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Il richiamo della foresta (Jack London)

Creato il 27 gennaio 2015 da Wondergianna @wondergianna

Il richiamo della foresta (Jack London)
Anonima Andrea Cabassi

Il richiamo della foresta - BuckIl richiamo della foresta di Jack London probabilmente è stato il primo libro che ho letto in vita mia. Devo andare molto a ritroso con la memoria e dunque non ci metterei la mano sul fuoco, ma di sicuro è uno dei primi che ricordo di aver letto e cui sono più affezionato, specie ripensando a quegli anni (chiamai il mio primo cane Buck come omaggio al protagonista del romanzo).
Non mi capita spesso di rileggere un romanzo ma, in linea con gli obiettivi di lettura per questo 2015, penso dovrei farlo più frequentemente.

Siccome credo (spero) che tutti conoscano il libro, passo immantinente a introdurvi le mie sottolineature:

Citazioni da Il richiamo della foresta

Pos. 457

Buck non leggeva i giornali

Pos. 478-80

Suo padre, Elmo, un enorme San Bernardo, era stato il compagno inseparabile del giudice e Buck prometteva di seguirne le orme. Non era altrettanto grosso – pesava solamente sessantatré chili – perché aveva preso dalla madre, Shep, un pastore scozzese.

Pos. 488-89

Inoltre, nel gioco d’azzardo aveva una debolezza ancor più pericolosa: credeva in un sistema. Questo rendeva inevitabile la sua rovina

Pos. 505

Aprì gli occhi e in essi balenò la collera violenta di un monarca rapito.

Pos. 576-79

Si rese conto una volta per tutte che contro un uomo armato di bastone non c’era niente da fare: aveva imparato la lezione e non la dimenticò più finché visse. Quel bastone fu una rivelazione, lo introdusse nel regno della legge primitiva ed egli la imparò bene. Le vicende della vita assumevano un aspetto più duro e Buck le affrontava con coraggio, ma anche con tutta la sua istintiva accortezza, prima latente e ormai ben desta.

Pos. 615-18

Al primo passo che fece sulla superficie fredda Buck sentì i piedi affondare in qualcosa di bianco e molle, molto simile al fango: balzò indietro sbuffando. Altra roba bianca come quella stava cadendo dal cielo; si scrollò, ma gliene cadde addosso dell’altra. L’annusò curiosamente e la leccò: bruciava come il fuoco e un momento dopo era scomparsa. La cosa lo lasciò perplesso. Provò ancora con lo stesso risultato. Tutti quelli che lo guardavano ridevano forte e Buck ebbe vergogna, senza sapere perché: era la prima volta che vedeva la neve.

Pos. 703-6

Buck era stato messo apposta tra Dave e Sol-leks perché imparasse. Era un bravo allievo e gli altri due erano bravi maestri: non gli consentivano di persistere a lungo in un errore e gli imponevano il loro insegnamento con i denti aguzzi. Dave era leale e saggio, non mordeva mai Buck senza motivo, ma non mancava mai di farlo quando era necessario. Poiché c’era anche la frusta di François, Buck trovò che costava meno correggersi che ribellarsi.

Pos. 731-34

Questo primo furto dimostrò che Buck era adatto a sopravvivere nell’ambiente ostile del Nord. E rivelò la sua capacità di adattamento a condizioni mutevoli, senza la quale avrebbe incontrato ben presto una morte orribile. Segnò anche il decadimento e lo sfacelo dei suoi princìpi morali, un inutile intralcio nella lotta spietata per l’esistenza.

Pos. 750-60

Non imparava soltanto dall’esperienza; anche gli istinti, a lungo sopiti, si ridestarono in lui. L’eredità delle generazioni addomesticate lo abbandonava. Riandava confusamente con la memoria alle origini della sua specie, al tempo in cui i cani selvaggi vagavano in branchi nella foresta primordiale e si procuravano il cibo cacciando e uccidendo la preda. Non gli costò fatica imparare a combattere a colpi di denti, con lo scatto fulmineo del lupo: così avevano combattuto i suoi progenitori dimenticati; essi resuscitavano in lui l’antica vita, e le antiche astuzie che avevano trasmesso a tutta la specie erano le sue stesse astuzie. Riaffioravano in lui senza sforzo, senza che dovesse scoprirle, come se le avesse possedute da sempre. Quando nelle notti tranquille e gelide puntava il naso in direzione di una stella e ululava a lungo come fa il lupo, erano i suoi antenati, morti e ormai polvere, a levare il muso verso le stelle e a ululare giù dai secoli attraverso di lui. Le sue modulazioni erano le loro, quelle stesse con cui avevano espresso il dolore e ciò che significavano per loro la quiete, il freddo e le tenebre. Così, esempio di come siamo marionette in balia della vita, l’antico canto riaffiorò in lui ed egli ritornò alle origini: ritornò alle origini perché gli uomini avevano trovato un metallo giallo nel Nord e perché Manuel era un aiuto-giardiniere il cui salario non bastava a mantenere sua moglie e molte piccole copie di se stesso.

Pos. 850-52

mise a correre a tutta velocità con Dolly ansimante e schiumante che lo seguiva a brevissima distanza: lei non poteva raggiungerlo, tanto era il suo terrore, e lui non poteva distanziarla tanta era la sua follia.

Pos. 859-62

Allora intervenne la sferza di François e Buck ebbe la soddisfazione di vedere Spitz ricevere la peggiore frustata che mai fosse stata somministrata a un cane della muta. «Un demonio, quello Spitz», commentò Perrault. «Un dannato giorno farà fuori Buck.» «Quel Buck vale due demoni», fu la replica di François. «Più lo guardo e più me ne convinco. Credi a me: un dannato giorno si infurierà come l’inferno, se lo masticherà tutto e lo sputerà nella neve.

Pos. 921-23

François tirava fuori certe bestemmie incomprensibili, batteva i piedi sulla neve con rabbia impotente e si strappava i capelli; la sua frusta continuava a sibilare sui cani, ma serviva a poco: appena voltava la schiena quelli ricominciavano.

Pos. 923-26

François sapeva che dietro ogni agitazione c’era lui, e Buck sapeva che l’altro lo sapeva, ma era troppo astuto per farsi cogliere ancora una volta in flagrante. Con i finimenti addosso tirava coscienziosamente, perché il lavoro era diventato un piacere per lui; ma un piacere ancora più grande era provocare scaltramente una rissa tra i suoi compagni e fare ingarbugliare le tirelle.

Pos. 959-61

La sua rabbia era accanita, mai cieca. Nel suo desiderio appassionato di dilaniare e distruggere non dimenticava mai che un’uguale passione di lacerare e distruggere animava l’avversario.

Pos. 976-77

Per lui non c’era speranza, Buck era inesorabile: la pietà si addiceva a climi più miti.

Pos. 998-99

mentre girava intorno teneva d’occhio il bastone in modo da evitarlo se François glielo avesse scagliato contro, perché la sapeva lunga ormai in fatto di bastoni.

Pos. 1068-69

Quel suo corpo aveva una particolare elasticità e agilità, quasi ferina, e la prontezza vigile di chi vive nel continuo timore di cose visibili e invisibili.

Pos. 1070-72

Intorno a quel fuoco, nelle tenebre, Buck poteva vedere molti tizzoni ardenti, due a due, sempre due a due, e sapeva che erano gli occhi di grandi animali da preda.

Pos. 1237-38

Era semplice dare ai cani meno cibo, ma era impossibile farli camminare più in fretta

Pos. 1319

Ma la muta non si alzò in piedi al comando. Era da un pezzo arrivata allo stadio in cui soltanto le percosse potevano farla alzare.

Pos. 1330-31

Si sentiva stranamente intorpidito e si rendeva conto di essere percosso, ma come attraverso una grande distanza.

Pos. 1333-34

John Thornton si scagliò sull’uomo che brandiva il bastone. Hal venne proiettato all’indietro come se un albero cadendo lo avesse colpito in pieno.

Pos. 1129-31

Il loro male era uno solo: una stanchezza mortale. Non quella che proviene da uno sforzo breve e intenso, da cui ci si riprende in qualche ora, ma la stanchezza che segue a una perdita graduale e prolungata di forze dovuta a mesi di fatica. Non avevano più potere di recupero, né una riserva di energia a cui fare appello. Tutto era stato bruciato, fino all’ultima briciola.

Pos. 1377

«Dio, ti manca soltanto la parola».

Pos. 1379-80

E come Buck capiva che le ingiurie erano parole d’amore, così l’uomo capiva che questo finto morso era una carezza.

Pos. 1405-11

Era più vecchio dei giorni che aveva vissuto e degli anni da cui respirava. Era un anello tra il passato e il presente; l’eternità che stava alle sue spalle pulsava in lui con un ritmo possente al quale si conformava come le maree e le stagioni. Quello che sedeva accanto al fuoco di John Thornton era un cane dall’ampio petto, le zanne bianche e il pelo lungo; ma dietro vi erano le ombre di cani di ogni specie, mezzi lupi e lupi selvaggi, che lo incalzavano e lo incitavano, assaporavano i cibi che mangiava ed erano assetati dell’acqua che beveva, fiutavano con lui il vento e con lui stavano in ascolto, gli insegnavano i suoni della vita selvatica della foresta, determinavano i suoi stati d’animo, dirigevano le sue azioni, si sdraiavano a dormire con lui quando si stendeva a terra, sognavano con lui e diventavano essi stessi l’oggetto dei suoi sogni.

Pos. 1558-59

Potete andare all’inferno, signore. È tutto quello che posso fare per voi, signore.»

Pos. 1572-77

John Thornton chiedeva poco all’uomo e alla natura. Non temeva i luoghi selvaggi: con una manciata di sale e un fucile poteva addentrarsi nella foresta e nutrirsi dove voleva e per quanto tempo voleva. Non avendo fretta, alla maniera degli Indiani, si procurava il cibo con la caccia durante il viaggio; se non ne trovava, come gli Indiani, proseguiva, sicuro che prima o poi lo avrebbe trovato. Così, in questo grande viaggio verso l’Est, la lista delle vivande era composta esclusivamente di carne fresca, il grosso del carico della slitta era costituito dalle munizioni e dagli attrezzi, e il programma era tracciato senza limiti di tempo.

Pos. 1683-84

Appena visto un movimento e udito un suono reagiva in un tempo minore di quello necessario a un altro cane soltanto per percepire il movimento o il suono. Percepiva, decideva e reagiva nello stesso istante.

Pos. 1773-78

La morte, come cessazione del movimento, come fuga della vita dagli esseri viventi, la conosceva e sapeva che John Thornton era morto. Lasciava in lui un gran vuoto, qualcosa di simile alla fame ma che continuava a dolere e il cibo non valeva a colmarlo. Quando si fermava a contemplare le carcasse degli Yeehat, dimenticava per un istante il proprio dolore e provava un orgoglio profondo, superiore a ogni altro fino ad allora provato. Aveva ucciso l’uomo, la preda più nobile, e l’aveva ucciso a dispetto della legge del bastone e della zanna. Annusava incuriosito i cadaveri: erano morti con tanta facilità. Era più difficile uccidere un cane eschimese. Se non avessero avuto le loro frecce, le lance e i bastoni, non avrebbero potuto neanche misurarsi con lui.

Pos. 1783-84

Andò nel centro della radura e rimase in ascolto: era il richiamo, il richiamo dalle molte note, che risuonava più allettante e imperioso che mai, e come mai prima di allora egli era pronto a obbedire.

Pos. 1806-7

Non passarono molti anni che gli Yeehat notarono un cambiamento nella razza dei lupi del bosco

Il richiamo della foresta: giudizio finale

Bellissimo romanzo che – nonostante sia spesso classificato come per ragazzi – presenta temi molto maturi. Buck impara a scoprire la legge del bastone e della zanna, legge che abilmente sintetizza la lotta per l’esistenza in un ambiente aspro come quello raccontato e che alla fine rappresenterà la sua quotidianità. Non solo lotta, però: anche grande libertà e sentimenti che mai aveva provato prima, in contrasto con la vita agiata e piatta dei suoi primi anni di vita.
Nella mia classifica insensata versione 2015 (che è esattamente identica a quella degli anni scorsi) Il richiamo della foresta si merita sette belle ossa da sgranocchiare:

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Obiettivi di lettura 2015: parziale

30 libri x 3,33%

Libri di 10 autori mai letti 0,00%

5 titoli non italiani o anglofoni 0,00%

3 libri di cui non so nulla 0,00%

5 titoli non SF consecutivi x 20,00%

Rileggere 2 libri x 50,00%

5 libri di autori italiani 0,00%

3 titoli di autori esordienti 0,00%

Libro in sospeso da un anno 0,00%

Libro in un giorno x 100,00%

Eccezionale: addirittura con il primo titolo dell’anno taglio un traguardo! Ecco dunque il mio premio autoassegnato per aver letto un libro in un giorno solo:

Leggere un libro in un giorno solo

Il richiamo della foresta (Jack London)
Anonima Andrea Cabassi


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