P. Rizzo, Treno in corsa (1929), Archivio Rizzo
La ferrovia diviene in brevissimo tempo il mezzo di comunicazione più efficace e i governi di Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania e Italia (in questo caso con notevole ritardo) concentrano su di essa enormi capitali: Lincoln lo usa per la campagna elettorale, i governatori coloniali la sfruttano come principale strumento di controllo del territorio; nel 1883 iniziarono i viaggi dell'Orient Express, che collega Parigi e Costantinopoli e nel 1903 viene inaugurata la Transiberiana per collegare Mosca al porto di Vladivostok e durante i due conflitti mondiali l'importanza strategica delle ferrovie cresce a dismisura.Non stupisce, dunque, che il treno abbia nutrito un ricco immaginario, conquistandosi un ruolo di primo piano nella letteratura: pensiamo al viaggio di Jurij Živago attraverso la Russia, alla sfortunata vicenda di Anna Karenina, la cui storia d'amore con Vronskij ha inizio e fine proprio in una stazione ferroviaria o alle riflessioni di Giacomo Aghios durante il suo spostamento da Milano a Trieste. L'arte, ovviamente, non tarda a registrare la presenza di questo nuovo ritrovato tecnologico.
È William Turner, nel 1844, ad immortalare per la prima volta nel suo celebre dipinto Pioggia, vapore e velocità, un treno in corsa. Sceglie, forse sulla base di una suggestione personale colta durante un viaggio, di riprendere il mezzo frontalmente, mentre percorre il ponte sul Tamigi fra Taplow e Maidenhead, allontanandosi da Londra. I particolarissimi effetti della ricerca luministica e coloristica dell'artista romantico, che arriva a confondere, come spesso accade nelle sue opere, il cielo, l'acqua e la terra, viene qui piegato alla resa dell'effetto della velocità, a cogliere il turbinio di vento e calore smosso dal passaggio del treno, attorno al quale tutto si dissolve.
J.M.W. Turner, Pioggia, vapore e velocità (1844), Londra, National Gallery
Non molti anni dopo il testimone del ritratto del treno passa nelle mani di Claude Monet, che realizza diversi quadri con questo soggetto, soprattutto negli anni 1875-1877. A questo periodo risalgono sia Il treno nella neve, dipinto nell'inverno del 1875 trascorso ad Argenteuil con la ripresa del taglio diagonale della ferrovia già scelto da Turner e una fusione di colore fra il cielo e il fumo della locomotiva e, soprattutto, negli esemplari dedicati alla Gare Saint-Lazare.
C. Monet, Il treno nella neve (1877), Parigi, Musée Marmottan-Monet
In due rappresentazioni della stazione parigina incontriamo due diverse visioni determinate dalle variazioni del punto di osservazione e della luce: L'arrivo del treno a Saint-Lazare appare più confusionario, concentrato sugli spostamenti dei treni presso uno scambio e con la presenza, in primo piano, di un operaio dello scalo: il fumo della locomotiva di destra si alza in una densa nuvola azzurra che sale verso il soffitto di ferro e vetro. Più rarefatta, meno definita nella ripresa del treno e rivolta alla rappresentazione della comodità del viaggio che attende i passeggeri appare invece la seconda tela, dove dominano incontrastate le tonalità dell'azzurro.
C. Monet, Gare Saint-Lazare - L'arrivo del treno (1877), Massachussets, Fogg Art Museum
L'artista francese conduce quindi la sua ricerca di luce non solo sugli ambienti naturali o sulle strutture architettoniche, ma si dedica anche alla rappresentazione di una realtà modernissima, fatta di velocità e forse proprio per questa adatta all'impressione. È questo, d'altronde, l'orizzonte reale dell'uomo del XIX secolo e, ammirando le rappresentazioni di Monet della Gare Saint-Lazare lo scrittore e giornalista Emile Zola dichiara che «vi si sente lo sferragliare dei treni che arrivano veloci, si vedono le zaffate di fumo che roteano sotto i vasti hangar. Oggi la pittura è là, in quegli ambienti moderni con la loro bella grandezza. I nostri artisti devono scoprire la poesia delle stazioni come i loro padri scoprirono quella delle foreste e dei fiumi».
C. Monet, Gare Saint-Lazare (1877), Parigi, Musée d'Orsay
Sognante e fantasioso è, qualche anno dopo, il treno di Evard Munch: nel 1900 conferisce a Il fumo della locomotiva un'impostazione orizzontale, in cui il treno è in posizione ribassata rispetto al centro della tela e nascosto da una fila di alberi sopra i quali si leva il vapore. La nuvola bianca non è svirgolettata come nei dipinti di Monet, ma densa, corposa e con sfumature dorate che danno al quadro una connotazione più da mondo fiabesco che da società industriale, accentuata dalla presenza del lago e del cielo che, con i loro riflessi multicolori, delicati e rilassanti, sembrano come adagiarsi morbidamente sul fumo.
E. Munch, Il fumo della locomotiva (1900), Oslo, Munch Museum
La scelta di Munch sembra riallacciarsi alla prima rappresentazione della ferrovia di Monet che, nel 1870, prima dell'affermazione dell'Impressionismo e molto meno nota della serie di Saint-Lazare, aveva relegato il treno ad un elemento di sfondo, decisamente marginale rispetto ad una veduta campagnola, come se Il treno nella campagna rappresentasse il timido affacciarsi della società industriale e il tentativo dell'artista di transitare gradualmente dalla natura alla tecnologia.
C. Monet, Il treno in campagna (1870), Parigi, Musée d'Orsay
Ad impossessarsi con maggiore foga dell'iconografia del treno sono però i Futuristi, che in esso vedono una manifestazione di quell'irruenza, di quella potenza, di quel rumore e di quella velocità che invocavano a gran voce fin dal manifesto del 1909. Prima dell'esplosione dell'avanguardia, però, Umberto Boccioni, che ne diventerà a breve il maggior esponente in campo artistico, realizza un dipinto molto tradizionale e lontanissimo dai canoni futuristi: è il 1908 e Il treno che passa si concentra su un'enorme distesa di grano alle spalle della quale si intravede il mare e in cui la locomotiva sembra quasi un elemento estraneo, che deve transitare perché sia ristabilita la naturalezza dell'ambiente. È forse la preparazione alla scomposizione di forme e all'irruenza della simultaneità che si prepara per gli anni seguenti.
U. Boccioni, Il treno che passa (1908), Lugano, Museo Civico di Belle Arti
Nel 1916 Renato Marcello Baldessari dipinge Velocità+treno+folla, descrivendo una locomotiva dai piani scomposti per rendere quell'effetto di velocità e simultaneità di visione che recupera alcuni esiti del cubismo e che produce una nuova fusione fra il treno, la stazione, il cielo e la folla attraverso la sovrapposizione delle sagome e delle masse: i corpi dei viaggiatori si intravedono, ma sono dissolti nell'atmosfera che dividono col treno, come se vi fossero già saliti e la loro presenza sulla banchina appartenesse al passato.
R.M. Baldessari, Velocità+treno+folla (1916)
Simili nell'idea ma molto differenti nella visualizzazione risultano i treni di Pippo Rizzo, futurista siciliano che si dedica in più di un'occasione al tema delle ferrovia: nelle sue scomposizioni dominano i colori azzurri e blu e una scansione geometrica dello spazio circostante il treno che mira a rendere il piegarsi del fumo verso la coda (nella visione frontale del 1929) o la rapidità del passaggio nel Treno notturno in corsa (1920).
P. Rizzo, Treno notturno in corsa (1920), Archivio Rizzo
F. Depero, Treno partorito dal sole (1924),
Collezione privata
C.M.