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Il ponte delle spie

Creato il 08 gennaio 2016 da Kelvin
IL PONTE DELLE SPIE(Bridge of Spies)
di Steven Spielberg (Usa, 2015)
con Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan, Alan Alda, Sebastian Koch
durata: 141 minuti

New York, 1957. Il mondo è in piena guerra fredda e l'FBI arresta un agente segreto sovietico, tale Rudolph Abel, con l'accusa di spionaggio e terrorismo. L'imputato però non confessa, e le prove a suo carico in verità sono pochine, ma il clima esasperato da caccia alle streghe è tale da fargli meritare una condanna "esemplare" da parte della giustizia americana. Che tuttavia, pur di salvare le apparenze, decide di farlo difendere da uno dei più brillanti avvocati del Paese, il legale assicurativo James Donovan, che contro ogni pronostico (e soprattutto contro l'intera opinione pubblica) riuscirà a salvarlo dalla sedia elettrica...
La strategia difensiva di Donovan è in realtà un freddo calcolo politico: a tu per tu con il giudice, l'avvocato prospetta l'eventualità che anche gli Stati Uniti, un giorno, potrebbero trovarsi implicati in un processo simile, e il prigioniero potrebbe quindi essere usato come pedina di scambio. Cosa che in effetti avviene: pochi anni dopo un aereo-spia americano precipita in territorio sovietico e il pilota viene catturato. Si apre così uno spinoso caso diplomatico che porterà lo stesso Donovan a volare a Berlino, durante la costruzione del muro, per negoziare il difficile scambio. A complicare le cose ci si metterà anche uno sprovveduto studentello americano, innamoratosi di una bella ragazza della Germania Est, che si farà trovare nel posto sbagliato e nel momento sbagliato...
IL PONTE DELLE SPIESteven Spielberg ci ha abituati, negli ultimi anni, a poderosi drammoni in costume volti ad approfondire il passato, spesso poco cristallino, della storia americana. Lo aveva già fatto con War Horse e con Lincoln, e più indietro negli anni con Salvate il Soldato Ryan (film cui Il Ponte delle Spie assomiglia forse di più di tutti, per struttura e contenuti), quasi a volersi scrollare definitivamente di dosso quell'etichetta di regista "fanciullesco" e perbenista che tanto successo gli aveva dato negli anni '80 e '90 (con la sola mirabile eccezione di Schindler's List). Oppure, meno prosaicamente, possiamo dire che Spielberg è un cineasta molto furbo, abile a "cogliere l'attimo" e girare film che si inseriscono perfettamente nel "sentire" quotidiano della gente comune: è fin troppo evidente, infatti, l'accostamento tra l'epoca della guerra fredda e la paura del terrorismo dei giorni nostri, dall' 11 settembre fino agli ultimi drammatici episodi in Francia e nel resto del mondo.
IL PONTE DELLE SPIENon è però mia intenzione aprire qui sopra un dibattito politico sull'opportunismo più o meno "interessato" di Spielberg. M'interessa invece parlare dell'evoluzione del suo percorso artistico, che in realtà, perdonatemi il gioco di parole, in tempi recenti si è andato sempre più in-volvendo di pari passo con la svolta verso il cinema "impegnato" di cui dicevamo sopra. C'è infatti un abisso tra lo Spielberg geniale, genuino, sinceramente naif degli esordi e lo Spielberg "serio" e impostato, inaridito e conformista delle ultime opere. Uno Spielberg che sembra(va?) aver perso completamente la capacità di stupire e far commuovere il suo pubblico, barattando lo spirito fanciullesco di una volta con la stucchevole retorica di quasi tutti i suoi film più recenti (toccando il fondo con l'insopportabile melassa di War Horse e, quasi per contrappasso, annoiando il pubblico con la rigidità del successivo Lincoln).
IL PONTE DELLE SPIEIl Ponte delle Spie, lo dico a chiare lettere, è il miglior Spielberg da almeno dieci anni a questa parte (in pratica dai tempi di Munich, 2005). E certamente non è un caso che per questo film il regista di Cincinnati si sia fatto scrivere la sceneggiatura dai fratelli Coen, abili a buttar giù un copione il più asciutto e stringato possibile (il film dura quasi due ore e mezza, ma la trama è piuttosto complessa... con quello che vi ho raccontato all'inizio si arriva appena a metà della pellicola) e contenendo la retorica spielberghiana entro livelli di guardia (che affiora solo nei minuti finali, con l'immancabile ricongiungimento famigliare nella "solita" casetta linda e ordinata in perfetto stile wasp americano. Quasi un "marchio di fabbrica).
Spielberg ci mette del suo, ovviamente, nella regìa e nella confezione del film, che sono impeccabili, come sempre. Splendida, infatti, la ricostruzione delle atmosfere del periodo: nelle parole, nei gesti, nelle scenografie, nei dettagli, nella fotografia gelida e opprimente (firmata ancora una volta dal "mago" Janusz Kaminski), nella direzione degli attori (tutti bravissimi, con menzione speciale per lo straordinario Mark Rylance - probabile Oscar - e il mefistofelico Sebastian Koch - già visto ne Le vite degli altri -  oltre naturalmente al mattatore Tom Hanks, una garanzia), tutti ingredienti che conferiscono alla pellicola un fascino assolutamente unico, trasmettendo allo spettatore tutta l'inquietudine e l'isteria tipiche del periodo.
IL PONTE DELLE SPIETuttavia, per quanto accurati siano gli aspetti tecnici, devo dire che Il Ponte delle Spie non ti dà mai la sensazione di uno Spielberg tornato ai livelli di una "giovinezza" artistica probabilmente irripetibile. E' un buon prodotto hollywoodiano, costruito con classe, ma che mai una volta riesce a sorprenderti, dove tutto scorre placidamente dall'inizio alla fine, senza scossoni nè sbavature. Nei film di Spielberg, perlomeno in quelli più recenti, va sempre tutto come deve andare: nessun colpo di scena, nessun cambio di ritmo, nessuna sorpresa. Il sottoscritto, per la cronaca, non aveva idea che i fatti narrati nel film fossero reali: eppure vi garantisco che fin dai primissimi minuti si capisce subito dove si va a parare (e se conoscete bene Spielberg lo potete benissimo immaginare anche voi...).
Un film, insomma, classico e molto prevedibile, buono per una visione natalizia e per un pomeriggio da passare insieme alle famiglie, ottimo anche come ripasso di storia (anche se ci sarebbe da dire qualcosa pure sulla rappresentazione un po' macchiettistica e scontata della Germania comunista, ma lasciamo stare) eppure ben lontano, a mio avviso, da quel capolavoro strombazzato da gran parte della critica, evidentemente di bocca buona e sempre generosa verso lo "zio" Steven. Peccato che lui sia ormai ammalato di eccessivo didascalismo. Ma questa non è una novità.

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