal Nord America e 67 dall'Europa. Ma nemmeno uno dall'Italia.

Il secondo spunto potrebbe derivare direttamente dai progetti presentati: se quello così straordinario del drone biodegradabile non ha meritato alcuna particolare menzione, che razza di progetti saranno mai quelli che hanno vinto?
È evidente che qui si va sul difficile, perché i termini biotecnologici a volte si fa fatica non tanto a capirli, ma anche solo a leggerli. Il che non è molto compatibile con le odierne esigenze degli organi di informazione.
Tuttavia sarebbe stato interessante notare che uno dei due premi assoluti (il Grand Prize Winner andato al team della Davis University of California) è stato assegnato ad una nuova tecnica (definita "veloce, poco costosa e precisa") per analizzare la qualità dell'olio di oliva. Che è cosa di sicuro interesse negli Stati Uniti (dove, informano i giovani ricercatori della Davis, "recenti studi hanno verificato che il 69% dell'olio extravergine venduto nei supermercati è alterato, senza che i consumatori abbiano a disposizione alcun metodo di verifica economico"), ma che dovrebbe interessare anche l'Italia, che di extravergine di oliva è il secondo produttore al mondo.
L'altro Grand Prize Winner è andato al team dell'università tedesca di Heidelberg che ha sviluppato un metodo (denominato The ring of fire) per la produzione di reti di proteine sintetiche particolarmente stabili e resistenti anche alle alte temperature.

Il terzo spunto, infine, stava nella stessa news del drone biodegradabile. La cui realizzazione ha richiesto sforzi e inventiva che effettivamente meritavano di essere segnalati al di là del gioco di parole sul drone e sul biodegradabile. E per almeno quattro diversi motivi, tra i quali ci limitiamo a segnalare i due che a noi sembrano più significativi: cioè il percorso innovativo seguito dai giovani ricercatori per rendere impermeabile la struttura cellulosica in micelio fungino (che se si bagna perde di resistenza fino a destrutturarsi) e i tentativi di realizzare un circuito elettronico a sua volta biodegradabile.

Anche per questo secondo obiettivo si è ricorsi all'aiuto di una società specializzata, la Agic Inc, che ha realizzato circuiti stampati in nanoparticelle di argento. Ma davvero notevole è l'idea (una novità assoluta, sembra) di impermeabilizzare il tutto sintetizzando un enzima contenuto nella saliva di un particolare tipo di vespa, la quale realizza il proprio nido in polpa di cellulosa (che è come dire: di carta) ma perfettamente impermeabile.

[ Valter Cirillo]

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