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Kaesong: diagnosi di una crisi

Creato il 19 luglio 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Kaesong: diagnosi di una crisi

Il 6 luglio appena trascorso, al termine di una difficile trattativa durata almeno quindici ore, i rappresentanti di Corea del sud e Corea del nord avrebbero raggiunto un accordo sul futuro del parco industriale intercoreano di Kaesŏng, chiuso agli inizi dello scorso aprile nel mezzo della crisi diplomatica tra Nord e Sud 1. Le due parti si sarebbero dichiarate d’accordo alla ripresa delle attività produttive del parco, dimostrandosi molto disponibili alla soluzione dell’incidente. L’accordo tra le due parti – siglato ‘simbolicamente’ a P’anmunjŏm, già sede dei colloqui conclusi con l’armistizio che il 27 luglio 1953 pose fine alla Guerra di Corea – è l’ultimo atto del duro braccio di ferro diplomatico che, tra minacce verbali, exploit militari e sottili manovre politiche, è andato avanti tra alti e bassi per sessant’anni senza mai sopirsi del tutto.

Elaborare una diagnosi completa ed efficace della crisi diplomatica dello scorso aprile non è un compito facile. Soprattutto quando, periodicamente, la tensione sul trentottesimo parallelo raggiunge i suoi massimi. Occorre provare a districarsi tra i pittoreschi comunicati stampa dalla chiara impostazione retorica che provengono dalle due capitali, si deve soppesare con occhio critico ciascuna notizia e solo allora tentare di farsi un’idea, basandosi sugli indizi attendibili che trapelano, della situazione generale. E’ un lavoro che non è possibile svolgere altrimenti. La questione di Kaesŏng, divenuta centrale in questi frangenti, non fa eccezione.

Kaesong, perno delle relazioni intercoreane

Antica capitale della dinastia Koryŏ (938-1392), Kaesŏng è oggi uno dei principali centri industriali della Repubblica Democratica Popolare di Corea. Forte di una antica tradizione nel settore del tessile, il polo industriale di Kaesŏng è attivo nell’industria di trasformazione e nell’artigianato. L’amministrazione della città, situata a circa dieci chilometri dalla zona smilitarizzata, risponde direttamente al governo di P’yŏngyang. Fino al 1953 faceva parte invece della Provincia di Kyŏnggi, la stessa che, mantenuta con questo nome sotto l’amministrazione della Repubblica di Corea, include la capitale Seoul.

Nel giugno 2000 il presidente della Repubblica di Corea, Kim Dae Jung, vola a P’yŏngyang per suggellare con una storica stretta di mano al leader nordcoreano Kim Jong-il l’inizio della sua Haetpyŏt Chŏngch’aek2. L’incontro segna un punto di svolta nella recente storia delle relazioni fra Nord e Sud. Uomini d’affari, imprenditori ed esponenti della finanza sudcoreana –che nei mesi precedenti avevano spinto fortemente perché si compisse questo passo storico3 – fanno la spola da una parte all’altra del confine a caccia di buoni affari. Ben presto una serie di intese vengono raggiunte tra la dirigenza del Nord e la diplomazia delle chaebŏl4 di Seoul. Viene dato il via libera al riallaccio delle infrastrutture separate dalla linea di demarcazione ed iniziano i primi programmi di investimento, programmi che prevedono la creazione di zone economiche speciali dove, in prossimità del confine, le aziende del Sud avrebbero potuto costruire stabilimenti ed avviare attività produttive.

Kaesŏng, vicina al confine e forte della sua tradizionale vocazione industriale, viene subito scelta come candidata ideale per la costruzione di un polo manifatturiero intercoreano. L’accordo arriva alla fine del 2002, e nel successivo mese di giugno inizia la costruzione del complesso. Nel 2005, completata la fase preparatoria del progetto, quindici imprese sudcoreane preparano l’area destinata al complesso costruendo infrastrutture e stabilimenti. Obiettivo originale del programma è la creazione, entro il 2015, di un polo manifatturiero a capitale misto, dove fino a tremila imprese sudcoreane avrebbero potuto operare con una forza lavoro di duecentocinquantamila operai del Nord5.

Un affare di famiglia

Fino alla crisi diplomatica che ne ha decretato la chiusura nell’aprile scorso, lo sviluppo di Kaesŏng è proseguito senza intoppi. Sebbene alcuni problemi di tipo logistico – non ultimo il divieto di importazione di alcune tecnologie industriali, compresi macchinari e componenti elettroniche, sancito dai termini dell’embargo americano – abbiano di fatto costretto il progetto a subire sensibili ritardi sulla tabella di marcia, lo sviluppo del parco industriale procedeva nonostante il peggiorare della situazione diplomatica tra i due governi. Né la questione del programma nucleare né le provocazioni militari di ambo le parti hanno ostacolato il procedere dei lavori. Anno dopo anno, decine, centinaia di imprese del Sud si interessavano con entusiasmo all’opportunità di avviare competitive produzioni a basso costo pochi chilometri oltre un’infuocata linea di demarcazione.

L’eventualità di produrre a Kaesŏng fa gola a molte aziende sudcoreane. Innanzitutto perché il Nord possiede una vasta forza lavoro, ben disciplinata e soprattutto specializzata. La retribuzione di un operaio nordcoreano si basa principalmente sull’assegnazione di quote annonarie tramite un sistema di coupon, con la circolazione monetaria che nella Repubblica Democratica Popolare di Corea svolge un ruolo secondario. Le paghe sono fissate a livello nazionale secondo un sistema centralizzato, in cui l’importanza del mercato è minima, se non del tutto ininfluente6. Una situazione particolare viene invece a crearsi a Kaesŏng. Le aziende sudcoreane – che pagano in dollari americani le prestazioni della manodopera locale – concordano il costo del lavoro, svincolate dal mercato, direttamente con le autorità del Nord. Le aziende del Sud versano loro le paghe pattuite in valuta forte, e queste provvedono poi per proprio conto a retribuire la manodopera fornita al parco di Kaesŏng secondo il sistema tradizionale.

Per entrambe le parti si tratta di un’intesa esclusiva particolarmente vantaggiosa. Il Nord, che all’interno del partenariato si occupa di reclutare forza lavoro, ne guadagna dal momento che il pagamento in preziosa valuta forte viene direttamente versato nelle proprie casse. Le imprese sudcoreane, dal canto loro, ne guadagnano in quanto hanno rapidamente a propria disposizione manodopera a basso costo praticamente sotto casa. Il prezzo della manodopera nordcoreana è estremamente competitivo di per sé. La paga mensile di un lavoratore ammontava nel 2012 a 160 USD. Tale somma corrisponde a circa un quinto della paga minima sindacale di un lavoratore sudcoreano ovvero un quarto della retribuzione mensile di un omologo cinese. Le aziende attive a Kaesŏng producono nel parco industriale intercoreano beni non-durevoli ad alta intensità di lavoro quali calzature, prodotti tessili, oggettistica per la casa e per la persona. I beni prodotti dalle aziende sudcoreane a Kaesŏng riescono a competere sul mercato dei beni non durevoli con l’import cinese e vietnamita.

Il progetto del parco industriale intercoreano è però molto più ambizioso. Il consorzio che gestisce Kaesŏng sostiene che la città possiede un grosso potenziale logistico, sebbene attualmente limitato per ragioni di ordine geopolitico. Avere accesso alla rete ferroviaria nordcoreana significa avere accesso, tramite Russia e Cina, all’intera rete logistica del continente eurasiatico, con ovvie implicazioni di natura commerciale ed economica. Da tutto ciò trapela come il progetto di Kaesŏng si inserisca, agli occhi dei suoi promotori, all’interno di una strategia commerciale ben più vasta, non limitata alla sola disponibilità di lavoro a basso costo a pochi passi da casa7.

La diplomazia delle ch’aebol

Le sorti di Kaesŏng sono strettamente legate ad una chaebŏl, la Hyundai Asan, già parte del gruppo Hyundai fino al 1997. Attiva a quanto sembra soprattutto nel settore delle relazioni intercoreane, la società possiede importanti interessi in Corea del nord. Il progetto del parco industriale di Kaesŏng e la gestione della Regione Turistica di Monte Kŭmgang8 sono stati entrambi fortemente voluti dalla Hyundai Asan, che in seguito ne ha ottenuto la gestione. Mediatore efficace ed affidabile, la società sembra godere di grande stima da parte dell’establishment nordcoreano. Non appena siglato l’accordo sullo sviluppo di Kaesŏng, l’amministrazione nordcoreana affidava immediatamente alla Hyundai Asan l’esecuzione del progetto. La stessa società controlla, come associata di P’yŏngyang, il comitato amministrativo che si occupa della gestione del parco industriale.

Per quanto sia difficile eludere la segretezza che circonda i giri di denaro gestiti da chaebŏl come la Hyundai Asan, sembra chiaro che la società – con le sue disponibilità finanziare e la sua efficiente rete di ‘diplomazia informale’ – sia uno dei principali canali attraverso i quali vengono fatti passare i flussi di valuta forte da e per P’yŏngyang. Si potrebbe azzardare che il Nord, sottoposto ad una serie di sanzioni che ne limitano fortemente la capacità di operare trasferimenti internazionali diretti di capitale, abbia trovato nella Hyundai Asan un prezioso alleato. Affida ad essa la gestione di due zone economiche speciali, e numerosi elementi lasciano presupporre che si serva della mediazione della stessa per gestire ingenti flussi di valuta straniera in entrata e in uscita.

Come prova del particolare ruolo che la Hyundai Asan svolge nelle relazioni intercoreane sta il fatto che, per quanto critica fosse in alcuni momenti la situazione sul trentottesimo parallelo, il Nord non ha mai chiuso del tutto il canale che passa per questa società. Nel corso del 2010, ad esempio, né in occasione dell’incidente della nave Cheonan9, né in occasione del bombardamento dell’isola di Yŏnp’yŏng10 si sono avute ripercussioni sull’attività di Kaesŏng, che anzi cresceva a pieno ritmo. Di lì a poco, mentre l’allora presidente Lee Myung-bak dichiarava la conclusione della politica di distensione nei confronti del Nord e l’attenzione della comunità internazionale si spostava sul programma nucleare di P’yŏngyang, a Kaesong si chiudeva il 2011 per la prima volta in attivo, con un guadagno netto di cinquantasei milioni di won sudcoreani per ciascuna delle società coinvolte11.

Nel corso della recente crisi che ha decretato la chiusura del parco industriale, mentre l’amministrazione Park rispondeva alle manovre del Nord paventando a sua volta l’attuazione di improbabili rappresaglie militari, Kaesŏng – in un primo momento – rimaneva aperta e funzionante a pieno ritmo. Persino dopo l’evacuazione del parco industriale, nel momento di più alta tensione tra le due parti, ‘diplomatici’ della Hyundai Asan prendono contatti e dialogano costantemente con le autorità nordcoreane. A questo punto è verosimile aspettarsi che anche i recenti negoziati sulla riapertura siano stati curati dalla stessa società: ancora una volta il Nord sembra fidarsi più della ‘diplomazia informale’ di Hyundai Asan che non degli organi ufficiali di Seoul. Si potrebbe notare come, nell’affrontare le questioni della riunificazione nazionale e dei rapporti col vicino settentrionale, le autorità del Sud manchino di gran lunga del pragmatismo, della lungimiranza e della capacità di costruire relazioni di cui invece sembrano disporre le ch’aebŏl.

Conclusione

La ‘sospensione a tempo indeterminato’ delle attività di Kaesŏng ha delle evidenti ricadute su entrambe le parti in causa. Per prima cosa si tratta di un grosso danno dal punto di vista della cooperazione tra Nord e Sud. La crisi dello scorso aprile non è che l’ultimo atto di una brusca virata sul piano diplomatico che, a partire dai primi anni della presidenza di Lee Myung-bak, ha portato le due parti ad allontanarsi lungo rotte pericolosamente divergenti, vanificando tutti gli sforzi fatti nel corso di diversi anni. E la responsabilità della degenerazione non è esclusivamente del Nord: una parte non indifferente ricade sulla dirigenza del Sud, spesso incapace di ispirare la fiducia reciproca di cui le relazioni tra i due Stati coreani hanno tanto bisogno. Seoul non può vivere di rendita, lasciando che le ch’aebŏl facciano il lavoro che spetterebbe invece alla politica, per poi trovarsi a gestire nelle fasi più critiche una situazione di cui sembra non avere il pieno controllo.

Per il Nord si tratta soprattutto di un danno economico non indifferente. Facendo un rapido calcolo si potrebbe stimare una perdita vicina ai ventidue milioni e mezzo di dollari americani per i soli tre mesi trascorsi dal momento della chiusura. Senza contare le perdite aggiuntive che seguiranno almeno nell’immediato futuro, P’yŏngyang ha già rinunciato ad una grossa fetta del proprio PIL. Quella che era una sicura fonte di valuta forte è ora compromessa. Stretta nella morsa mediatica della stampa internazionale e sottoposta alla pressione diplomatica di mezzo mondo, la Corea del nord ha voluto dare un segnale forte della propria determinazione a non cedere nulla in un gioco, quello delle relazioni intercoreane, in cui nessuno è disposto a mostrarsi debole.

A partire dai recenti colloqui sul futuro di Kaesŏng, ogni eventuale riavvicinamento tra le due parti potrà ora essere raggiunto soltanto rinegoziando con pazienza e lungimiranza i termini di una ‘coesistenza’ deterioratasi man mano che venivano meno la fiducia reciproca, la serietà e la buona volontà su cui immancabilmente devono basarsi, senza eccezioni, le relazioni fra stati.


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