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Io sono Max Pezzali

Creato il 15 ottobre 2013 da Mcnab75

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Che poi la discussione era nell’aria da qualche giorno, sui miei profili social.
Complice l’uscita dell’imminente biografia di Max, I cowboy non mollano mai, libro ottimo, che ho divorato in una sera.
Ebbene sì: oggi parlo del frontman degli 883, uno dei cantanti italiani che più stimo, e di cui, nel bene o nel male, non ho mai perso le tracce, a differenza di tanti altri suoi “stimati” colleghi che col tempo ho iniziato a portare bellamente sui coglioni.
Sì. in questo post potrebbero scapparmi delle parolacce. Siete avvertiti.
Max, dicevamo. L’antidivo, il ragazzo di Pavia, del borgo per eccellenza, che fa successo senza che il successo se lo faccia a sua volta. L’ex ragazzino che collezionava i fumetti dell’Editore Corno, e che da essi ha tratto il titolo per la sua prima  e più celebre hit, Hanno ucciso l’Uomo Ragno. Il ragazzo che sognava l’America, che cullava sogni artistici, laddove – nel borgo – è quasi impossibile farlo.
Max, una delle pochissime persone nel mondo della discografia italia, in cui ho lavorato per tre anni abbondanti, di cui posso dire soltanto bene, a livello umano.
Se partecipassi a uno di quei giochini stupidi del genere “Se tu fossi un cantante famoso, chi saresti?” Io risponderei senza esitare: Max Pezzali.

Spero che questa mia ammissione sia utile ad allontanare definitivamente dal blog tutti i radical-chic, gli intellettuali da salotto, gli snob, gli hipster, i poseur e tutte quelle persone che, alla larga o alla stretta, si avvicinano a queste categorie sociali.

Che poi io Max lo apprezzo davvero, mica per provocazione.
E so che molti rideranno di questo.
Rideranno quelli che pensano di ascoltare solo loro buona musica (mai italiana, per carità!).
Rideranno quelli che gli 883 li hanno sempre considerati, a torto o a ragione, la band un po’ tamarra a cui non dedicare mai un minuto di vera attenzione.
Rideranno anche quelli che, viceversa, pensano che la musica italiana sia solo rappresentata dalla trimurti fabiofaziana Jovanotti, Vasco, Ligabue. I cantanti che piacciono ai salotti buonisti. Senza offendere nessuno, che i gusti son gusti.
Ma io preferisco Max.

Dal suo libro si intuisce il percorso della sua musica, in realtà perfettamente comprensibile a chi si è preso la briga di ascoltare le sue canzoni, al posto che deriderle preventivamente.
Canzoni semplici e immediate, spesso rustiche, che narrano la giovinezza dei ragazzi del borgo, della periferia. I sogni del giovane che ama i fumetti, ma che vede incombere l’età adulta. Le uscite nel weekend, a cercare una fuga dall’omologazione del borgo medesimo, salvo comprendere che spesso è impossibile farlo. I primi amori, le prime cotte, ma riferite a un periodo in cui l’approccio ragazzo/ragazza era tutto una scoperta, non come i giovani d’oggi, che a tredici anni sono già grandi fan di siti come BangBros. Canzoni sull’amicizia, ma non quella troppo idealizzata e fumosa narrata da altri cantautori.

max pezzali 2

Il bello di Max, l’antidivo, il nerd (grande esperto di fumetti, di cinema western, di supereroi, di cultura giapponese e americana) diventato famoso cantando pezzi sulla normalità grigia e un po’ deprimente del ragazzo-medio italiano. Medio sì, ma sufficientemente sveglio per cercare una via di fuga, fosse essa una donna, un viaggio (Nord, sud, ovest, est) o una sala giochi (Jolly Blu).
Ma anche Max l’adulto, capace di scrivere pezzi dedicati alla sua donna, che non siano però delle indigeribili polpette melodiche dal ritonello sole-cuore-amore.

Il libro di cui vedete la copertina non fa altro che confermare questi aspetti del Pezzali persona/personaggio, uno che per anni ha provato comunque a continuare il volontariato in ambulanza, fin quando ha capito che la sua presenza (da ormai “star”) era di impedimento alle operazioni di pronto soccorso a cui partecipava.
Uno che sa ancora farsi un viaggio coast-to-coast con gli occhi del ventenne che viaggia per la prima volta fuori Pavia.
Un uomo oramai adulto che confessa che una delle sue grandi paure è, ancora adesso, quello del vedere i sogni morire con l’età, del doversi omologare solo perché tutti lo fanno.

Rustico, il buon Max, ma di un rustico che piace.
Forse è perché anch’io sono cresciuto in una provincia simile alla sua, a 20 km da Milano. Un posto tranquillo e normale, in cui però avere qualunque ispirazione o vezzo di tipo creativo di faceva additare come quello “strano”, poco affidabile. Mica come adesso, che è consuetudine vedere in giro tizi vestiti da emo, da metrosexual, in stile cosplayer o chissà che altro.
No, una volta la provincia ti inghiottiva e ti omologava, anche se eri il più ribelle dei ribelli. In pochi abbiamo resistito.
Ecco, io quest’affinità col vecchio Max l’ho sempre sentita.
E mi ha fatto molto piacere leggerla, nella sua biografia molto spiccia e assai poco autocompiacente. Perfino dalla parola scritta ho infatti percepito il suo antidivismo, il suo continuo definirsi un sognatore dallo spirito del “tedesco dell’est”, preciso nel portare a termine gli impegni presi, ma al contempo incapace di essere personaggio e VIP. Ma capace anche di definirsi ipocondriaco, nerd, fuori contesto nel mondo delle celebrità nostrane.

Che poi quel suo essere sempre stato estraneo a ributtanti progetti buonisti, alle canzoni contro la guerra incise un tanto al kg, al suo rifiuto della retorica romantico-melodica di tanti cantautori, al suo preferire la canzone d’amore schietta, che non quella elevata e generalista… ecco, tutto ciò me lo fanno stare ancora più simpatico.
E io sarò sempre Max Pezzali.
Almeno un po’.

max pezzali

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(A.G. – Follow me on Twitter)


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