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Il futuro del gasdotto transafghano

Creato il 06 luglio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Il futuro del gasdotto transafghano

Lo scorso 23 maggio, Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India hanno siglato un accordo per la costruzione del gasdotto trans-afgano, che dovrebbe pompare gas naturale dal Turkmenistan all’Asia meridionale. Al momento sembra che i partners coinvolti nel progetto, la cui fattibilità ha provocato dibattiti di varia intensità sin dai primi Anni ‘90, siano finalmente riusciti a chiarire questioni chiave quali il punto di sbocco dell’impianto e i futuri acquirenti del gas trasportato.

Il gasdotto transafgano, con una lunghezza pari a 1,700 km, ha una capacità attualmente stimata intorno ai 33 miliardi di metri cubi di gas all’anno (mmc/a), i cui beneficiari principali saranno India e Pakistan, ciascuno dei quali assorbirà circa 14 mmc/a. I restanti 5 mmc dovrebbero invece andare all’Afghanistan. La rotta passerà attraverso le città di Herat e Kandahar in Afghanistan, Quetta e Multan in Pakistan, per poi raggiungere la città indiana di Fazilka. Secondo le stime dell’India, il progetto avrà un costo complessivo di 12 miliardi di dollari e aspirerà le risorse necessarie dal pozzo di gas di Galkynysh in Turkemenistan, attualmente ritenuto dalle autorità di Ashgabat il più grande al mondo.

Percorso del TAPI (gasdotto trans-afghano)

L’idea originaria della costruzione di un gasdotto che connettesse la regione del Caspio all’Afghanistan risale all’era sovietica. Dopo il crollo dell’URSS, gli Stati Uniti hanno riproposto il progetto con l’intento di riconfigurare la rete di trasporto della regione, in modo da spingere la Russia in una direzione, e l’Asia centrale e il Caucaso nell’altra. Nell’ottobre del 1995 venne firmato il contratto di costruzione dalla compagnia Unocal, con sede negli USA, dalla saudita Delta Oil & co., e dal governo del Turkmenistan. Nel 1997 fu creato un consorzio internazionale, ma il progetto non è mai decollato a causa del complicarsi della situazione in Afghanistan. Sebbene i Talebani sostenessero il progetto, l’invasione del Paese, avvenuta nel 2001 per mano della coalizione occidentale, ne ha determinato la sospensione, lasciando poche speranze per la sua realizzazione futura.

Il progetto del gasdotto transafghano è tornato alla ribalta alla fine del primo decennio del 2000, quando Ashgabat ha iniziato a diversificare le sue rotte di esportazione del gas e gli Usa hanno avvertito il bisogno di offrire all’India e al Pakistan fattibili alternative all’importazione di gas dall’Iran. Inoltre, nell’aprile del 2009 Gazprom, un tempo principale acquirente del gas turkmeno, ha sospeso gli scambi con Ashgabat in seguito ad un acceso confronto per un’esplosione che ha distrutto una sezione del gasdotto Central Asia – Center. L’incidente ha messo a nudo la crescente incrinatura fra Russia e Turkmenistan nella sfera energetica. Col calo dei prezzi del gas, causato dalla crisi globale, alla Russia non è più convenuto acquistare gas alle vecchie tariffe. La sua richiesta di un abbassamento dei prezzi è stata però fermamente rifiutata dal Turkmenistan. A causa della disputa, il flusso di gas tra i due Paesi è ripreso soltanto a gennaio 2010, con una diminuzione dei volumi corrispondente a circa tre quarti – dai 42,8 mmc del 2008, ai 10,5 mmc del 2010, e nessun segnale che faccia presagire un eventuale aumento nel volume di importazioni future da parte di Gazprom. Secondo alcune stime, la contrazione delle esportazioni verso la Russia ha avuto per il Turkmenistan un costo annuale equivalente ad un quarto del suo Pil.

Il gasdotto Central Asia – Center

Per far fronte al problema, il Turkmenistan ha dovuto trovare strade alternative per l’esportazione di gas. Il primo dicembre 2009 è stata inaugurata la prima fase del gasdotto transcontinentale Turkmenistan-Uzbekistan-Cina, con una capacità annuale di circa 40 mmc. A novembre 2011 si è deciso di aggiungere altri 25 mmc alla portata, dei quali 10 forniti dall’Uzbekistan e tra 12 e 15 dal Kazakistan. Un nuovo gasdotto, che si estende dai giacimenti di Dauletabad a Hangeran in Iran passando per Saraghs, è stato inaugurato a gennaio 2010, con lo scopo di incrementare le esportazioni di gas naturale dirette in Iran da 8 a 20 mmc/a. È importante notare che i ricavi generati dalle forniture di gas alla Cina e all’Iran non compensano però le perdite subite dal Turkmenistan in seguito alla flessione del commercio con la Russia, in quanto sia Pechino che Teheran pagano attualmente prezzi molto più bassi di quelli pagati in precedenza da Mosca.

Nonostante le esportazioni di gas in direzione Nord, Est e Sud, il Turkmenistan non ha mai ignorato le rotte occidentali e sud-orientali (Afghanistan). Nel corso delle ultime settimane, la compagnia ungherese MOL e la tedesca RWE, due importantissimi partner nel gasdotto Nabucco - destinato a rifornire l’Europa con gas turkmeno – si sono ritirate dal progetto, citando come motivo della loro scelta le complessità legali derivanti dalla costruzione di un gasdotto sul fondo di un mare chiuso come il Caspio. Con prospettive sempre più negative per il

Ipotetici tragitti del Nabucco
Nabucco, il Turkmenistan ha dovuto concentrarsi sul progetto del gasdotto transafghano. In realtà, i primi tentativi di resuscitarlo risalgono a prima che le relazioni di Ashgabat con Mosca si inasprissero. A giugno 2008, in occasione della prima riunione della Commissione intergovernativa turkmeno-afghana per la cooperazione tecnica ed economica, tenutasi in Turkmenistan, Ashgabat ha colto l’occasione per reiterare il suo impegno nel progetto trans-afghano. Nella stessa occasione all’Afghanistan sono stati offerti incentivi sotto forma di sconti sul prezzo del gas naturale e dell’energia elettrica, nonché assistenza nell’esplorazione e nello sviluppo delle riserve di petrolio e gas presenti in prossimità del confine con il paese.

A settembre 2010 i titolari dei ministeri turkmeni, afgani, pakistani ed indiani incaricati hanno firmato un accordo quadro per la costruzione del gasdotto trans-afgano, che non ha però stabilito nessuna scadenza specifica, né annunciato le fonti di finanziamento del progetto o le future tariffe di transito. In quel momento, la domanda se la russa Gazprom partecipasse all’iniziativa ha inevitabilmente destato molto interesse. Ad ottobre, Igor Sechin, responsabile dei progetti energetici per il governo russo, ha ammesso che Gazprom stava discutendo con Turkmengaz circa un suo possibile ruolo nel progetto del gasdotto trans-afgano, aggiungendo però che nessuna decisione era stata ancora presa circa l’entità del ruolo. Le relazioni tra Russia e Turkmenistan non sono mai veramente tornate alla normalità dopo l’incidente del gasdotto Central Asia-Center, e il commento rilasciato dal Ministero degli Esteri turkmeno spiegava essenzialmente che nessun accordo sulla faccenda era stato raggiunto. La possibilità che la Russia possa ancora prendere parte al progetto, acquistando azioni oppure agendo come fornitore, continua ad essere discussa sin da allora (a dicembre 2011 persino a livello presidenziale a Mosca) senza però risvolti pratici in vista.

Le trattative sulla costruzione del gasdotto trans-afgano si sono intensificate verso la fine del 2011. A novembre, i presidenti di Turkmenistan e Pakistan Gurbanguly Berdimuhamedov e Asif Ali Zardari si sono incontrati ad Islamabad per sottoscrivere una dichiarazione che riconfermava il progetto. Il 17 maggio 2012, la compagnia energetica indiana GAIL ha firmato, con il supporto del governo indiano, l’accordo per il gasdotto trans-afgano con il Turkmenistan. Il Dipartimento di Stato americano ha espresso il suo appoggio per il progetto, con l’evidente obiettivo di rendere impraticabile la rotta alternativa dall’Iran all’India attraverso il Pakistan.

Risulta chiaro che l’ostacolo maggiore sulla via del progetto trans-afgano è la sicurezza. La maggior parte del gasdotto attraverserà infatti i territori afgani e pakistani che sono, nella migliore delle ipotesi, scarsamente controllati dai rispettivi governi. Le diverse soluzioni vagliate per affrontare il problema includono bizzarre proposte quali, ad esempio, pagare un dazio alle milizie delle tribù locali per mantenere la sicurezza delle infrastrutture. Bisogna inoltre tenere in considerazione una possibile escalation dei rischi ai quali andrà incontro il gasdotto una volta che, nel 2014, il ritiro degli Usa dall’Afghanistan sarà completo.

(Traduzione dall’inglese di Stefano Salustri)


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