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Il generale custer: eroe o assassino?

Da Postpopuli @PostPopuli

di Emiliano Morozzi

Chi era il generale Custer? Un eroe che combattè valorosamente contro gli indiani o un comandante assetato di gloria ed incapace, che aveva costruito la propria fama sulla pelle di indiani inermi come era successo sul fiume Washita? La risposta ce l’ha data la storia, ma per arrivarci è bene cominciare dal principio, ovvero da quando il giovane George Armstrong Custer, ragazzo indisciplinato e testardo, ottiene con una raccomandazione l’ingresso alla prestigiosa accademia militare di West Point. Il giovane ha un carattere difficile, e si salva dall’espulsione solamente grazie all’intercessione del suo protettore, il deputato liberale John Bingham: la disciplina e la voglia di studiare non sono il suo forte, ma compensa queste mancanze eccellendo in materie pratiche come il tiro, la scherma, l’equitazione.

Allo scoppio della Guerra Civile, Custer fu arruolato nel 2° Cavalleria col grado di sottotenente: non era un geniale stratega, si limitava a combattere secondo gli schemi imparati a West Point, ma lo faceva con un’audacia e uno sprezzo del pericolo non comuni tra i comandanti nordisti dell’epoca. La fama di Custer fu costruita con migliaia di cadaveri: quelli dei suoi soldati, che pagavano l’audacia del loro generale con la morte. A Gettysburg, nella battaglia del Wilderness, ad Appomattox, il generale Custer sfidò il nemico attaccandolo frontalmente anche in condizioni di nettà inferiorità numerica: la fortuna aiutò l’avventato generale, ma i reparti sotto il suo comando si ritrovarono con gli effettivi decimati.

Finita la guerra, Custer, che aveva ottenuto il grado di generale in via provvisoria, accarezzò l’idea di trasferirsi in Messico per aiutare l’imperatore Massimiliano a combattere i guerriglieri di Juarez, ma cambiò idea quando il generale Sheridan gli affidò il comando di un nuovo reggimento, che poi sarebbe passato tragicamente alla storia, il 7° Cavalleria. Questo nuovo reparto era in gran parte composto da emigranti, male equipaggiati, male addestrati e scarsamente retribuiti, e Custer lo diresse con pugno di ferro, arrivando ad applicare persino la pena di morte in caso di diserzione, durante la campagna contro gli indiani Cheyenne (spedizione che servì tra l’altro a riaccendere una guerra indiana contro tribù che vivevano in pace con i bianchi). Custer finì di fronte alla corte marziale, ma la fama acquisita e le amicizie altolocate gli permisero di essere reintegrato nell’esercito. Il generale Custer si distinse contro i Cheyenne per l’episodio del fiume Washita: i giornali dell’epoca dipinsero lo scontro come un’epica battaglia del 7° Cavalleria contro i bellicosi indiani Cheyenne, ma in realtà lo scontro fu un vero e proprio massacro contro indiani colti nel sonno. L’attacco avvenne all’alba (e da questo particolare deriva il soprannome indiano “figlio della stella del mattino”), cogliendo gli indiani ancora assopiti nelle loro tende, e la carica del 7° Cavalleria non risparmiò nessuno, neppure le donne, i vecchi e i bambini, che furono uccisi senza pietà e mutilati, lo stesso trattamento che subirono gli uccisori qualche anno dopo a Little Bighorn.

IL GENERALE CUSTER: EROE O ASSASSINO?

Cavallo Pazzo, colui che sconfisse Custer (xoom.virgilio.it)

Divenuto agli occhi dell’opinione pubblica quasi un eroe, Custer finì agli arresti quando ebbe il coraggio di denunciare gli intrallazzi interni al Ministero della Guerra, ma rientrò al comando di una parte del 7° Cavalleria quando il governo Usa decise di dichiarare guerra a Toro Seduto e alle altre tribù indiane che volevano difendere il territorio sacro delle “Colline Nere” dalla colonizzazione bianca. Assetato di gloria e alla ricerca di una vittoria schiacciante sugli indiani che lo avrebbe potuto proiettare sulla poltrona presidenziale, il generale Custer disobbedì agli ordini ricevuti e costrinse il proprio reparto ad una marcia a tappe forzate dopo avere trovato le tracce dell’accampamento di Toro Seduto. Quello che Custer e gli altri generali ignoravano era il fatto che non dovevano combattere contro la banda di Toro Seduto, ma contro tutte le tribù Sioux della regione, riunitesi per vivere un’ultima volta come i loro avi, cacciando il bisonte e dedicandosi a cerimonie sacre. Non c’era soltanto Toro Seduto nella valle del Little Bighorn, ma anche Cavallo Pazzo, Coda Macchiata, Gall, Due Lune con i suoi guerrieri Cheyenne, Coda Macchiata e i suoi Brulè, i Piedi Neri, gli Assiniboin, i Sans-arcs, gli Arapaho. Gli indiani, quando le condizioni non erano favorevoli, cercavano di evitare lo scontro aperto, spostando in continuazione il loro campo, e questo Custer lo sapeva bene, dal momento che anche lui aveva dato qualche anno prima la caccia per mesi senza esito ai Cheyenne. Timoroso quindi di vedersi sfuggire sotto il naso i Sioux, diede loro la caccia, stremando i propri cavalli e i propri soldati e comportandosi con un’avventatezza che in questo caso gli fu fatale. La fortuna stavolta voltò le spalle allo sconsiderato comandante, che ci mise del suo per portare il suo reparto alla completa disfatta: divise in quattro parti le proprie forze, rifiutò l’appoggio di alcuni squadroni del 2° Cavalleria appoggiati da una coppia di mitragliatrici Gatling, che sarebbero servite contro le cariche dei cavalieri Sioux, impartì ordini contraddittori alle proprie truppe e quando si rese conto che nel campo avversario c’erano ben più di quei 500 guerrieri previsti (erano almeno il triplo) decise lo stesso di attaccare con le proprie forze divise e impegnate a tentare di circondare un accampamento molto vasto.

Il vero stratega di quella battaglia fu Cavallo Pazzo, che concentrò le proprie forze contro gli assalti sparpagliati del 7° Cavalleria, respingendoli e stringendo in un cerchio mortale le truppe capitanate da Custer. I Sioux non fecero prigionieri: tutti i membri del 7° Cavalleria agli ordini di Custer furono uccisi, ed il loro comandante, contrariamente alla leggenda, fu uno dei primi a cadere: non fu infatti nè scalpato nè mutilato, segno che non si era reso protagonista di azioni tali da “meritare” la mutilazione. Finiva così con un inutile massacro la carriera di uno dei militari più controversi dell’epopea del West: i giornali dell’epoca ne esaltarono la morte eroica, ricerche storiche hanno mostrato invece l’avventatezza delle sue scelte e la sua responsabilità nel massacro di Little Bighorn. Per non considerare un altro massacro, stavolta commesso dalle “giacche blu” di Custer, che sterminarono un villaggio indiano accampato presso il fiume Washita: anche in quel caso non si trattò di una brillante vittoria ma di un vigliacco assalto alle luci dell’alba. Un’ultima nota per finire: Custer non fu mai insignito del grado di generale, al momento della sua morte era tenente colonnello, ma nell’immaginario collettivo, gli furono dati quei gradi per i quali aveva mandato al macello se stesso e le proprie truppe a Little Bighorn.

 

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