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Italiani volgari

Creato il 23 gennaio 2015 da Cultura Salentina

Italiani volgari

23 gennaio 2015 di Titti De Simeis

Italiani volgari

Tra i titoli di un giornale, leggo: “La rivincita dell’italiano”. Un’ultima statistica rileva che la lingua italiana sta ‘finalmente’ avendo la rimonta sui dialetti.
Insomma pare che in Italia, dopo lunga fatica, i bambini stiano disimparando l’uso del dialetto. Intorno a questo successo linguistico, l’entusiasmo di coloro che difendono la ‘purezza’ della nostra lingua. Così si legge. Tra percentuali, sottrazioni, confronti fra nord e sud e tra periodi storici, il tutto in rapporto al grado di cultura della popolazione in proposito. Sempre quella italiana, ovvio.
Contro il dialetto milita il mondo della ‘cultura nazionale’, rappresentata da insegnanti e genitori soddisfatti che i loro sforzi siano, finalmente, ricompensati da uno spiraglio di buon vento. Senza alcun riferimento politico o di parte politica, assolutamente. Si parlava di cultura. Soltanto.
Ma perché tanta vergogna nel lasciare che i nostri ragazzi parlino il dialetto? Perché, ancora oggi, si chiede loro di ‘parlare bene’? L’Italia è un Paese con una storia fatta di piccole storie, di una lingua fatta di piccoli ceppi linguistici, di una cultura nazionale fatta di tante culture regionali. E di queste culture fanno parte anche le differenze linguistiche che, nei singoli dialetti, trovano la loro origine. Ogni dialetto è figlio di un percorso storico-sociale, di trasformazioni, di un passato che lo ha nutrito con la sua vita. Il dialetto è figlio di altre lingue che, nel tempo, sono confluite nella lingua italiana. E queste ‘madri’ sono degne dei più alti riconoscimenti culturali. Ai primi posti il latino ed il greco: e qui la nobiltà culturale è indiscutibile. Poi ci sono anche: il francese, le lingue anglosassoni, il croato, l’arabo, il turco, lo spagnolo e altre, diciamo, ‘minori’. A seconda della prossimità con una regione italiana, esse hanno fecondato la lingua dei nostri padri facendo nascere la nostra. Senza quegli influssi e senza il passaggio attraverso i dialetti, la lingua nazionale, quella definita ‘pura’ oggi, non ci sarebbe. Il dialetto è stato la linfa della lingua nazionale, i dialetti sono stati i semi da cui son germogliate le varie parlate regionali, che, anche nelle loro vesti italiane conservano quelle inflessioni che nessuna ‘guerra linguistica’ potrà mai cancellare. Il dialetto è stato, per anni, la lingua usata in ambito familiare, quella che alimentava l’intimità di un linguaggio, che faceva sentire a casa. Quella che dava calore e colore ad un dialogo, con le sue espressioni che finivano col somigliare a colui che le usava.
Luigi Pirandello, uno dei più grandi scrittori italiani, siciliano e promotore della cultura siciliana, disse: “Una tale cosa, in italiano, esprime il concetto. La medesima cosa, in dialetto, esprime il sentimento”. Potremmo aggiungere che l’uso di entrambe le lingue completa la formazione di un individuo? La linguistica conosce bene l’importanza di salvaguardare i nostri dialetti come fonte e come base da non perdere, da cui ripartire per difendere la nostra lingua da una contaminazione ben più rischiosa: quella dalle lingue straniere. L’inglese in primo luogo sta estirpando molte radici che, pian piano vanno estinguendosi, purtroppo.
Più che della ‘rivincita’ dell’italiano sul dialetto si dovrebbe, dunque, gioire della resistenza della lingua italiana che ancora vuole raccontarsi, che ancora vuole raccontare la storia che le appartiene, che non cede, che vuole insegnare la forza delle sue basi così difficili da smantellare. La lingua italiana ha una storia affascinante, una ricchezza ed una leggerezza al contempo che la rendono rara, nelle peculiarità delle sue accezioni, nella ricercatezza e nella somma anche delle sue diversità dialettali. Il nostro italiano è un tutt’uno con i suoi dialetti, non è in lotta con loro per la supremazia d’espressione. L’uno non esclude gli altri, gli uni sostengono l’altro, la loro convivenza fa la nostra cultura linguistica.
Il ‘parlare bene’ dovrebbe, invece, bandire la volgarità, ciò che il Vocabolario dell’Enciclopedia Italiana Treccani definisce: “mancanza di educazione, di finezza e di signorilità, di elevatezza e di nobiltà spirituale”.
In altri termini, mettere fine all’abuso delle espressioni offensive e prive della più elementare forma di decenza.
Una riflessione, per concludere in leggerezza: avete mai fatto caso che, se dette in dialetto, persino le parolacce fanno sorridere?


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