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Intervista con Alberto Mesirca, prima parte

Creato il 09 novembre 2010 da Empedocle70
Intervista con Alberto Mesirca, prima parte
La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra e con quali strumenti suona o ha suonato?
Il mio interesse per la chitarra è stato inizialmente casuale. Si respirava musica a casa nostra; il mio nonno paterno (vincitore del Premio Campiello per un suo racconto) aveva una collezione molto vasta di dischi, che ho ereditato. A sette anni ho cominciato a sentire il desiderio di suonare uno strumento, e dato che una zia materna aveva una chitarra in casa, ho chiesto di poterla suonare; non ho più smesso. Sebbene mi piacciano molto anche altri strumenti (come il violoncello, o il clavicembalo) purtroppo non ho mai avuto il tempo di dedicarmici, sebbene sia rimasta la volontà di evocare-imitare, nel momento dell’esecuzione alla chitarra, alcune sonorità tipiche di altri strumenti, specialmente ad arco: la chitarra ha una gamma di possibilità timbriche vastissima (Berlioz la definiva una “piccola orchestra”).
Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei suona sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … si riconosce in queste parole?

Sì, sono abbastanza d’accordo; probabilmente essendo la musica in continua evoluzione, non si può pensare di ignorare il passato, sia che la contemporaneità sia una continuazione, sia che proceda per contrasto, rottura col passato. Molti compositori contemporanei scrivono pensando ad altri compositori del passato, ispirandosi alle loro opere o richiamando il loro stile, il loro pensiero; sarebbe davvero difficile interpretare le nuove composizioni senza conoscerne l’origine. Poi naturalmente è sbagliato generalizzare: in alcuni casi ho assistito a performances fantastiche di musicisti provenienti da ambienti musicali differenti da quello classico (jazz, musica elettronica) e ingaggiati per concerti di musica contemporanea che hanno fatto cose meravigliose.
Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Bisogna capire cosa intende con la parola “improvvisazione”. Se con questo termine intende una libera invenzione basata un tema predefinito, allora nella musica classica è abbastanza difficile. Uno dei pochi momenti di libertà compositiva affidata all’esecutore, nel repertorio strettamente classico, è la cadenza nei concerti per solo e orchestra. Qui ci si può permettere di far emergere il lato inventivo, oltre che quello interpretativo. In alcune composizioni contemporanee si trovano elementi di libertà, in cui il compositore suggerisce un’emozione da creare, o spesso dà un’indicazione precisa di tempo (in secondi), in cui un esecutore può liberamente muoversi, seguendo le linee suggerite dall’autore.
Nel passato l’improvvisazione aveva a che fare con le “variazioni”, le “diminuzioni” su linee preesistenti; anche il “basso cifrato” di accompagnamento di strumenti solisti prevedeva una forma di invenzione da parte dell’esecutore, sebbene si dovesse seguire delle regole ben precise.
Tutto ciò per dire: probabilmente nella musica classica è difficile parlare di libera improvvisazione. Io personalmente ho una grandissima considerazione della musica che eseguo, e cerco di rispettare tutti i suggerimenti che un compositore dà. L’interpretazione, a mio parere, dovrebbe essere sempre in qualche modo conforme all’idea originaria del compositore; e trovare un equilibrio tra la volontà di chi scrive e quella di chi esegue è molto difficile
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So che lei ha studiato al Conservatorio di Castelfranco Veneto e con Barrueco, Diaz, Pierri ... che ricordi ha di loro, dei loro insegnamenti, della loro poetica musicale?

Ho avuto la fortuna di avere un ottimo Maestro (Gianfranco Volpato) al Conservatorio di Castelfranco. Mi ha insegnato un approccio sano, naturale allo strumento. Questa caratteristica mi accompagna tutt’ora, e mi sbalordisce vedere come tanti concertisti della mia generazione abbiano problemi di infiammazioni ai tendini, di distonia focale, di cervicali, dita che non funzionano; in 19 anni di studio (di cui ormai 8 dedicati interamente allo strumento) non ho mai avuto un problema. Dopo gli studi in Conservatorio ho studiato alla Musikakademie di Kassel, con Wolfgang Lendle, con cui abbiamo fatto un lavoro focalizzato sul momento della performance: proiezione del suono, pulizia tecnica, “esagerazione” dell’interpretazione, presenza sul palco. Naturalmente ho anche avuto modo di ampliare molto le conoscenze del repertorio, studiando praticamente tutti i maggiori concerti per chitarra e orchestra, molte Sonate e composizioni di tutti gli stili, dal rinascimentale al contemporaneo. A questi due maestri sono estremamente grato.
In occasione di festival e concorsi poi si ha l’opportunità di fare lezioni con grandi concertisti, come appunto Manuel Barrueco, Alvaro Pierri, Alirio Diaz; naturalmente in questi brevi incontri non si ha abbastanza tempo per lavorare molto; ma ogni loro suggerimento e indicazione è stato prezioso, e naturalmente l’opportunità di vederli suonare dal vivo, di vederli mettere in pratica il loro pensiero musicale, è stata anch’essa una grande esperienza
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