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Io vivo sempre insieme ai miei capelli. Purtroppo.

Creato il 10 dicembre 2015 da Annagiulia @annagiuliabi

Tirana è la città in cui capisci che una donna è stata dal parrucchiere perché sta peggio di prima” (cit.)

Ecco, questo assunto regalatomi ieri dal mio dirimpettaio di scrivania racchiude il disagio che da un anno e mezzo coinvolge e stravolge l’area intorno al mio scalpo.

Il mio rapporto con le parrucchiere non è mai stato particolarmente sereno, e non solo perché fin da ragazzina ho avuto a che fare con una folta schiera di incompetenti – una dei quali, ormai 9 anni fa, ricreò per me la capigliatura di Ringo Starr.

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Il problema di fondo è la mia totale incapacità di conversare con perfetti sconosciuti, soprattutto quando questi ritengono del tutto normale pormi domande personali mentre mi tagliano la frangia.

Voglio dire, signora mia, sti ciuffi resteranno sulla mia faccia per almeno un paio di mesi, magari è meglio concentrarsi e non trasformarmi in Capitan Spock, o no?

La scelta professionale di mia sorella, che guarda un po’ ha deciso di diventare parrucchiera, forse per non dovermi più vedere con dei tagli di capelli da beatle, ha solo peggiorato la situazione, almeno da quando sono emigrata.

Non è semplice riadattarsi a farsi mettere le mani in testa da sconosciute, soprattutto dopo le cure affettuose di una consanguinea che prima di tagliare valuta le forme del viso, rifiuta di procedere a trattamenti che danneggerebbero il fusto del capello, fa domande personali mentre lavora per affetto e non per oscuri motivi (temo che le parrucchiere di tutto il mondo conservino archivi contenenti le confidenze di ogni cliente, a scopo ricattatorio naturalmente, e che Scientology dovrebbe prendere esempio da loro, o assoldarle).

Nei 17 mesi trascorsi da questa parte del mare, le esperienze con gli specialisti del capello hanno avuto fortune alterne: dove ho trovato tagli decenti mi hanno fritto i capelli con i colori, dove il colore era di buona qualità la pettinatura somigliava terribilmente a un fungo.

Oltretutto, ma qui le poverette non possono farci nulla, per motivi di natura antropologica le pieghe che donano alle fanciulle autoctone un aspetto raffinato e gradevole, mi fanno sembrare la versione sfigata e demodè di Farrah Fawcett.

Certo, se le graziose specialiste del capello si degnassero di ascoltare le mie richieste – no cofana à la Amy Winehouse, no punte all’infuori, no frangioni bombati – forse inizierei ad approfittare del costo particolarmente basso dei servizi di lavaggio e piega per smettere di lavarmi i capelli in casa una volta per tutte.

Mi sentire una vera madamina, eviterei l’effetto scopa di saggina e neanche l’umidità che mi sta sgretolando le ossa potrebbe qualcosa contro la tenuta cementea della piega.

Ma poi forse non sentirei più nostalgia di mia sorella e della sua innata, elegante diplomazia che di fronte ai tagli osceni e ai colori improbabili con cui periodicamente mi presento a casa, commenta: “Ma sì, non è poi male, ti darei giusto una sistematina ma in generale stai bene”.



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