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Il rivale più temibile. La morte

Da Barbaragreggio

Il rivale più temibile. La morte. Vivere una passione senza freni, fino a morirne. Capita. Era il 6 aprile 2003 quando Dajiro Kato cadde a terra, sbalzato dalla sua moto. Si correva a Suzuka la prima gara del campionato, categoria Moto GP, pochi giri dall'inizio. Quattordici giorni più tardi anche l'ultima speranza si spense per il giovane pilota giapponese, che abbandonando per sempre la pista si lasciava alle spalle una moglie e due bambini piccoli. Pianse il mondo del motociclismo, quel giorno, piansero le persone che lo avevano conosciuto e quelle che avevano imparato ad amare le sue abilità sportive, ammirandolo in televisione. Pianse, proprio come oggi, Claudio Costa, medico responsabile - e fondatore - della Clinica Mobile. Sono passati sette anni dai giorni dell'apprensione per la vita di Kato, dal dolore per una vita spezzata troppo presto. La storia torna, ripetendo il copione della sofferenza sbigottita, dei quesiti irrisolti, delle paure. La scorsa settimana a Indianapolis ha perso la vita un ragazzo tredicenne, Peter Lenz, lanciato in pista all'inseguimento della sua grande passione. Oggi è stata la volta di Shoya Tomizawa, vent'anni andati in frantumi su una curva del circuito di Misano Adriatico, centrato in pieno dal peso involontario e incolpevole di due colleghi, Alex De Angelis e Scott Redding. I piloti, quelli famosi e amati dal pubblico, si sono mostrati affranti per la perdita del giovane, frastornati eppure incredibilmente lucidi. Consapevoli che il rischio di non vedere la fine di una gara è insito nel loro mestiere, certi di non potersi concedere il lusso di pensare troppo a lungo alla componente di pericolosità che accompagna le loro gare. Non deve essere facile salire in moto, dopo la notizia che ha rabbuiato la giornata di oggi. Non lo sarà forse per i prossimi giorni, ma passerà l'amarezza e ancora una volta la passione cancellerà la paura. Per chi guarda da fuori il circo mediatico del motociclismo è impossibile non scuotere la testa in segno di disappunto. Come si può rimanere indifferenti di fronte alla morte di ragazzi tanto giovani quanto sorridenti? Perchè quello che colpisce oggi è la faccia allegra di Tomizawa, il sorriso aperto di chi come lui guarda la pista e sente il cuore battere forte ad ogni curva, un'esplosione di sensazioni che li fa sentire vivi, come nient'altro al mondo. Eppure la felicità che si sprigiona ogni volta che cala la visiera e il motore romba sembra futile, puerile, insensata oggi, che il buio è sceso per sempre sul volto di un giovane. O forse, su quel volto, è rimasto impresso il sorriso della parteza, chi lo sa davvero? Graziano Rossi, motociclista di un'epoca passata, salvato mircolosamente dalle mani amorevoli del dottor Costa, padre del più noto Valentino Rossi, oggi ha riassunto perfettamente i sentimenti di chi vive da dentro il mondo dei motori. "Quando correvo io e ora che corre Valentino, mi avvicino alla componente del pericolo con lo stesso pensiero: il rischio è una cosa che non riguarda me. Ciò non toglie il fatto che io ho paura, e ce l'ho spesso." Cosa significa questo? Semplicemente che la paura c'è, la consapevolezza anche, ciononostante si corre, si sale in sella e si apre il gas. E' parte del gioco, una regola da rispettare, come tante altre. Tutti sperano di battere il rivale più temibile, la morte. Non tutti, purtroppo, ce la fanno. Capita a volte che il rivale si trasformi in passeggero e la gara sfumi sul selciato ruvido di una curva. "Voglio che ciò che amo continui a essere vivo e te amai e cantai sopra tutte le cose... ... voglio che tu viva mentre io, addormentato, ti attendo... Voglio che le tue orecchie continuino a udire il vento e che continui a calpestare l'arena che calpestammo. Con le frasi poetiche di Pablo Neruda rivolgo solennemente un ricordo a chi continua a vivere nella nostra nostalgia." Claudio Costa, dottorcosta, Fucina edizioni 2002. Barbara Greggio


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