Esotismo dell’avventura, capriccio di un aristocratico attratto dal commercio o dalla semplice curiosità… ancora oggi non si sa cosa ha condotto lo scrittore polacco Jean Potoki, autore del manoscritto trovato a Saragozza, avvolto dalla leggenda, ad abbordare le coste di Tetouan nel 1791. Di questo viaggio l’aristocratico polacco ha custodito degli appunti che si sono trasformati, qualche secolo dopo, in un libro testimone di un epoca: Viaggio nell’Impero del Marocco. Ancora oggi alcuni storici si chiedono quale sia stato il vero motivo di questo viaggio, non escludendo l’ipotesi di una missione diplomatica segreta e quale sia stato il disegno. Il reame in quell’epoca stava emergendo da un lungo periodo di dissesto; Potocki, proprietario terriero, forse venne attratto forse da speculazioni commerciali e già dalle prime pagine del manoscritto sembra corretta questa ipotesi: ” Sono il primo straniero venuto in questo paese con la semplice qualità del viaggiatore e, a questo titolo o meno, il mio viaggio non sarà interamente denudato di interesse“. Siamo nell’epoca dell’Illuminismo, i viaggi esotici sono pericolosi ma nello stesso tempo molto in voga e altri prima di Potocki erano stati attratti dall’Africa. Contemporanei dello scrittore come Jardine, Brisson, l’abate Pierre in Barbaria o ancora Chénier che pubblico i suoi diari di viaggio nel 1787. Potocki però si smarca da quel tipo di letteratura orientalista carica di clichès e scrive: “Mr.Chénier dice che i Mori sono incapaci di amicizia, ma la pena che Bin Othman ha testimoniato nei nostri addii era sincera oppure non esiste più sincerità nel mondo“. L’uomo di lettere, il ricercatore, non si accontenta di leggere, vuole vedere, sentire, gustare, volgere il proprio sguardo sulle terre sconosciute del Marocco, sui suoi costumi, che egli non conosce. Il suo diario non ha eguali. L’autore ha viaggiato per incontrare i marocchini e in nessun momento si è permesso di giudicare, proiettando sule pagine delle realtà e dei fatti che lui stesso ha vissuto. Potocki era un ricercatore, un etnologo-antropologo che mai si accontentò solo di leggere, visitando tutta l’Europa, l’Egitto e l’Impero Ottomano.
Si scoprono tra le righe del diario la morale dell’epoca, le attività economiche e sociali degli abitanti, l’architettura. Una terra poliglotta capace di parlare non solo l’arabo ma frequentemente lo spagnolo e il turco. Il Marocco era reduce da prove difficili, anni di carestie (1776-1782) e una epidemia di peste (1779-1780), oltre a ripetute lotte intestine per la presa del potere che non cessarono neppure dopo la morte di Moulay Ismail nel 1727. Nel manoscritto è citata a più riprese la leggendaria ospitalità marocchina e sembra sorprendere di volta in volta l’autore: ” Il Caïd mi ha ricevuto nella sua casa, con più cerimonie della prima volta. La disposizione della casa è gradevole, la freschezza e la pulizia è così grande che ne desiderei, se il nostro clima lo permettesse, un altra simile per me. Tutte le cose che sono presenti in questa casa, meno fini, sono assolutamente nel gusto del’Alhambra di Granada“. Malgrado tutta la letteratura di cui lo scrittore si è nutrito, il suo sguardo sul Marocco si è mantenuto vergine e i suoi diari non sono macchiati da nessuna referenza di ordine politico o religioso, imprimendo per questo una forza scritturale potente e lontana dagli stereotipi di quell’epoca.
Il manoscritto è disponibile e consultabile, in apertura limitata, su Google libri.
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