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Reporter Senza Frontiere contro l’Iran: “intollerabile la persecuzione degli attivisti online”

Creato il 23 giugno 2015 da Nopasdaran @No_Pasdaran

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La condanna senza appello arriva direttamente dalla ONG Reporter Senza Frontiere – RSF: il regime iraniano deve immediatamente fermare la persecuzione degli attivisti della Rete. In particolare, sottolinea la denuncia di RSF, si rileva come – al contrario di quanto sostenuto dalla diplomazia Occidentale – sotto Hassan Rouhani le persecuzioni contro gli attivisti del Cyber sono aumentate. In due anni di Presidenza Rouhani, infatti, oltre 100 attivisti della Rete sono stati arrestati e condannati a lunghe pene detentive. Un numero altissimo, superato solamente dagli arresti compiuti nel 2009, durante le proteste per la rielezione del negazionista Ahmadinejad alla Presidenza dell’Iran.

Con oltre 40 milioni di persone che in Iran usano Internet, gli attivisti della Rete vengono definiti da RSF come dei “facili bersagli”. Come noto, infatti, gli iraniani sono costretti ad usare dei filtri speciali per superare la censura del regime, filtri molto spesso venduti dallo stesso regime (anche sulla censura i Mullah fanno business). Nonostante il dibattito all’interno della Repubblica Islamica sulla necessita’ di alleggerire la censura, i Pasdaran hanno aumentato esponenzialmente il controllo delle attività in Rete.

I primi a farne le spese sono stati i membri dello staff del sito Narenjii (Arancione in Farsi). I quattro membri dello staff –  Ali Asghar Honarmand, Abass Vahedi, Ehsan Paknejad e Hossien Nozari – sono stati tutti arrestati dai Pasdaran nel dicembre del 2013, con l’accusa di “collaborare con organi di stampa nemici”. Per loro, la condanna e’ stata durissima: il giudice ha condannato i quattro a pene dai due agli undici anni di detenzione.

Altri attivisti, con doppia nazionalità, hanno pagato a caro prezzo la pubblicazione di post critici del regime sulla loro pagina Facebook. E’ stato il caso di Roya Saberi, con passaporto inglese, arrestata nel 2013 mentre tornava in Iran per visitare la famiglia e condannata a 20 anni di carcere per aver parlato male del regime iraniano durante un conversazione in chat. Stessa sorte per Farideh Shahgholi, anche lei con doppia cittadinanza (ha passaporto tedesco), condannata a tre anni di detenzione nel 2014 per un post su Facebook contro Ali Khamenei.

Al caso Saberi e’ ricollegato l’arresto di sette attivisti della Rete: Amir Gholestani, Masoud Ghasemkhani, Fariborz Kardarfar, Seyyed Masoud Seyyed Talebi, Amin (Faride) Akramipour, Mehdi Reyshahri e Naghmeh Shahi Savandi Shirazi: considerando anche la condanna della Saberi, questi otto attivisti di Facebook – incredibilmente – sono stati condannati a complessivi 133 anni di carcere. Tutti loro sono stati accusati di “insultare il sacro” (ovvero Ali Khamenei) e “collusione contro il regime”. Tutti questi attivisti sono stati costretti ad una confessione forzata, trasmessa dalla TV iraniana (video sotto).

Una degli arrestati, Shahi Savandi Shirazi, e’ riuscita a scappare dopo un breve rilascio provvisorio dal carcere e lasciare il Paese. Fuori dall’Iran, Shirazi ha raccontato la sua terribile esperienza. Dopo l’arresto Shirazi, appena 31 anni, e’ stata portata nel carcere di Evin, nella Sezione 2A, dove sono detenuti i prigionieri politici. Chiusa in una piccola cella, Shirazi poteva sentire i pianti degli altri prigionieri mentre venivano interrogati. Durante l’interrogatorio, Shirazi ha rilevato che i suoi aguzzini conoscevano tutto di lei e delle sue attivita’ online (dalle chat alle email). I Pasdaran, quindi, non le hanno chiesto solo di firmare una confessione forzata, ma anche di scrivere un report accusando i suoi amici degli stessi reati. Durante tutto l’interrogatorio, quindi, alla povera Shahi Shirazi sono state fatte numerose intimidazioni e abusi, anche di tipo sessuale (compresa la minaccia di essere violentata). Le confessioni forzate, infine, sono state tutte usate durante il processo e portate davanti al giudice Mohammad Moghiseh. Come denunciato anche recentemente in un articolo pubblicato da Gaia Italia, la vita privata di Shahi Shirazi e’ stata sconvolta dall’arresto. Il marito, infatti, non ha retto all’idea di una possibile violenza sessuale subita dalla moglie in carcere e ha deciso di terminare la loro relazione. Ritornata per breve tempo nella casa dei genitori, Shahi Shirazi ha continuato a subire telefonate minatorie. Per questo motivo, ha deciso di lasciare l’Iran. 

Reporter Senza Frontiere ha classificato l’Iran al 173esimo posto nella classifica mondiale per la libertà di informazione (su un totale di 180 Paesi…).



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