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Jurassic World (3D)

Creato il 23 giugno 2015 da Af68 @AntonioFalcone1

jurassic_world_poster_by_stevencormann-d7235tyIsla Nublar. Il sogno di John Hammond (Richard Attenborough), riportare in vita i dinosauri e dedicare loro un parco a tema visitabile come un qualsiasi giardino zoologico, che 22 anni orsono sembrava essere stato spazzato via da una serie di tragici avvenimenti, è ora divenuto realtà, nelle forme di un resort denominato Jurassic World, idoneo, con le sue molteplici attrazioni, ad attirare migliaia di visitatori ogni giorno ed ospitarli grazie a confortevoli strutture d’accoglienza.
A provvedere alla “creazione” di nuovi esemplari è sempre il Dr. Henry Wu (B.D. Wong), finanziato da Simon Masrani (Irrfan Khan), che ha ricevuto il lascito proprio da Hammond di proseguire la sua opera, mentre la direzione effettiva del parco è affidata alla supervisione di Claire Dearing (Bryce Dallas Howard), intenta ad illustrare a dei potenziali finanziatori il fenomenale portento espresso da un’ inedita creatura, un dinosauro nuovo di zecca, frutto della combinazione genetica di più specie diverse.

B.D. Wong

B.D. Wong

L’Indominus Rex, questo il suo nome, andrà presto ad incrementare il numero delle mirabilie attrattive, apportando ancora più visitatori ed assicurando delle entrate che vadano oltre il pareggio del bilancio. Intenta nel suo lavoro, Claire trascura i nipotini che gli ha affidato sua sorella, sull’isola per trascorrere qualche giorno di vacanza mentre i genitori discuteranno dell’imminente divorzio: sono il sedicenne Zach (Nick Robinson) e l’undicenne Gray (Ty Simpkins), i quali non tarderanno molto a far di testa loro nel visitare la struttura.Purtroppo per i due ragazzini, come per tutti gli altri, il pericolo è in agguato: Indominus, rivelando particolari doti intellettive, ha inscenato una fuga e vaga affamata per la foresta (è un esemplare femmina, il fratellino nato insieme a lei ne ha costituito un sostegno alimentare alternativo). Occorre l’aiuto di qualcuno che conosca a fondo le caratteristiche comportamentali di questi animali e l’ex marine Owen Grady (Chris Patt), l’uomo che sussurra ai velociraptor*, potrebbe risolvere la situazione …

Bryce Dallas Howard (Movieplayer)

Bryce Dallas Howard (Movieplayer)

Il buon vecchio Steven (Spielberg) si è rivelato, ancora una volta, un furbo di tre cotte, cinematograficamente parlando: celandosi dietro le vesti di produttore esecutivo e trovandosi fra le mani un regista pressoché esordiente, Colin Trevorrow, il quale ha anche preso parte alla sceneggiatura (opera di Rick Jaffa, Amanda Silver e Derek Connoly), lo ha istruito a dovere su come conferire a Jurassic World la consistenza propria di un passaggio di testimone diretto da quel Jurassic Park che proprio il papà della Amblin aveva diretto nel 1993, portando sullo schermo l’omonimo romanzo di Michael Crichton. In puro stile spielberghiano, al tempo si stagliava la narrazione, con un uso allora primigenio della CGI accanto ai classici animatronic, di un suggestivo apologo volto ad ammonire sulle conseguenze di un sovvertimento dell’ordine naturale, unendo plausibilità scientifica e senso immaginifico, concretizzato in una compiuta e funzionale spettacolarità.
Non mancava, poi, una buona dose di suspense, idonea ad ovviare alle lacune di uno script vagamente schematico (opera dello stesso Crichton e di David Koepp) e a sostenere il tema del male che irrompe nella vita dell’uomo comune, evidenziandone limiti e paure dalla consistenza ancestrale.

Nick Robinson e Ty Simpkins

Nick Robinson e Ty Simpkins

La mia primaria sensazione scaturita nel corso della visione di Jurassic World è che Spielberg abbia messo in atto, pur soddisfacendo esigenze commerciali di ridare vita alla saga ed offrirla in pasto tanto alle nuove generazioni quanto ai fan di vecchia data, riprendendola dal prototipo e mettendo da parte i due seguiti (1997 e 2001), una sottile metafora cinematografica collegata alla trama del film. Così come il parco a tema necessita di fantasmagorie sempre più eclatanti, le quali siano in grado di conferire ulteriori stimoli ad uno stupore artificioso e lontano da qualsiasi slancio propriamente fantastico, consono quest’ultimo all’elaborazione emotiva più intima, dal sentore fanciullesco (vedi il bimbetto Gray, capace d’emozionarsi con un lettore di diapositive portatile vintage), egualmente un cinema che ancora tende ad un’emozionalità “pura” del racconto, basata su una tensione in crescendo nel suo sviluppo narrativo (il vibrare dei bicchieri d’acqua in Jurassic Park, palese richiamo alla sincronizzazione fra il nuotare dello squalo e la musica di Williams in Jaws, 1975) sembra non dire nulla ad un pubblico sempre più scafato, che necessita, nel buio di una sala cinematografica come nel quotidiano, di input “meccanici” preordinati, giammai bisognosi di alcuna trasmutazione immaginifica, sostituita da un senso artificioso di meraviglia pronto uso.

Chris Patt e Bryce Dallas Howard

Chris Patt e Bryce Dallas Howard

Ecco quindi che Trevorrow si trova ad assecondare una sorta d’ibrido connubio, probabilmente presente nella mente di “papà” Steven ma non del tutto convinto della bontà dell’operazione, come può anche evincersi dal congelamento del copione per qualche anno, fra ripensamenti vari, prima di arrivare ad una sua attuazione. Coadiuvate dai forti mezzi in chiave di una valida effettistica che miscela con furba accortezza CGI, un pizzico di animatronic e la motion capture, sceneggiatura e regia guardano tanto ai film d’avventura hollywoodiani degli anni ’30-’50 quanto ai loro richiami presenti nelle produzioni degli anni ’80: si dà rilievo quindi ad archetipi quali l’eroe suo malgrado, un bravo Patt, impavido ed individualista, granitico nel sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato; la manager, una sbiadita Dallas Howard, che, tailleur adattato alle circostanze e tacchi a spillo, corre con disinvoltura fra le frasche, mantenendo comunque una salda determinazione, lungi dall’essere, fortunatamente, urlante fanciulla da salvare, anzi; il guerrafondaio ad oltranza (Vincent D’Onofrio, il cui personaggio interpretato, Hoskins, immagina i rettili già reclutati fra i Berretti Verdi); lo scienziato (lucidamente) folle e il finanziatore senza scrupoli.

Patt e Vincent D'Onofrio

Patt e Vincent D’Onofrio

Vi è il tema (ancora Spielberg, ma non solo), inoltre, della visione del mondo ad altezza di pargolo, la famiglia sul punto di spezzare la propria unione che ritrova unità affettiva nella disgrazia e nel suo superamento, così come il senso di protettiva paternità indotta che va ad insinuarsi fra le pieghe della personalità del buon Owen. A comporre il tutto rimane però, sempre e comunque, la consistenza propria di un “moderno” blockbuster, lungi da esprimere alcun senso di ludica e folle visionarietà (come quella invece manifestata da George Miller nel riprendere il personaggio del suo Mad Max), giusto qualche simpatica amenità (la zampa in primo piano dopo la schiusa delle uova di dinosauro, che invece appartiene ad un volatile), spesso citazionista (del predecessore in primo luogo, ma c’è spazio anche per il King Kong del 1933, Lo squalo, qui ridotto a sardina, Gli uccelli di Hitchcock, senza dimenticare il recente Godzilla) e che procede per accumulo frenetico di sequenze.
Queste ultime si rivelano, più o meno, come sensazionali nella loro fredda e calcolata spettacolarità (il 3D è relativamente funzionale, una volta tanto, ma senza gridare al miracolo), ed arrivano una volta “scaldati i motori” con una graduale introduzione delle vicende.

Ingenuità sparse qua e là da buon B-movie (lo sbandierato quoziente intellettivo dell’Indominus), effetti sonori e motivo musicale di recupero (Michael Giacchino mutua

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senza troppa fantasia il tema originario di Williams, concentrandosi su un andamento musicale tonitruante fino allo sfinimento), per giungere alla brava morale finale: non osi l’uomo ricreare, in particolare se spinto dal profitto ad oltranza, ciò che natura ha estinto, la quale, d’altra parte, non più matrigna, per quanto sempre di derivazione laboratoriale, si prenderà la sua rivincita. Eroe ed eroina daranno concretezza al sottotesto romantico, “provando a sopravvivere insieme” e la bella famiglia americana, come già scritto, ritroverà la sua composta armonia “latte e sandwich al burro d’arachidi”, rimembrando Happy Days. Godibile e divertente nel complesso, ma, ad avviso di chi scrive, sostanzialmente inutile, almeno come apporto magicamente cinematografico, pur considerando le belle creazioni di Tim Alexander, che rende i dinosauri terrificanti ma anche dotati di un loro, sinistro, fascino. La situazione cambia se si ragiona in termini puramente economici, gli alti incassi mondiali che giustificheranno i due già annunciati sequel.
I dinosauri sono morti, viva i dinosauri.

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*La battuta mi è venuta in mente durante la visione del film, ma dando uno sguardo sul web ho notato che non sono stato il solo ad avere tale “folgorazione”, ben lieto, quindi, di condividerla con chi l’abbia originariamente concepita.


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