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Il tiranno della porta accanto

Creato il 21 ottobre 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

Il tiranno della porta accanto

Avrebbe potuto perire in tanti modi Muammar Gheddafi nel corso della sua carriera politica: per mano di qualche congiura eterodiretta, sotto i bombardamenti alleati nel periodo negli attentati, a causa dei terroristi che si era fortemente inimicato negli ultimi anni, a seguito dell’invasione via terra di truppe occidentali, che sembrava ormai prossima dopo la guerra in Iraq.

Invece Gheddafi è caduto quando ormai era fatta. Era diventato amico di tutti sulla scena internazionale. Un amico un po’ estroverso, certo. Si era pure rivalutato, ci si era quasi dimenticati che si trattava di un dittatore. È morto per mano del suo stesso popolo, quello che per anni l’ha supportato e sopportato oltre quanto fosse possibile osservare dall’esterno.

Il legame con l’Italia è sempre stato forte, ma travagliato. È nato a Sirte, nella provincia di Misurata quando ancora era la quarta sponda del territorio regio, sotto Mussolini, nel 1942, poco tempo prima che l’arma britannica mettesse in fuga le truppe fasciste e gli Afrikakorps di Rommel. L’odio per l’Italia è stato solo in parte soppresso dal desiderio e l’opportunità di far affari con il vicino. E ha radice lontane, nell’infanzia: a sei anni, perse due cugini a causa dello scoppio di una mina italiana, che gli provocò una cicatrice sull’avambraccio destro. 

Non a caso, tra i primi atti una volta al governo, fece sloggiare i venti mila coloni italiani in Libia e designò il 24 ottobre come Giornata della Vendetta, nell’anniversario del massacro di un contingente italiano a Sciara Sciat.

La figura di Gheddafi ha vissuto fasi alterne: prima conturbante leader arabo, poi pericolo terrorista, poi bizzarro tiranno africano e infine socio d’affari. Grazie al petrolio è riuscito a distinguersi dagli altri ducetti che popolano il continente nero. E grazie alle risorse naturali libiche, la Comunità Internazionale gli ha perdonato qualche uscita discutibile.

Un’esistenza sempre sopra le righe, fin dall’università, dove, affascinato dagli ufficiali liberi egiziani di Nasser, capaci di cacciare il re Faruk, creò il gruppo deli ufficiali liberi unionisti, iniziando a ponderare la via militare per scacciare la monarchia e le armate britanniche e americane. Frequenta legge e poi l’accademia militare di Bengasi e per sei mesi quella inglese di Sandhurst. Al ritorno impone ai compagni cospiratori una vita ascetica: solo studio e preghiere, vietati tabacco, alcool e sesso, in attesa del grande evento.

Nel settembre ’69 guida il colpo di stato che detronizza l’emiro di Cirenaica Idriss che si era proclamato Re di Libia e si insedia al potere. Si attribuisce solo il ruolo di Colonnello e questo sarà di fatto uno dei pochi limiti a cui si è piegato.

Il mondo guarda con interesse e fascino l’ufficiale ventisettenne, asciutto, fotogenico e sobrio capace di organizzare un così ben riuscito golpe contro una monarchia debole e corrotta. Ma questa fase dura poco. Il Gheddafi asceta sparisce per lasciare posto al Muammar megalomane, delirante. Si definisce faro del mondo arabo, salvo poi fallire miseramente il tentativo di creare una federazione con Egitto e Siria nel ’70, dopo la morte di Nasser. Perde ben presto la fiducia degli alleati, tanto che non viene neppure consultato prima dell’inizio della guerra del Kippur, nel ’73, contro Israele.

L’autostima non ne risente. Gheddafi lancia la sua rivoluzione culturale, vieta i libri stranieri, soprattutto quelli dei comunisti ebrei: il Corano è l’unica guida. Parla alle classi popolari, ai beduini e ai giovani, propone una democrazia totale, l’unica vera dopo quella ateniese. Il petrolio garantisce un’ampia distribuzione della ricchezza e il Libro Verde delinea una forma di governo che parte dai congressi di base, ai quali appartengono i cittadini, si articola in sindacati e associazioni più ristrette fino ad arrivare in cima alla piramide, al Congresso generale del popolo. Si chiama Jamahiriya, lo Stato delle masse, una sorta di via islamica al socialismo.

Una teoria con nulla di concreto: Gheddafi da lì a poco si dimostrerà un feroce dittatore, avviando nel ’77 la prima repressione di una trentina di oppositori. Rastrellamenti, processi farsa, torture ed esecuzioni diverranno una consuetudine.

Cambia prospettiva: ora è il saggio d’Africa. Si impegna nella guerra in Ciad, dove guida al potere Gukuini Oueddei che entra nella capitale N’Djamena sopra un tank libico.

Si avvicina all’Unione Sovietica e questo causa l’ira di Reagan. Iniziano gli attentati: negli aeroporti di Vienna e Roma e poi nell’88 l’eclatante Lockerbie e contro il DC10 della compagnia francese UTA. L’Occidente prova a metterci una pezza, ma bombarda senza successo Bab Al-Azizya, il suo quartier generale, nell’86. Ci vorranno dieci anni e pesanti sanzioni Onu prima che la longa manus di Gheddafi diventi palese.

Gheddafi è ormai un nemico pubblico, ma le cose cambiano in fretta. Nel 2003 Bush invade l’Iraq e il Colonnello inizia a collaborare per non subire la stessa sorte. Dichiara guerra feroce ai jihadisti, Bin Laden in testa. Riempie le carceri di integralisti e lavora in concerto con la Cia e i servizi inglesi. Abbandona il programma nucleare. L’immagine è ripulita, gli affari vanno a gonfie vele. Non per questo, però, Gheddafi cessa di essere un despota.

La comunità internazionale sembra non curarsene. Sarkozy lo accoglie con mille onori a Parigi, consentendogli di piantare la tenda davanti all’Eliseo. E sappiamo bene come lo ospitò Berlusconi. Gheddafi ora è amico di tutti, a discapito dei milleduecento prigionieri indiscriminatamente nelle carceri di Tripoli.

La restituzione dei corpi è la prima richiesta dei manifestanti del 17 febbraio a Bengasi, quando comincia l’insurrezione. La festa è finita, gli amici se ne vanno: tutti lo mollano, anzi, gli fanno la guerra. In barba ai sorrisi e alle moine di pochi mesi prima. Gheddafi resisterà ad oltranza, fino all’esecuzione in quel di Sirte.

Lo ricorderemo con le parole di Oriana Fallaci:

Oltre ad essere un tiranno è un tiranno è un gran villanzone dalle labbra maligne e portate al sorrisino compiaciuto, di chi è molto soddisfatto di sé perché oltre a sapersi importante, potente, si crede anche bello. Tra i miei intervistati, è senz’altro il più cretino di tutti.

Fonte: Repubblica, Corriere


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