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Il Popsy è un locale sul crinale della collina (altro assaggio di romanzo...)

Da Foscasensi @foscasensi
Il Popsy è un locale sul crinale della collina. L'insegna al neon è visibile dalla vallata circostante per un raggio di circa trenta chilometri. Si tratta di una vacca montata come fosse un manzo da un cow boy in camicia a quadri e cappello a tesa larga. Martino vi approdò già discretamente alticcio, rasato di fresco e con una testata di capelli domati dal gel. Quando la cassiera gli domandò trenta euro per il biglietto tirò fuori una banconota da cento e scoccò un'occhiata umida all'uomo dopo di lui.
Gli fu dato un cartoncino e attraversò un corridoio dalle pareti incrostate di specchi. L'aria sapeva quasi di borotalco. Nel riflesso notò un uomo più vecchio di quel che si aspettasse di vedere. In effetti, sembrava un altro. Aveva una finestra sui denti, le guance scorticate, gli occhi liquidi? Si fermò e valutò il profilo del suo vestito nuovo, che doveva essere cucito a mano. Ecco, questo gli dispiacque. Ma non c'era tempo, la porta si era aperta (chi l'aveva spalancata?), era entrato in una nuvola elettrica era nel pieno del rumore era molto buio la musica dava allo stomaco sulle pedane, pedane come gabbie, ballava una moltitudine di donne bianche, dai capelli di un qualche colore artificiale e la lunghezza ruffiana, i nasi, oh i piccoli sottilissimi nasi europei come tante fragole, come tanti pizzicotti di zucchero, le natiche di un'altra consistenza, più liquide forse delle nigeriane delle senegalesi delle congolesi ma chi se ne importa, un altro odore così poco generoso quello della loro pelle, un'altra costruzione dello scheletro, che in quel momento gli sembrò la cosa più armoniosa che potesse agitarsi sulla pista. Si gettò sul banco e ordinò a caso, la barista accostò alla bottiglia due seni di incredibili proporzioni. Aveva gli occhi stanchi, pochi capelli raccolti al sommo della testa e un grazioso modo di indossare il rossetto. Martino ne seguì il movimento delle mani mentre svitava il tappo, rosso (come poteva rendersene conto in quel buio?), e riempiva il bicchierino, la cosa aveva un sapore metallico, si fermò in bocca, bruciò quello che c'era dentro, scese in gola e scese nel tubo sottostante finché non precipitò in uno spazio che non era più possibile spiegarsi, si accese nelle budella, negli interstizi dei muscoli nella testa. Dio se era forte.
Aveva le budella in festa, avrebbe baciato sulla bocca la sua padrona di casa non gli sarebbe importato nulla di quanto fosse fredda la sua saliva, svuotati i suoi seni, notevole la sporcizia di quella pelle bianca, che sembra sempre nelle donne brutte un po' malata o un po' spregevole o sa di morto, l'avrebbe condotta sul suo materasso e l'avrebbe ringraziata per quel fottutissimo vestito.
 
Mentre pensava a queste cose nello sgabello accanto stava seduto un uomo. L'aveva avvicinato una ragazza del locale e si erano parlati nell'orecchio. L'uomo aveva abbandonato il bicchiere, l'aveva presa per la vita e si erano allontanati. Martino lasciò alla barista la carta della consumazione che aveva ricevuto all'ingresso e li seguì.
In fondo al Popsy c'era una parete di altezza indefinibile (era dipinta di scuro), e drappeggiata con tende da cinema. La ragazza, che ora teneva l'uomo per mano, era sparita dietro la tenda, l'uomo si era fermato sulla soglia e controllava qualcosa nel portafogli. La tenda da dietro si mosse, l'uomo si sbilanciò con dolcezza e subito riprese l'equilibrio. Martino intuì che la ragazza, da dentro, stesse trascinando l'uomo e che il vacillare dell'uomo fosse una concessione o una complicità. Sarebbe stato difficile smuoverlo senza che lui lo volesse: piantato per terra, di una statura insolita e un fisico da lavoratore era quel che si dice nella boxe un peso massimo. Ma in realtà Martino pensava a un ferroviere o un macellaio, uno di quegli uomini che quando sono stupidi hanno la faccia da cornuti, con gli occhi spenti e una mascella forse troppo maschile, rientrare a casa, scongelare una confezione di pesce fritto o affettare pane e formaggio, forse con una donna all'altro capo della tavola, forse dei figli, forse e più probabilmente al rumore del telegiornale della sera. E poi stappare una birra e portarla al bagno, lasciarla sulla tazza mentre si rade, e orinare stringendo le grandi natiche da bianco, e portare la bottiglia alla bocca e procedere alla lavanda del pene e dei testicoli, forse addirittura fare una doccia e indossare un profumo (qualsiasi), una camicia del mucchio di quelle pulite, calze sottili e mutande, non boxer, e un abito da quarantenne, finire la birra o buttare quella che avanza nel cesso, lasciare il vuoto sul davanzale del bagno, accendere l'auto e intanto che scalda il motore controllare allo specchietto i peli del naso, l'eventuale sporcizia fra i denti e di avere il cellulare su di pile, non sia mai che una ragazza dia il numero per essere trovata fuori, un altro giorno.

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