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Il principe di Kuqa, storie dal Xinjiang

Creato il 24 novembre 2014 da Pietro Acquistapace
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La moschea all’interno del palazzo reale di Kuqa

Situata sul bordo settentrionale del deserto del Takamaklan, Kuqa è una città di circa 400mila abitanti nella regione del Xinjiang. Posta lungo la strada che da Urumqi porta a Kashgar, è inoltre una di quelle città del Xinjiang che meritano di essere visitate, fosse solo per il loro passato ricco di storia. Le prime notizie di Kuqa risalgono molto indietro nel tempo, citata in antiche fonti tibetane e cinesi, che ricordano come il regno che ne prendeva il nome fosse uno dei “trentasei regni delle regioni occidentali”. Kuqa fu poi importante centro dell’impero uiguro e tappa lungo la Via della Seta, nonché uno dei principali centri buddhisti del Xinjiang. Kuqa è inoltre stata dimora dell’ultimo principe vivente della dinastia Qing.

È infatti recentemente scomprso Dawuti Mahesuti, dodicesimo re di Kuqa ed ultimo principe cinese. Salito al trono nel 1941, all’età di 14 anni, ed entrato a far parte della dinastia Qing tramite adozione, Dawuti è diventato l’ultimo principe dopo la morte di Pujie, fratello del più famoso Puyi, l’”ultimo imperatore” reso celebre da film e romanzi. Con la morte di Dawuti, avvenuta lo scorso luglio a più di ottant’anni di età, si chiude il sipario non solo sulla storia reale di Kuqa ma anche su parte di quella dell’intera Cina, fatta di nobili ed imperatori, di cortigiani e palazzi imperiali. Oggi il potere giace altrove, anche Kuqa con il suo re si è inchinata di fronte alla rivoluzione comunista.

Dopo la vittoria del comunismo in Cina, al principe di Kuqa fu permesso di mantenere il suo titolo nobiliare e di possedere dei servi e due palazzi reali, uno dei quali (dalle dimensioni di circa 400mila metri quadri) costruito dal nuovo governo locale e da alcuni uomini d’affari della zona. Dawuti, ormai costretto a vivere del frutto del proprio lavoro coltivando i campi della sua famiglia, ha sempre sottolineato il suo rapporto con i comunisti vittoriosi, sostenendo di avere egli stesso alzato la prima bandiera comunista a Kuqa. Le relazioni tra la vecchia classe nobiliare ed il nuovo regime è un tema molto interessante e forse poco approfondito che ci porta indietro nel tempo.

Kuqa si situa infatti in quella parte di Xinjiang vero e proprio confine tra diverse influenze culturali: le più importanti quella cinese e quella centroasiatica. Qui regni ed eserciti si affrontarono senza divisioni troppo nette, dove il fattore etnico si sovrapponeva a quello religioso, creando delle “linee di frattura” a tratti sorprendenti, acuite da fattori esterni come le scorrerie dei kirghisi o gli interessi dei potentati locali, come era appunto la famiglia regnante a Kuqa. Oggi il palazzo reale è un’attrazione turistica tra le principali di Kuqa, sede di un museo piccolo ma molto interessante nel cuore della città vecchia, a poca distanza dal centro cittadino e dall’affollato mercato locale.

L’oasi di Kuqa è stata anche, come detto, un importante centro buddhista e diversi monaci qui stanziati furono importanti traduttori ed instancabili propagatori della dottrina. Oggi di quel passato restano le grotte intorno alla città dalle pareti affrescate con richiami alla vita del Buddha ed alla tradizione del buddhismo. Altro richiamo per i turisti che giungono a Kuqa è la traversata del Takamaklan, possibile grazie alla nuova strada che, attraverso il deserto, congiunge Kuqa a Hotan. Tornando all’ultimo principe di Kuqa, le fonti che hanno notizia della sua morte riportano come le sue ultime parole siano state un invito a preservare il benessere e l’unità del popolo, difendendolo dalle forze separatiste.


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