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Italiani, what else?

Creato il 14 novembre 2011 da Arvales @ArvalesNews

Italiani, what elseHo provato a “spremere” tremila anni di storia della nostra civiltà, per cercare di capire la reale portata di quello che sta accadendo in Grecia e in Italia. Spremere, non analizzare che è un’altra cosa. Quando mi accorgo di avere qualcosa di troppo grande e complesso tra le mani, abbandono l’approccio deterministico e affido alla percezione il compito di produrre una sintesi. Affidarsi alla percezione non è scientifico come metodo per definire concetti e dare giudizi; come non lo è, del resto, quello di guardare negli occhi una persona per capire l’indole benevola o malevola di chi hai di fronte. La natura ci ha dotato di questa strana e controversa facoltà, alla quale ricorriamo quando la ragione si rivela inadeguata a fornire risposte. Quello che importa è raggiungere lo scopo, che per me significa capire se le parabole discendenti di Atene e Roma siano congiunturali o rappresentino i primi cedimenti delle strutture culturali che tengono in piedi il modello di vita occidentale. Non m’importa che la risposta mi venga fornita dall’intuito o da una lunga e rischiosa navigazione nell’infinito mare dell’opinabile: il destino della civiltà occidentale è un affare troppo grosso per essere confinato in uno dei recinti frontali del “cuore celeste”, come la medicina cinese chiama il cervello; quindi, me ne infischierò se la mia “pressa virtuale” non riceverà il bollino blu. Per dirla alla Woody Allen: “Basta che funzioni“…
Confesso che io stesso ho giudicato folle l’idea di spremere migliaia di anni come se fossero acini d’uva, ma poi mi son detto che non era più folle di quanto lo fosse il continuare a ripetersi che la nostra civiltà esprime il meglio dell’essere e del convivere, se paragonata con le altre. Forse al tempo di Pericle o della Repubblica romana potevamo sognare che avremmo diffuso la democrazia e il diritto nel mondo. Leggendo quello che è accaduto in seguito tra i libri di storia però, ho preso atto che il sogno si è infranto contro le crociate di religione, il colonialismo e l’imperialismo criminale delle nazioni che hanno dominato nel Novecento. Un sogno trasformato in incubo da guerre mondiali che non sono in realtà mai finite, perché si continua a morire a causa delle nuove armi con cui combattono i potenti: gli intrighi internazionali, i complotti dei lobbisti, le speculazioni della finanza, gli appetiti delle industrie belliche e farmaceutiche.
Facciamo uno sforzo di fantasia e continuiamo a spremere, senza separare i chicchi bianchi da quelli neri; mettiamo tutto sotto la pressa: il bene che abbiamo saputo scrivere nelle Costituzioni e il male compiuto nel fare il contrario di ciò per cui avevamo giurato sul Dio e la Patria di turno; schiacciamo tutto con la pressa senza riguardo per niente e nessuno; trasformiamo in una massa informe il vissuto di miliardi di esseri umani, i loro sogni, le imprese, i vizi e le virtù, il detto, lo scritto, il dipinto, il suonato, il declamato, il gridato e il supplicato… Tutto quello che abbiamo fatto da Socrate in poi, pressiamolo a dovere finché il sapore di quello che ne verrà fuori fecondi l’intuito e partorisca almeno un’ipotesi… Mi duole ammetterlo, ma non è un buon odore quello che percepisce la mia mente e, se è vero che l’odore è l’araldo del sapore, temo di aver commesso un’imprudenza a non lasciare le cose come stavano. Cattivo odore, cattivi pensieri: il primo che mi viene in mente è che per quanto le scoperte della scienza ci diano la sensazione di essere dei vincitori, il senso di esaltazione per ogni nuova vetta conquistata dura poco e sopraggiunge la malinconica consapevolezza che l’Oriente ci toglierà anche il primato della scienza, oltre quelli dell’economia e della finanza per i quali il sorpasso si avvicina. Indulgo al pessimismo? Forse, ma che dire di fronte al dato che la Cina ha quasi 3.200 miliardi di investimenti in debiti pubblici esteri (firstonline.info). Mi viene da pensare che l’Occidente sia invecchiato male negli ultimi quarant’anni: popolazioni sempre più anziane, apatiche e rassegnate, imbonite dalla televisione e governate da vecchie puttane e giovani paraculi che la fanno quasi sempre franca. Non riusciamo nemmeno a fare tanti figli quanti ne servirebbero per mantenere gli equilibri demografici; guardiamo al futuro con gli occhi resi proni da timore e apprensione, preoccupati per quello che rischieremmo di perdere se osassimo alzare lo sguardo sull’orizzonte… Gli Orientali finiranno col prevalere perché antepongono il Percetto al Precetto; al contrario di quello che facciamo noi occidentali che, quando non ci tornano i conti, chiamiamo uno psicologo a fare da ragioniere. Sto divagando lo so, ma è colpa di questo vino che cambia odore e sapore ad ogni sorso; che confonde la mente, questa nostra meravigliosa macchina che obbedisce con il limpido e infantile entusiasmo di un nazista al compito che le è stato assegnato: attribuire un senso, un significato e un nome a tutto ciò che incontra.
Bevuto col cuore, questo vino rivela l’odore del sudore e del sangue di tutte le vite macellate sugli altari al seguito di eserciti armati dalle nobili parole degli statisti, mi procura un senso di colpa per le centinaia di milioni e forse più di esseri umani morti per la gloria degli Dei che santificavano gli appetiti e le follie dei potenti: la Storia non parla a sufficienza delle sfortunate e incolpevoli generazioni mandate al macello per difendere quella “democrazia di facciata” che ha consentito ai plutocrati di avere buon gioco nella storia; solo una fredda contabilità dei morti per la Patria… Mi vengono in mente gli Stati Uniti, che pure rappresentano l’ultima speranza di questo Occidente in decadenza, e le vere ragioni per cui sono entrati in guerra contro i nazisti con un apparentemente incomprensibile ritardo: affari, soldi, ma anche di questo non si trova quasi traccia nei libri che dovrebbero raccontare ai nostri figli chi sono e da “cosa” provengono… Un tempo c’erano il Destino e la Volontà Divina a giustificare le follie del potere, ma oggi, nell’era di Internet, con quali argomenti cercheranno di convincere quel novantanove per cento a tirare la cinghia per mantenere i privilegi dell’uno per cento che detiene il potere? Gli Occidentali, oggi, non credono più al Destino e alla “Volontà Divina”; la schiera di chi ha capito cosa e chi si nasconde dietro i “sacri paramenti” civili e religiosi si fa più folta ogni giorno che passa; i giovani che vogliono decidere del senso e del significato della loro vita sono sempre più numerosi e sempre meno sensibili alle lusinghe del piccolo schermo. Affermiamo di possedere il libero arbitrio, la capacità di distinguere il bene dal male, abbiamo scoperto il funzionamento della vita, mappato il genoma, scrutiamo nello spazio-tempo con i nostri telescopi in cerca delle origini della vita e siamo prossimi a scoprire infinite fonti di energia pulita (forse le abbiamo già scoperte), ma ancora non siamo capaci di opporci alla forza d’inerzia del passato…
Ma torniamo alla nostra pur sempre bella, maltrattata e inquieta Italia: qualcosa dobbiamo pur fare per reagire a questa sensazione di sconfitta che fa marcire le ossa di chi è stato troppo tempo in trincea. Bene ha fatto Benigni a ricordare al Parlamento europeo il contributo dell’Italia ai fondamentali della nostra civiltà. Voglio aggiungere qualcosa che in quella sede istituzionale non poteva essere detto ma che tutti sanno. Raccolgo il suo invito a provare “orrore per l’indifferenza”, a non cedere a quell’ignavia che pure è così comodo esercitare quando prendere posizione comporta dei rischi per i propri interessi. “Si aggiunga” dunque, che i Romani hanno conquistato e dominato il mondo con l’intelligenza; insegnato a lavarsi il culo ai nostri cugini d’oltralpe e ai sudditi di Sua Maestà (forse anche alle stesse Maestà); si sono sconfitti da soli cedendo alle lusinghe dell’Impero; sono stati conquistati, umiliati e divisi per oltre un millennio. Eppure quell’arlecchinesca miriade di popolazioni sempre in guerra tra loro è stata capace di diventare la nazione che nessuno voleva: è bene ricordare che lo stato italiano non lo volevano gli operosi industriali del Nord Europa e nemmeno i “nobili” proprietari terrieri del sonnolento Sud italiano. Nessuno voleva perdere i privilegi che derivavano dallo sfruttare impunemente le altrui risorse; nemmeno coloro che avrebbero dovuto rappresentare gli interessi delle popolazioni sfruttate: quella casta di ignavi che ha ridotto il Mezzogiorno d’Italia a mendicare sussidi e che, ancora oggi, costringe i discendenti di popolazioni tra le più ricche, per storia, cultura e risorse naturali, a fare anticamera nelle segreterie di politici ignoranti e corrotti per dare qualcosa da mangiare ai propri figli. Dopo aver vinto contro gli austriaci ci siamo ubriacati di parole per vent’anni; abbiamo combattuto e perso l’ultima folle guerra dalla quale ne siamo comunque usciti come una nazione consapevole dei propri errori. Da un paese di semianalfabeti che si aggirava tra le macerie in cerca di qualcosa da mangiare, siamo riusciti a diventare la settima potenza economica mondiale. Coraggio, facciamola quella domanda che abbiamo sul gozzo: “Com’è che ci siamo ridotti a seguire le lezioni dall’ultimo banco, come se fossimo dei “Pierini” impertinenti ai quali si deve insegnare la buona educazione? E ancora: ” ma quale lezione ci stanno impartendo? Il problema è che non stiamo alle regole del gioco e che il nostro comportamento irrazionale destabilizza gli equilibri del sistema occidentale? E se invece Grecia e Italia fossero le avanguardie di una civiltà che deve morire per lasciare il posto a un nuovo paradigma di valori? Eccola l’ipotesi appena fecondata e già partorita: la civiltà occidentale, così come la conosciamo oggi, inizia a morire là dov’è nata! Se così fosse, non dovremmo guardare a questi giorni difficili con occhi diversi? non dovremmo immaginare che forse la crisi di tutta la nostra civiltà deve concludersi con un “andare oltre”, invece di allungare l’agonia del mostro finanziario partorito dagli ultimi psicopatici eredi del capitalismo? Troppa gente muore di fame ogni giorno per sostenere il nostro stile di vita; troppa gente vive male nonostante il nostro stile di vita. Siamo al tramonto di una civiltà come è già accaduto nel passato: Atene tramonta e sorge Roma; tramonta Roma e il vicino Oriente, l’Islam e il Mediterraneo si contendono il grembo che partorirà “l’Occidente”… Il tempo scorreva un giorno dopo l’altro allora, si cresceva e si moriva lentamente anche se la vita media era più breve; oggi, i tempi del cambiamento si sono ridotti esponenzialmente, al punto che i millenni sono adesso mesi e i secoli settimane. Oggi sono le tastiere dei computer che conquistano il mondo: Roma cade ancora una volta e adesso il mondo ci considera come gli untori di un morbo che rischia di decimare le economie occidentali. Ci dicono che siamo inaffidabili, troppo corrotti, divisi da tanti distinguo incomprensibili per la grammatica e il vocabolario di cui dispongono i padroni del mondo. Hanno ragione tuttavia, ci meritiamo tutti gli aggettivi denigratori del nostro modo di non “sentirci” europei in quell’Europa che l’Italia ha fortemente voluto negli anni del dopoguerra, ma che è “altra cosa” rispetto al sogno dei Padri Fondatori. Oggi ci snobbano perché ritenuti incapaci di risolvere problemi arcinoti, per lo spirito cialtronesco con cui abbiamo snobbato una crisi che pure non è nata in Grecia o in Italia, ma nei templi della finanza mondiale, nei cervelli bacati di quelli che oggi ci giudicano inetti e incapaci di fronteggiare le difficoltà che loro stessi hanno creato. Perché sorprendersi se l’inizio della fine si manifesta là dove sono nati la democrazia la filosofia e il diritto? La spirale dell’Eterno Ritorno ha chiuso un altra voluta e abbiamo la sensazione di trovarci là da dove proveniamo, ma è solo un illusione geometrica: non stiamo più girando in tondo alla ricerca della verità; ci siamo innalzati al di sopra delle beghe manicheiste della ragione ma ancora non sappiamo come convivere con la consapevolezza di ciò che siamo divenuti.
Ho spremuto, vinificato e bevuto quel liquido aspro che è fermentato nella mia mente: odora di tutti i fiori marciti sugli altari della retorica religiosa e civile ed è salato come le lacrime che verseranno le generazioni future per emendare le porcate dei loro “democratici” padri; sempre che i figli non decidano di seguirne le orme al grido di: “Contento me contenti tutti”; un SMS da due euro ogni tanto, giusto per togliersi dalla mente l’immagine di un bambino scheletrico con gli occhi pieni di mosche e via: ciascuno per sé e Dio per tutti quelli che ancora ci credono.
Siamo al tramonto, la luce basta appena per mostrarci il terreno dove tra un attimo si poserà il piede. Le nostre convinzioni, quelle con cui abbiamo creato Dio e quasi distrutto un pianeta, si allungano come ombre minacciose alle nostre spalle, quasi volessero accompagnare il nostro procedere incontro alla notte per essere certe che non torneremo indietro.
Oltre a tutte le belle cose che i greci e gli italiani hanno regalato al mondo, e di cui abbiamo il diritto di andare fieri, forse verremo ricordati per aver generato il flesso da cui è iniziata la parabola discendente della civiltà occidentale: non sarebbe male in fondo se così sarà; avrebbe un suo tragicomico significato, considerato che la Grecia e l’Italia sono la patria della tragedia e della commedia. Per quanto riguarda l’ottuso attendismo (ma forse si è trattato di un criminale calcolo elettorale) con cui la Francia e la Germania hanno “pilotato” la crisi della Grecia, saranno gli economisti e i politici a giudicarlo. Qualche voce contro la dissennata politica dell’asse franco-tedesco si è levata in verità, ma eravamo troppo sputtanati dalle mattane di Berlusconi e la sua corte per avere voce in capitolo.
Italiani, what else.

Italiani, what else


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