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Il solito rituale..una meno solita riflessione

Creato il 21 giugno 2013 da Ilnazionale @ilNazionale

25 GIUGNO – Tre settimane sono passate ormai dal vile attacco al nostro contingente, un episodio che ha fatto salire a 53 il numero delle vittime italiane della missione in Afghanistan. Si chiama Giuseppe La Rosa, un ragazzo di 31 anni. La dinamica dell’incidente è ormai stata chiarita. I talebani ancora una volta hanno rivendicato l’attacco, seppur infilando nella notizia una vena di eroismo secondo la quale sarebbe stato un ragazzino di 11 anni a compiere l’ “eroico” lancio dell’ordigno. La notizia è stata subito smentita, anzi, capovolta visto che un eroe effettivamente c’è stato: proprio Giuseppe La Rosa infatti, vedendo entrare la granata nel mezzo (probabilmente dalla torretta del Lince lasciata aperta per motivi ancora da chiarire), si è gettato su di essa, riparando con il suo stesso corpo il resto degli occupanti.larosa_04_941-705_resize

Ancora una delle tante notizie, questa, l’ennesima che di volta in volta ci arriva dal medio oriente. Sembra quasi di trovarci di fronte ad una prassi consolidata nel tempo, da più di dieci anni: prima c’è l’attentato, subito dopo la notizia, le solite rivendicazioni, le loro smentite o conferme e via con il ritorno in patria. Qui l’arrivo in aereoporto, il funerale nello stesso luogo di sempre, la ormai tristemente conosciuta Basilica di Santa Maria degli Angeli in Roma. Eppure sobbalziamo sempre. E’ come se ogni volta serva tutto questo per ricordarci di essere ancora in guerra. I giorni “normali”, tendiamo quasi a dimenticare che c’è qualcuno dall’altra parte del mondo che combatte contro un nemico, contro un’avversario sempre più invisibile anzi, sempre più vile. E’ proprio una guerra difficile questa, è una missione tutt’altro che lampo. Per di più dopo tutti questi episodi che si ripetono a cadenza purtroppo ininterrotta, possiamo, anzi dobbiamo parlare di una guerra alla lunga più sanguinosa delle previsioni del 2001.

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 Il regime Talebano è stato sconfitto, quello si, o almeno lo è stato formalmente. Dal rango di sovrano è stato relegato a mero artefice di attentati o di comportamenti sovversivi dell’attuale governo. Resta da chiederci però cos’è che ancora oggi regge una tale spinta continua, un moto ininterronto di attacchi singoli e ripetuti ai militari della coalizione. La questione è ovviamente aperta e non è ancora di facile soluzione. Gli avvenimenti attuali devono però portarci a riflettere almeno sul perchè di una tale situazione, del perchè del perdurarsi di questa missione. Se prendiamo il caso dei “moti rivoluzionari” più recenti, quelli ormai contemporanei, anzi, in corso, notiamo che le spinte per rovesciare i regimi dittatoriali, partono dal basso. E’ la popolazione civile che ormai stanca dei soprusi mette in atto rivolte, spinte ben determinate che iniziano assai prima dell’ ausilio militare di un altro stato. E’ stato così con Gheddafi, forse lo sarà ancora per molti altri leader. E’ stato lo stesso nel caso dell’Afghanistan ? O meglio, quando le forze della coalizione hanno invaso il territorio, la popolazione aveva già mostrato istanze serie per perseguire il raggiungimento di una forma di stato libera ? Ovviamente non credo debbano esserci dubbi sul ripudio di un regime sanguinario che per governare utilizza principalmente la violenza nuda e cruda (con tanto di lapidazioni) ancor prima della forza militare.

 Forse quel che resta da criticare sono più che altro i tempi, troppo prematuri per una sovversione improvvisa e manu militari di un regime dittatoriale, un regime ancora non “sfiduciato” a piene mani dalla popolazione, dai suoi sudditi. Probabilmente la reazione all’ attacco dell’ undici settembre, se prima poteva apparire adeguata e ben determinata a “punire” i colpevoli, oggi non risulta poi così ben ponderata e studiata. Al di la di tutto, queste sono considerazioni che ormai appartengono al passato. Ogni questione attuale sull’abbandono o meno della missione in Afghanistan resta pur sempre una scelta politica o, al più, diplomatica (bisogna fare pur sempre i conti con gli altri partecipanti alla missione, in primis gli U.S.A.). Una tale scelta sarà però l’occasione per affrontare una valutazione a posteriori sull’opportunità o meno di un conflitto di una simile portata.
Nel frattempo  non resta che sperare che si trovi una soluzione che garantisca  sempre un fine che giustifichi  i mezzi, specialmente quando questi sono di un valore tanto grande quanto quello della vita umana.

Mario Pacchiarotta

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