Magazine Opinioni

Il genocidio dimenticato: shiro ishii e l’unita’ 731

Creato il 25 gennaio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Emiliano Morozzi

In occasione del 27 Gennaio, giorno della memoria dell’Olocausto, vorrei parlare di un altro mostro partorito durante la Seconda Guerra Mondiale: il dottor Shiro Ishii e la sua famigerata “Unità 731″. Una storia che non molti conoscono, una vicenda atroce che è stata insabbiata alla fine della Seconda Guerra Mondiale: mentre i vincitori, gli Stati Uniti, processavano davanti a tutto il mondo i gerarchi nazisti nel famoso “Processo di Norimberga”, all’altro capo del mondo, il tribunale istituito per punire i crimini di guerra commessi dai giapponesi non prendeva in considerazione il genocidio che i medesimi misero in atto in Manciuria a danno delle popolazioni locali. I risultati delle ricerche sulla guerra batteriologica giapponese furono barattati in cambio del silenzio e dell’impunità per i macellai che nell’arco di tredici anni, dal 1932 al 1945, usarono cavie umane nei loro laboratori dove si mettevano a punto nuove armi chimiche e batteriologiche che furono collaudate con esperimenti su vasta scala a danno della popolazione civile.

IL GENOCIDIO DIMENTICATO: SHIRO ISHII E L’UNITA’ 731

Shiro Ishii, il macellaio dell’Unità 731 (wikipedia.org)

Ma partiamo dall’inizio: siamo nel 1932, l’anno in cui il Giappone, dopo la rapida occupazione della Manciuria, instaurò un governo fantoccio, pronto ad obbedire supinamente agli ordini dei giapponesi. L’Impero del Sol Levante non teneva in alcuna considerazione le popolazioni del continente: cinesi, coreani, mongoli, erano chiamati con il nomignolo dispregiativo di “maruta”, pezzi di legno che potevano essere facilmente piegati alla volontà dell’invasore o spezzati. L’allora medico e batteriologo Shiro Ishii, famoso per aver debellato con uno speciale filtro per l’acqua l’epidemia di meningite a Shikoku, si convinse del fatto di poter dare una mano al proprio paese con le ricerche su un nuovo tipo di guerra, molto più pericolosa di quelle combattute con armi convenzionali: la guerra batteriologica. Scienza, medicina, biologia e tecnologia combinate insieme potevano permettere ad uno stato come il Giappone di vincere il conflitto, pur non potendo competere in armamenti, produttività e risorse con nazioni come gli Stati Uniti o l’Unione Sovietica. Nacque così la prima cellula di quella che diventerà una lugubre catena di “fabbriche della morte”: l’Unità 731, costruita prima nei sobborghi della città di Harbin e poi spostata in un piccolo paesino, Pingfan, lontano da sguardi indiscreti ma ben collegato da strade e ferrovia alla grande città mancese.

Questo campo di prigionia differiva in apparenza dai campi di sterminio nazisti: in questi ultimi, i prigionieri venivano rinchiusi e fatti lavorare fino all’annientamento fisico e anche psicologico. Nei campi di prigionia giapponesi invece i prigionieri erano mantenuti in perfetta salute: l’orrore era dietro le quinte. Come già detto in precedenza, i giapponesi avevano per i popoli dei paesi occupati la stessa considerazione che ne avevano i nazisti: già nel 1937, durante la guerra sino-giapponese, i soldati nipponici si erano lasciati andare non soltanto a saccheggi e stupri contro la popolazione delle città occupate, ma anche a vere e proprie ingiustificate carneficine. A questo proposito, passò tristemente alla storia il “Massacro di Nanchino”: nella capitale cinese occupata, i soldati del Sol Levante eliminarono in maniera barbara migliaia di civili (una copertina di un giornale giapponese riporta la notizia di una “gara a chi uccide il maggior numero di cinesi passandoli a fil di spada”, con tanto di foto dei contendenti). I cinesi ai loro occhi non erano uomini, ma cavie, e come tali furono utilizzati per i numerosi esperimenti che si tenevano nell’Unità 731 e nelle unità gemelle. Uomini e donne infettati con germi di malattie mortali per studiare gli effetti di un potenziale contagio tramite armi batteriologiche, vivisezionati senza anestesia, vittime di esperimenti disumani per testare la resistenza dei soggetti alle ustioni, all’elettroshock, al gelo, alle esplosioni. I germi di varie malattie furono prima diffusi in varie regioni attraverso l’irrorazione con piccoli aerei, quindi furono messe a punto delle vere e proprie bombe batteriologiche che diffusero epidemie mortali in diverse regioni della Cina occupata e della Cina nemica.

Alla fine della guerra, i giapponesi cercarono di nascondere quell’orrore bombardando i laboratori, ma li avevano costruiti così bene che molti di essi rimasero in piedi. Dove non riuscirono i giapponesi, riuscirono i loro più acerrimi nemici: i risultati sulla guerra batteriologica raccolti dai giapponesi facevano gola a tutti, e per mettere le mani su di essi prima dei sovietici, gli Stati Uniti concessero ai medici e agli scienziati dell’Unità 731 l’impunità in cambio dei risultati delle ricerche. Così, mentre Mengele era costretto a rifugiarsi in Sud America, braccato dal Mossad, Shiro Ishii non scontò per i suoi crimini neppure un giorno di galera, non fu sottoposto a nessun processo e potè godersi la sua ricca pensione di generale di divisione. Durante la Giornata della Memoria dunque, ricordiamoci di tutte quelle vittime che non hanno avuto giustizia, uccise due volte, la prima dalla barbarie giapponese, la seconda dal cinismo statunitense.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

COMMENTI (1)

Da marco ricci
Inviato il 21 febbraio a 22:48
Segnala un abuso

sinceramente, che siano morti i cinesi, non è davvero la cosa pu triste del mondo:

http://pasquale1.wordpress.com/2006/08/05/carne-di-cane-in-ristorante-cinese-a-milano/

http://koreandogs.org/?page_id=1512

cioè basta con quesi cinesi!