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Il Mercante di Libri Maledetti – La recensione (II)

Creato il 16 novembre 2011 da Fant @fantasyitaliano

[Qui la prima parte della recensione.]

Sorprendentemente, l’articolo su “Il mercante di libri maledetti” ha suscitato un discreto interesse (siamo a 300 visitatori, grazie anche agli utenti di Anobii). Mormorando maledizioni a tutti gli internauti per non apprezzare gli articoli che invece reputo seri e a cui dedico ogni momento libero della mia miserevole vita, regalo a tutti un capitolo bonus della recensione del libro del Prof. Simoni, ormai riconosciuto come il degno successore di Eco da diverse riveste letterarie e siti web, tutti accomunati da una forma oscura, dilagante ed aggressiva di cretinismo. Per informazioni riguardante l’autore ed il mistero della pubblicazione di questo libro, rimando a questo articolo, dato che, per scelta personale, non voglio commentare nulla che non sia il testo.

Non vi sintetizzo quanto avvenuto finora, non tanto perché c’è la prima parte della recensione a disposizione, quanto perché ciò lederebbe seriamente la vostra salute intestinale. Soffermiamoci però per un attimo sulla figura di Ignazio-sorrisovolpino-  da Toledo. Un uomo la cui esistenza letteraria, oltre ad essere la prova che Dio non esiste, stravolge anche ogni idea che l’uomo moderno ha del meccanismo di selezione naturale. Che, nel medioevo, un uomo così fastidioso e presuntuoso sia riuscito ad arrivare alla mezz’età, quando la cosa più furba che ha fatto finora è stato respirare e risalire una scala secondaria per sorprendere un ladruncolo, appare l’incongruenza più grossa del romanzo. Leggete anche il più brutto libro del ciclo dell’inquisitore Eymerich, per rendervi conto di come sia costruito un personaggio realmente “astuto” in termini medievali. Altro che ‘Gnazio Pagliazzo.

La recensione parte II, l’oscen(m)o che ritorna

Ma continuiamo questo pellegrinaggio nel ritardo mentale dei protagonisti. Dunque, avevamo lasciato l’eroico trio composto da ‘Gnazio, Willy e il Conte Scalò in quel di Venezia, alle prese con una misteriosa quanto trucida e goffa spia. Prima di andare avanti, è opportuno informare il lettore che in questo libro maledetto nessuno sa fare il proprio mestiere. Gli abati malvagi e complottardi tessono complotti che vengono scoperti senza alcuno sforzo dal primo passante, le spie vengono scoperte a spiare, i ladri vengono beccati a rubare…

Insomma, lontano dall’essere una sfida a chi è più astuto (che sarebbe l’idea alla base del thriller), la storia è una costante escalation discendente di incompetenza.

Ma andiamo subito nel merito del capitolo che vede la spia che venne dal ghiaccio fare ritorno alla sua base operativa; ammirate la grazia e la fantasia del dialogo:

“Superò due rampe di scale dai gradini di coccio, che lo condussero a una porta familiare. Bussò.Risuonò dall’interno una voce maschile: «Chi è?» «Porto buon pane e ottimi consigli».”

“Toc toc”
“Chi è?”
“Sono il mugnaio!”
“Vai via!”

Se non altro, dal dialogo successivo apprendiamo che la spia si chiama Slawnik, pregustiamo con soddisfazione quanto sarà bello e divertente pronunciare mentalmente, per centinaia di volte, un nome tanto assurdo. Il terrore soprannaturale descritto da Lovecraft nei suoi racconti, a confronto, è poca cosa.

Ritorniamo però ai tre, ancora scossi dall’aggressione. A grande richiesta, ritorna il Pov ballerino, amato da grandi e piccini:

“Uberto giaceva a terra ancora privo di sensi, ma il volto iniziava a riacquistare colore. Finalmente riaprì gli occhi. Disorientato, roteò le pupille finché non vide sopra di sé il soffitto dorato della basilica. Si trovava sotto la cupola dell’Ascensione del Cristo. A causa della vertigine, sembrava dovesse precipitargli addosso da un momento all’altro.”

orso danzante

Salta salta, l'orso del Pov ballerino/ questa volta ha pure il sorriso volpino.

Vediamo dunque dall’esterno il ragazzo svenuto e sappiamo che il suo volto ricomincia ad acquistare colore, poi il pov passa direttamente al ragazzo in questione. ORRORE! Porfebbacco e perdiana, che giramento di testa!

La tragicomica fine del Conte Scalò e del fidato Gigin

I tre si separano. Quella sera, il Conte Scalò, invece di smuovere conoscenze ed amici potenti, buttare sottosopra ogni miserabile topaia delle calli veneziane per scoprire chi ha mandato il sicario che lo ha attaccato, decide di andare al bordello. Apprezzo davvero il realismo. Ammettiamolo, chi non ha mai fatto come lo Scalò? Di fronte ad un esame importate, o ad un pericolo per la nostra carriera, preferiamo andarcene al baretto o a fumare in compagnia di Gino Il Pakistano. Lo accompagna tale gondoliere di nome Gingin, personaggio che ho odiato al primo istante:

“Verso mezzanotte salì a bordo della sua gondola, avvolto in un mantello grigio. «Parti, Gigin. Portami in quel posto che sai», ordinò al conducente. «Ho bisogno di tirarmi su il morale». Il nocchiere gli rivolse un sorrisetto complice e prese a remare. Vabbè, non ci soffermiamo sul momento di triste complicità erotica tra Gingin e lo Scalò, che già pregustano la serata al bordello.”

Gigin è infoiato al solo pensiero di recarsi al bordello, l’autore non si astiene da questo particolare fondamentale per lo svolgimento della storia. Il Gigin avrà però una brutta sorpresa; infatti il Conte Scalò gli ordina crudelmente di attendere fuori, mentre lui entra e si appresta ad ammorbarci con pensieri mal concepiti e scritti pure peggio.

Ecco un estratto del solito, orrendo, flusso di pensieri dello Scalò:

“Dopotutto, che aveva da temere? Non era certo un semplice plebeo, lui. Era un avogador del Comun! Faceva parte del Consiglio dei Quaranta! Mezza dozzina di vassalli insediati nei feudi di Costantinopoli gli dovevano obbedienza. Persino il doge lo riveriva. Pensò a Ignazio da Toledo. Di lì a poche ore il mercante sarebbe partito verso le Alpi, e presto l’Uter Ventorum sarebbe stato suo… Ma ora basta rimuginare, era tempo di svagarsi. Si guardò intorno mentre gli appetiti prendevano il sopravvento.”

San Michele Arcangelo, dammi la forza perché da solo non ce la posso fare. La scena dopo è interamente dedicata “al piacere dello Scalò” non c’è storia che tenga, a ‘sto punto si scopa. Il lettore maschio e qualche femmina confusa (solo perché non ha ancora conosciuto l’affascinante ‘Gnazio) si appresta a girare la pagina, con una eccitazione seconda solo a quella del buon gondoliere Gigin.

Scalò passa in rassegna le ragazze “prova la merce” e poi sceglie Altilia (solito nome generato random per essere illeggibile) e con questa si apparta, oramai carico come un bombardiere americano.

Tra battute vergognose, degne di un film porno di serie Z e spiacevoli apparizioni pulciose di una scimmia, la storia si decide ad andare avanti, proprio quando il lettore meno lo desiderava.

I due cominciano a strusciarsi, lei nuda lo fa eccitare, ma poi gli porge del vino. Ovviamente la coppa è avvelenata. Scalò, già intontito di suo, cade incosciente. Grande perdita. Le fan del personaggio si strappano i vestiti e gridano a gran voce che non gli venga torto un capello.

Al Simoni non basta avere causato turbe ormonali nel lettore. Deve darci ulteriori motivi di sollazzo letterario. Ricordate Gigin che, deluso per non poter essere entrato, nel frattempo aspettava fuori?:

Fuori dal bordello, il corpo di Gigin galleggiava senza vita accanto alla gondola.”

Ammetto che non riesco a rendere l’umorismo della scena senza citare per intero il capitolo. Fidatevi. Non ho mai riso tanto in vita mia. La scena di Gigin morto che galleggia è altamente evocativa e spunta assolutamente dal nulla. Sembra un trailer di Maccio Capatonda. Di Gigin conoscevamo poco, ma sappiamo che era un uomo onesto, anche se a volte la lussuria prendeva il sopravvento su di lui. A noi piace ricordarlo proprio così, mentre sognava di fare ritorno al bordello insieme al padrone:

Mentre il colpo di Gigin galleggia davanti al bordello nel castello. Tanto non abbiamo appena appreso dalla descrizione che era un luogo affollato di clienti, ed è noto che un cadavere che galleggia non si nota affatto in mezzo alla folla. Lo Scalò viene portato in un luogo segreto e sottoposto all’interrogatorio da parte della setta ultra segretissima di cui tutti però sanno tutto già da un pezzo. Legato mani e piedi, al Conte non sfugge che:

“La sua autorità veniva messa in discussione.”

Ma davverooooo?

Comunque i tipi della setta hanno tutta la mia simpatia. Penso proprio mi iscriverò alla loro associazione culturale.

Scalò? Scalò  must die!

Vabbè. La società segreta comincia a starmi simpatica e vediamo che cominciano a torturalo. Io accendo l’Mp3 e metto suo una canzoncina tipo questa. La descrizione è efficace ed aggraziata stilisticamente, nemmeno Eco potrebbe fare di meglio:

“Un attimo dopo un paletto venne incuneato fra le ginocchia, poi fu conficcato attraverso la svasatura dello stivale e spinto verso il basso. La scorza legnosa raschiò contro la pelle nuda, graffiandola fino alle caviglie. Con un gemito, il conte accusò un opprimente restringimento all’interno dello stivale. Avvertì un intenso formicolio ai polpacci. Le gambe iniziarono a pulsare come se le vene, impossibilitate a pompare sangue, fossero in procinto di esplodere. Il prigioniero cercò di dibattere i piedi, ma si rese conto di non avere spazio sufficiente per farlo.”

Un opprimente restringimento nello stivale. A te ci inchiniamo, dementi e fetenti, o grande Simoni, re di tutti gli scrittori. Pronuncia una sola parola nella tua prosa raffinata e fluente e noi saremo salvati.

La tortura continua e Scalò:

“Si rese conto di essersi pisciato e cacato addosso, ma ormai la sua condizione era al di là dell’umiliazione.”

Sorvoliamo sul fatto che l’autore si sente in dovere di spiegarci che cacarsi e pisciarsi addosso in pubblico mentre si viene orribilmente mutilati è una cosa umiliante. Idealmente la voce dell’autore non dovrebbe mai intervenire a spiegarci quanto già avvenuto, sta avvenendo o avverrà. Dico sorvoliamo, non perché non sia importante questo aspetto, ma perché tutto il dannato libro è scritto con spiegoni di questo tipo. Soffermandoci invece sul tono, che per il resto del romanzo è mieloso ed edulcorato pure nelle scene di guerra, e dunque non giustifica l’utilizzo di simili scurrilità. Non sto dicendo che in un romanzo medievale non dovrebbero esserci parole come “cacato”, tutt’altro, sto dicendo un autore dovrebbe adottare un registro stilistico in modo da evitare dei “fulmini a ciel sereno” come questo.

“Henricus si ritrasse e tossì con nervosismo. Benché celasse ambizioni di comando, non smaniava di partecipare a certi sadici interrogatori. «Che intendete fare ora?»”

Ancora? Sadismo, sadico, De Sade, 1800. Altro anacronismo che rovina l’ambientazione medievale.

La storia oramai puzza di cadavere più di Scalò. I tre devono avere sentito il pericolo, prendono un nuovo battello e se ne vanno chissà dove. Odiosa la descrizione della vita agreste lungo il fiume, che solo in un libro maledetto può essere reperita:

“Non aveva ancora compreso cosa Ignazio volesse realmente da lui, e questo lo rendeva inquieto. Per non pensarci, si sporse sull’impavesata e iniziò a osservare ciò che avveniva lungo le sponde del fiume. Davanti ai suoi occhi sfilavano piccole scene di vita agreste, un drappello di villani dava la caccia a un cinghiale; un bifolco portava ad abbeverare i buoi; un crocchio di massaie lavava i panni sulla riva; un gregge di pecore pasceva in un prato; un pastore ronfava all’ombra di un faggio.” 

Confesso di non avere più fiducia nel genere umano. Secondo il Simoni i cinghiali si aggirano vicino a buoi e pecore, tutto questo mentre un pastore ronfa all’ombra di un faggio. Che cazzo di campagne ha visto? Nemmeno nei quadretti appesi a casa di mia nonna c’è un tale casino melenso.

Nel capitolo successivo torna Rainiero, il malvagio abate che nel frattempo si è tenuto aggiornato sui movimenti del Mercante di Toledo seguendolo su Twitter. Gli giunge voce che Il conte Scalò è stato trovato impiccato all’albero di una nave. Ovviamente il tutto nello stile inconfondibile del sommo maestro Simoni:

“non sarebbe stato più possibile conferire con il conte Scalò, perché era stato trovato impiccato all’albero maestro di una nave, con le gambe maciullate, all’alba del lunedì precedente.”

Il capitolo successivo si apre all’insegna dei WTFs. Uberto viene svegliato di soprassalto da quello che crede essere un Homo lupus (sic!). Succede un casino, ovviamente mal descritto, e si scopre che trattasi di bandito impellicciato. Willy, ormai fiero ariete guerriero del gruppo, gli da un colpo di piatto in piena faccia, l’autore precisa che:

“Un anno addietro l’avrebbe decapitato, vibrando la lama di taglio, ma il mercante gli aveva insegnato a rispettare la vita altrui. Il ceffo cadde riverso, il sangue che sprizzava dal naso.”

Dopo questo intermezzo totalmente inutile per la storia (del resto praticamente il 90% del libro finora si sarebbe potuto tagliare ), i tre sono quasi arrivati a destinazione. Seguono dialoghi e cazzi e mazzi vari, il tutto all’insegna del buonumore per i tre pellegrini. Nel mentre, Slawnik, la spia nordica dal nome impronunziabile, è alle loro calcagna. La tensione si taglia con il coltello. Il pathos e il thrilling a questo punto mi avevano reso così sensibile che ho dovuto sniffare della colla per calmarmi:

“Slawnik prese il cibo senza ringraziare. Mangiò in silenzio, senza smettere di fissare il bambino. Terminato il pasto restituì la ciotola, montò in sella e disse: «Cresci, diventa forte e vendica tuo padre. Uccidili tutti, senza pietà». Spronò il cavallo e partì al galoppo.Il bambino restò immobile, la scodella fra le mani, a osservarlo mentre si allontanava. Era diretto a San Michele della Chiusa. In poco tempo sarebbe giunto a destinazione.”

Nonostante la fatica del viaggio, ‘Gnazio da Toledo non ha perso la consueta sagacia. Dapprima si fa portare da un anziano monaco nella stanza di Vivien, il monaco che cerca e che dovrebbe essere in possesso dell’Uter Ventorum, malgrado il vecchio affermi che Vivien sia morto da tredici anni, poi riflette:

“Quello era niente, avrebbe voluto rispondergli il mercante. Ma si trattenne. Si guardò intorno alla ricerca di indizi. Era chiaro che in quella stanza l’Uter Ventorum, se mai vi fosse stato, non c’era più.”

Oh fava, sono passati tredici anni! Certo che non c’è più, secondo questa cakso di storia, il libro in questione dovrebbe esser uno dei più preziosi al mondo, ti aspetti di trovarlo dopo tredici anni? Poco male. ‘Gnazio si gira e trova una statua di San Cristoforo con la testa di cane (giuro che non me la sono inventata io). Afferra la statuetta e sul retro trova una scritta che pure un bambino riuscirebbe ad interpretare senza per questo suscitare particolare interesse nei genitori. Ignazio svela l’enigma ed ottiene in premio gli sguardi di stima dei presenti. Si dirigono allora alla tomba di Vivien di Narbon, seguiti dai testicoli roteanti dei lettori. Qui scoprono un altro codice, stavolta, piacevole variante, non si capisce nulla. Lo ricopiano in fretta e se ne vanno.

Arriva Slawnik e ricomincia la stessa solfa, solo che lui, diplomatico e discreto, per arrivare alla tomba per poco non ammazza un monaco.

“Girò i tacchi e fece per andarsene e fu allora che vide un novizio allontanarsi di corsa dal sepolcro. Doveva aver assistito alla scena e stava probabilmente mettendosi in cerca aiuto. La situazione non era più sicura. San Michele della Chiusa si avvaleva di un rigido servizio di vigilanza. Aveva quasi ucciso un monaco, non l’avrebbe passata liscia.”

Furbo ‘sto Slawnik. Inoltre il brano è scritto davvero bene. Complimenti allo scrittore, all’editor e all’editore di questa ciofeca. Complimenti soprattutto all’addetto marketing che è riuscito a rendere un best-seller un libro scritto in questo modo. Se quest’uomo si candidasse alle elezioni, avrebbe il mio voto.

“D’un tratto una freccia gli sibilò sulla testa, gli arcieri erano appostati sulle mura. Poi l’aria fischiò di nuovo e Slawnik fu trafitto in pieno petto.”

Arcieri sulle mura? No, sarà una sua impressione, io gli arcieri li terrei nello scantinato, a fare la guardia a salami e prosciutti. Si sa mai…

“Il palafreno sembrò percepire il suo dolore. Nitrì, arrestandosi di colpo. Slawnik portò la mano alla ferita, sotto la giubba di cuoio. La freccia si era conficcata nel legno della croce e l’aveva attraversato, perforando la stoffa del farsetto e la carne viva. Perdeva sangue.”

Innalzate le vostre preghiere al cielo, perché a questo punto solo il signore può aiutarci.

“Ignazio, insieme a Uberto e Willalme, si era rifugiato in una taverna poco distante da San Michele della Chiusa. Non aveva ritenuto opportuno sostare fra le mura di quel monastero: se Vivïen de Narbonne si era fatto credere morto, c’era senz’altro un valido motivo.”

Io protendevo invece a pensare che non avesse null’altro di meglio da fare.

“Aò Mario, che famo, sann’annamo a divertì?”
“No, fingiamoci morti.”
“Yo, motherfucker.”

Nell’ennesimo crescendo di non-sense misto fastidio che sono i dialoghi tra Uberto e ‘Gnazio, ci viene svelato parte dell’enigmatico enigma. In realtà, un giochino preso dalla settimana enigmistica di novembre. Uberto non è mica scemo e alla fine capisce pure lui che stanno cercando un libro per evocare i demoni, tanto che da guaglione timorato di Dio quale è s’incazza pure:

“«Non capisci». Ignazio lo prese per un polso, obbligandolo a rimettersi seduto. La sua presa era forte e gentile allo stesso tempo. Fu quella presa, più ancora delle parole che seguirono, a calmare il ragazzo.”

Non vi mentirò, nonostante nella precedente parte della recensione non confermassi le indiscrezioni su una storia d’amore magister-discepolo, sono in possesso di un fitto carteggio in cui i due dichiarano il proprio amore omosessuale. Le mani forti, ma allo stesso tempo gentili dell’uomo maturo, avvolgono il ragazzo e lo calmano come solo un tenero amante sa fare.

In maniera estemporanea, vi regalo un’altra perla che sintetizza grande proprietà di linguaggio ed eccellente caratterizzazione dei personaggi:

Esitò un attimo, poi fece un sorriso volpino.”

Ancora con ‘sta storia del sorriso volpino? Non basta mettere un sorriso volpino in bocca ad un personaggio demente per renderlo furbo. Bisognerebbe sforzarsi invece di dimostrare la furbizia del personaggio attraverso le sue azioni. Ma poi, io non ho mai capito perché le volpi vengono reputate animali particolarmente furbi. Nella mia esperienza personale, e nonostante io sia un convinto animalista e per questo cerchi di evitare di investirle, si accecano nel 100% dei casi, mentre qualche cane, ogni tanto eh, si è salvato pure .

Ah, quanto vorrei potere investire ‘Gnazio come fosse una volpe.

«Vedo che vi siete ripreso, messere», constatò con tono gioviale.
«Sapeste che pena. Avete delirato per due giorni di fila».

Non sei il solo, caro Slawnik, dopo avere letto questo libro maledetto, ho delirato per settimane.

Ripresosi dalle ferite riportate nella fuga da San Michele della Chiusa, Slawnik deve cercare i suoi colleghi spioni, così opta per la soluzione più discreta, pieno stile 007:

“L’odore del cibo gli stuzzicò l’appetito. Ordinò da mangiare e si guardò intorno. Il locale traboccava di pellegrini e soldati, facce sconosciute chine sulle scodelle. Con indifferenza, Slawnik sfilò dalla cintura il suo pugnale a forma di croce e lo conficcò al centro del tavolo. Era un segnale. Qualcuno si voltò verso di lui,poi ritornò ai propri interessi. Dopo poco gli fu servito del vino e un arrosto di lepre, che iniziò a divorare. Non passò molto tempo che due figuri si alzarono da un angolo in penombra, attraversarono il locale e gli sedettero di fronte. Non erano imponenti quanto lui, tuttavia di corporatura robusta. Lo studiarono in silenzio, poi estrassero i loro pugnali – anch’essi a forma di croce – e li posero accanto al suo.”

Slawnik arruola i due e li minaccia, tanto per mettersi al sicuro.

Improvvisamente, dopo dieci giorni di viaggio sintetizzati dalla raffinata espressione dieci giorni dopo, ‘Gnazio viene folgorato da una visione. No, non si tratta di ictus né di colpo apoplettico:

Senza preavviso, emerse dai suoi pensieri un volto di donna. Un volto bellissimo che aveva amato, e che continuava ad amare perdutamente.«Sibilla», sussurrò. “Sto cercando di rimediare, mia cara” pensò. “Spero di riabbracciarti presto”

Davvero senza preavviso. Siamo a metà del libro e non c’era traccia di questa misteriosa dama.

Successivamente i tre vengono colti dallo sconforto guardando il tramonto. Willy e Uberto riflettono sul fatto che ‘Gnazio il mercante è malinconico, poi pure Uberto è colto da nostalgia perché La sua unica famiglia è stata la comunità di Santa Maria del Mare, ma Willy il francese non è da meno, anche lui confessa di essere in fase maniaco-depressiva:

“Il francese abbassò lo sguardo, cercando di nascondere un dolore profondo. «Era il luglio del 1209 quando il papa Innocenzo III e Arnaud-Amaury, l’abate di Cîteaux, decisero di distruggere Béziers, la mia città natale.”

pagliaccio triste

Tu sei Pagliazzo/ ridi, ooh 'Gnazio!

Ma lasciamo stare ‘Gnazio-Pagliazzo ed occupiamoci del francesino Willy, il quale confessa che né lui né la sua famiglia sapevano il significato della parola “albigese” cosa che mi pare ben strana, dato che Albigese non è un termine che si riferisce ad una particolare eresia, quanto agli abitanti di Albi, gli Albigesi, appunto. È un po’ come se un crociato si fosse detto all’oscuro dell’esistenza di Gerusalemme e dei suoi abitanti. Va bene che ai tempi (per fortuna oggi non è più così Big Smile l’ignoranza si tagliava col coltello, ma non esageriamo. E poi l’ignoranza dei protagonisti è già emersa altrove, inutile calcare la mano.

Ridendo e scherzando (ma anche no) ritorniamo al nostro spione spietato, che per non farci mancare nulla è andato a trovare l’altrettanto spietato capo della società segreta, tale Dominus (prego inchinarsi alla fantasia per la scelta del nome, plz).

Il dialogo è la solita solfa con i personaggi che fanno gli sboroni a vuoto e il lettore che si graffia la faccia per la noia.

Il capitolo successivo è l’apoteosi dell’assurdo. I tre, camminando random attorno alle mura  di Tolosa, incontrano le truppe crociate all’attacco e assistono nientemeno che all’uccisione del Conte di Montfort. Nessuno pare avvertire alcun pericolo; un po’ come andare a comprare le sigarette per Baghdad o per Scampia dopo il tramonto.

A questo punto,‘Gnazio, che fino a questo momento ha dimostrato più arroganza che sale in zucca, viene fulminato da un’idea brillante. A quanto pare, si è reso finalmente conto che trovarsi tra l’esercito assediante e la città assediata che viene demolita da trabucchi è una faccenda pericolosa:

“«Cerchiamo un luogo sicuro dove poter riflettere con calma. Restando qui siamo esposti a troppi rischi». Prima di seguirlo, Uberto gettò l’ultima occhiata a valle. I crociati stavano già tornando alla carica.”

Bravo ‘Gnazio, se continui così alla fine del libro potresti persino rinunciare al pannolone.

silvio-berlusconi in una recente foto

'Gnazio, Il mercante di Toledo, in una recente foto. Ammirate lo sguardo furbo e correte a nascondere le vostre figlie.

Dopo tutto questo, ormai è chiaro che sia uno dei personaggi meno furbi e allo stesso tempo più presuntuosi della storia recente. C’è da chiedersi come abbia potuto fregare così tanta gente e credersi così astuto quando è evidente si tratti solo di un buffone. Ma gli  italiani non sono gente che si fa incantare così facilmente, se hanno amato questo personaggio, ci sarà un motivo, oh!

A questo punto, facciamoci inebriare da un bel momento Evil Lord. Scipio Lazarus, che io davo ormai per morto in un fosso in Bolivia, afferma:

Mancava davvero pochissimo perché il piano si attuasse!

Buaahahahahaaahahahaaahahahaaahahahaa!

Non avercela a male, caro Scipio Lazarus, ma qualcosa mi dice che il tuo piano è destinato a fallire. Per esempio il fatto che ti trovi in una città assediata e che, nonostante questo, pensi di potere spedire comunque la posta mi fa pensare che sei un buon candidato per l’estinzione di massa.

La cosa davvero gustosa e che avrebbe spinto un samurai al karakiri per riscattare il proprio buon nome, sono le incongruenze che vengono al pettine dell’autore che, lungi dal risolverle preventivamente, le sintetizza in un paragrafo dal retrogusto di…ehm… vabbè leggete:

“Scipio Lazarus non poteva certo rivelare di essere riuscito a fermarsi aTolosa appoggiando segretamente il movimento cataro, accattivandosene la stima e il rispetto. E poi c’era da chiedersi come lo stesso Dodiko, fedele alla Chiesa e schierato dalla parte del Montfort, riuscisse ad aggirarsi indisturbato entro le mura della città.”

Dunque, c’è un monaco cattolico appartenente ad un ordine segreto che appoggia un movimento ereticale che è la causa dell’assedio della città. Poi c’è un conte cattolico, in una città di catari in guerra con i cattolici che se ne va bello tranquillo come se nulla fosse. A rigor di logica, tutti e due dovrebbero essere già morti da tempo. La cosa sorprendente è che anche il Simoni se ne rende conto… e lo scrive pure! Praticamente questa scena non dovrebbe esistere…

Peccato, perché il capitolo, a differenza di tanti altri, è anche discretamente documentato. Scritto male, questo sì, ma qua e là ci sono diverse cose coerenti con un assedio.

Se siete dei fan di Lovecraft, preparatevi ad una nuova stoccata anacronistica. In una discussione su libri rari, il nuovo compagniuccio della comitiva afferma:

«E perché non il Necronomicon di Abdul Alharzerd, tradotto in greco da Teodoro Fileta di Costantinopoli!», esclamò in risposta.

Ma porca miseria. Il Necronomicon non è un libro veramente esistito, è uno pseudobiblion inventato da Lovecraft. Io lo so che voleva fare il Simoni, del resto anche in quella cosa lì su Carmilla parla di pseudobiblion. A questo punto si può infilare pure “il sacro tomo dorato numero 10000 di playboy”, tanto i lettori sono dei poveri ignoranti, che vuoi che ne capiscano. Dio santo, ho letto storie di topolino più sensate e documentate. Ma forse, nella mia ottusità, sono io ad avere capito male e secondo Simoni Lovecraft è uno scrittore medievale, ci può star tutto a ‘sto punto.

“Così dicendo, Gothus Ruber richiuse il tendone del suo gazebo come un ombrello e iniziò ad accatastare la merce sul carretto.”

Che tristezza.

Gothus Ruber accetta di seguire Ignazio nel suo farneticante viaggio. Manco a dirlo, mezza pagina dopo lo tradisce. L’evoluzione dei personaggi è davvero eccellentemente curata e Simoni è sempre attento a caricarla del giusto pathos, non lascia mai nulla al caso.

“Uno di loro gli si avvicinò a capo chino, prese la sua cavalcatura per le briglie e gli parlò: «Porto pane e consigli per il mio signore». Dominus gli pose la mano sulla spalla destra. «Accetto il pane solo dai miei figlioli».«Tali noi siamo, figli del Potere e del Santo Terrore», soggiunse il figuro alzando lo sguardo. «Slawnik vi aspetta, mio signore. Abbiamo l’ordine di scortarvi da lui». Attese un cenno di consenso, poi aggiunse: «Abbiamo recuperato un nuovo indizio sull’Uter Ventorum».«Bene», rispose Dominus. «Tutto procede come stabilito».”

Ennesimo momento Evil Lord con fastidiosissimi momenti sboroni. Tutto nella norma insomma. I personaggi danno l’impressione di essere dei bambini intenti a darsi delle arie mentre giocano a Indiana Jones.

Soffermiamoci ora sulla figura di Slawnik, la spia che spiava. Quest’uomo stravolge tutte le idee che la società occidentale ha costruito sulla nozione di spia. Solitamente una spia è agile, discreta, non lascia trasparire alcuna emozione e la sua principale capacità dovrebbe essere sapere dosare la violenza. Vale per James Bond, Mata Hari o anche per i fottutissimi Ninja. Slawnik invece manda tutto a puttane ogni volta che può e sempre nel minor tempo possibile. Minaccia gente in pubblico, anche quando non ci sarebbe alcun bisogno, da in escandescenza tanto per dimostrare quale duro lui sia e concede consigli vendicativi ad innocenti bambini.

Mi fermo qui, perché francamente credo che ne abbiamo avuto tutti abbastanza e ciascuno di noi voglia ritrovar l’affetto dei propri cari in questo momento difficile. Ci sarebbe molto altro. Improprietà di linguaggio e lessicali, ingenuità narrative, descrizioni sfasate. Cito a caso dalle ultime pagine:

“Asclepio tacque per un attimo, riluttante sulla decisione da prendere.”

Riluttante sulla decisione da prendere. Boh. “Riluttare” è sinonimo di rifiutare, respingere, vediamo se funziona così:

“Respingente sulla decisione da prendere.”

NO… mi sa che non funzione nemmeno così. Aspetta, proviamo a leggerlo al contrario per vedere se almeno così ha senso e…

“Erednerp ad enoisiced allus entnegnipser”

Nulla, non ha senso o sono troppo stupido io.

Proviamo a cambiare il termine:

“Dubbioso sulla decisione da prendere.”

Geniale! Al quarto tentativo il lettore ha capito cose voleva dire l’autore. Ora, per ragioni di equità, avendo il lettore contribuito a dare un senso al libro (compito che di solito spetta all’autore), toccherebbe una parte proporzionale delle vendite del libro stesso. Se avete letto “il mercante di libri maledetti” contattate la SIAE o la casa editrice per il giusto compenso. Sono certo che alla loro oculata opera non sfuggiranno le vostre ragioni.

uomo volpe

Ignazio da Toledo: notare lo sguardo volpino. Quest'uomo non si darà per vinto facilmente e tornerà presto ad inquietare i vostri sogni...


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