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Il vento profondo

Creato il 28 maggio 2011 da Stiven1986

Per una volta è bello. Per una volta ci arriviamo da favoriti: non parliamo di recupero, non parliamo di sorpasso, non abbiamo nemmeno contato i gol fuori casa. Ci divertiamo, teniamo palla, e aspettiamo. Gli altri si innervosiscono, erano loro i favoriti. Adesso mirano alle caviglie – ma non trovano neanche quelle, tanto da sembrare ridicoli -, giocano sporco. E qualche loro tifoso se ne accorge. Abbandona lo stadio.

Il vento cambia davvero è lo slogan. E forse vale la pena ricordare la prima volta che ho sentito parlare di vento. Era il bottom wind, “il vento profondo”, “l’energia romantica che “accarezza e sospinge gli individui”. Era la Leopolda, ma anche in quel caso, tutto cominciava da Milano, dalla delusione delle Regionali, finite come sempre. Cominciava un sabato mattina, affollato di persone deluse, con la voglia di ripartire. Dopo Firenze, riportavo le parole di Ginsborg:

Il romanticismo non è solo un movimento introspettivo ed emotivo, che procede dall’esperienza interna a quella esterna, ma si muove anche in senso inverso. In altre parole, l’interiorità fortemente arricchita, appassionata e inquieta, è alla costante ricerca di espressioni esterne degne di essa.

E basta pensare a come tutto ebbe inizio, alle primarie, per capire. Cos’è stata Milano, in questi mesi, per il centrosinistra, per noi, se non questo movimento alla ricerca di “espressioni degne”? Sabato scorso sono stato in via Padova. Incontri le persone, e non devi dirgli niente. Votano già Pisapia, hanno la spilletta, il volantino in borsa, il foulard arancione. Siamo agli sgoccioli e, per una volta, tutti hanno trovato l’espressione.

Se provi a entrare nella mia testa, Capataz,
e coi miei occhi guardi fuori, quante persone e quanti cuori,
quanti colori al posto di quel grigio, quante novità.

Ieri sera, in piazza del Duomo, c’è stato l’arcobaleno, subito dopo il grigio. E lì sotto c’eravamo noi, quante persone e quanti cuori che da mesi lavorano per cambiare. Ho guardato la chiusura in streaming, e mi sembrava la campagna elettorale del 2008, moltiplicata per mille, perché qualche microfono non funzionava, perché Pisapia da bambino voleva essere Paperoga, perché da preadolescente, dice lui, non se lo filava nessuno. Ancora capace di emozionare, perché capace di usare le nostre parole – e non quelle del centro, e non quelle della destra – semplicemente, senza retorica, capace di parlare chiaramente delle sfide che la sua amministrazione vorrà affrontare, anche le più complesse, senza trattarle come questioni di decoro urbano, ma con la serietà necessaria.

Detto questo, leggete Pippo, mi raccomando.



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