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L’amore assoluto, l’amore bello…

Creato il 17 novembre 2010 da Dallomoantonella

 L’amore  assoluto,  l’amore bello…

Partiamo, amici  carissimi, dal titolo  pretestuoso e un po’ ingombrante, di questo post:

“L’amore assoluto, l’amore bello…”

Dunque,  badate bene,  da nessuna parte sta scritto che l’amore  è perfetto, l’amore perfetto non esiste, è solo degli angeli, ossia di creature non corporee che hanno già raggiunto una dimensione tutta spirituale,  tutta tesa verso l’alto, fuori dalle contingenze della vita reale.

Per chi è credente  gli angeli esistono, ed esistono  in quanto  creature semidivine, cioè appartenenti alla sfera  del divino;  essi ci osservano, ci guardano, ci proteggono. Addirittura ci sono gli asceti ed i mistici che dicono di vederli, di potere parlare con loro, di potere sentirli.

Non  appartengo  a questo genere d’umanità;  tutto quello che io so apprendere e rielaborare e trasmettere   è frutto di un’esperienza empirica, legata alla materia.

E’ pur vero che in quanto noi stessi creature semidivine, cioè appartenenti a Dio nel senso create  da Dio, siamo tutte chiamate a quella sfera, solo che noi dobbiamo passare attraverso la materia, loro, gli angeli, non devono sottostare a  questo passaggio.

Per chi non è credente, le parole appena dette sono aria; non hanno nessun senso, e per questi è addirittura scontato  pensare e vivere in termini di pura contingenza.

Di certo anch’io che non sono materialista,  della materia  mi devo fidare perché senza di essa io resterei   un emerito   nulla di fatto.

E’ pur vero  che lo stesso stare legati all’esperienza  ci porta a consumare  condizioni di vita non esattamente  educative, non esattamente  costruttive,  non  esattamente  auspicabili.

Tanti sono gli esseri umani distinti nella loro unicità e singolarità,  tanto sono le possibili esperienze che gli individui potrebbero   in un libro immaginario  raccontare di sé. Se ci fosse questo libro immaginario, esisterebbe di per sé un sapere  trasmissibile  prezioso  ed indagabile, che certo renderebbe l’umanità migliore e migliorabile.

Il problema sta dunque nel fatto  che l’uomo non si racconta: lo fa quando  deve creare uno spettacolo  teatrale o musicale,  lo fa quando deve scrivere un libro su un determinato argomento che però non coinvolge in genere  la sua diretta esperienza,  lo fa quando  deve creare uno spettacolo cinematografico, lo fa quando  deve documentare la propria esperienza lavorativa per uno scopo scientifico,  lo fa quando  deve  comunicare dati e valori e contenuti  spesso di carattere  generale, universale, teorico ed astratto.

Quando però si tratta di dire: “Questa è la mia vita, questo è il mio vissuto, io lo racconto perché voglio che diventi patrimonio del sapere, occasione di scoperte e di ricerca per tutti, condivisione  razionale ed emotiva,  costruzione di comunità…” bè,  siamo sinceri, la cosa un po’ ci imbarazzerebbe,  ci lascerebbe interdetti, perché è contro le più elementari leggi del vivere allo stato naturale.

Perché dico stato naturale?  Perché  raccontare, narrare, diventare per l’altro un libro  vivente  che parla  non è un gesto spontaneo,  richiede  cultura, richiede sapere, richiede conoscenza, richiede apertura, richiede  pluralismo,  cioè richiede evoluzione.

E’  dunque la tutela del primitivo, del non evoluto,   il maggiore flagello  del genere umano;  non ci si può esporre, non fino in fondo, perché non siamo in una comunità di angeli, ma di demoni  che attendono un passo falso da parte  del nemico  per poterlo sotterrare, con qualunque mezzo.

Il nemico ti sta di fronte, è lui l’idiota  che invidi, ma sta attento,  il mondo potrebbe  accorgersi  di tutto questo e cominciare a dare il giusto peso alle cose.

E’ pur vero  che nel rispetto  della privacy  è possibile  trasmettere  comunque il patrimonio personale del proprio sapere, e chi lo fa  non è certo un ingenuo o uno sprovveduto; è qualcuno che vede nella condivisione  una fonte di benessere e non di perdita, è qualcuno che aspetta di trovare altri che come lui sappiano mettere in gioco  saperi, contenuti, bellezze,  per amore stesso del genere umano e per amore  stesso della vita.

Tornando al tema dell’amore assoluto cioè bello,  esso è tale quando è pronto a qualunque sacrificio; quando è mosso da ragioni non egoistiche e banali, ma vitali, fondate sulla donazione di sè;  quando rende le due persone coinvolte  (e dunque di riflesso anche il mondo) migliori e più forti; quando sa vedere i limiti reciproci e li sa accettare senza riserva; quando  viene costruito nel cuore e nella mente  e non nel mero atto sessuale; quando arriva all’atto sessuale come conclusione naturale di sé dopo un percorso  di costruzione, di vitalismo, di confronto,  che può richiedere  decostruzioni; quando si alimenta di quotidianità, dello scorrere del tempo;  quando non teme la noia perché anche la quotidianità è occasione di amorevole compagnia; quando non teme il passare del tempo perché si invecchia, più o meno, insieme; quando rimane giovane nonostante il passare degli anni attraverso la condizione mentale  aldilà  di quella fisica;  quando disconosce la finzione perché tutto viene condiviso e non c’è necessità di nascondere; quando c’è la fiducia dell’altro e per l’altro. E tutto questo senza un tempo  a termine   conosciuto,  semplicemente  fino  a che l’amore ama.

Conclusione:  tutti i legami che non contemplano tutte le condizioni   sopra elencate, non sono legami assoluti e dunque belli, che significa  che il 95%   delle unioni amorose non sono assolute e dunque non sono belle.

Ma questa siamo noi, è l’umanità mediocre,  che non vuole legami assoluti vissuti come totale perdita del sé e commistione con l’altro. L’io e l’altro rimangono due entità  distinte e contrapposte  che si scambiano   semplicemente  servizi, favori, doveri, obblighi, sia di natura morale che materiale.

Sono cioè compromessi, intese, alleanze, più o meno riuscite, più o meno  lunghe nel tempo.

E’ pur vero che anche la coppia  peggio riuscita si può in qualunque momento ravvedere, si può in qualunque momento  ricostruire.  E’ sempre una questione di fare il salto.

E’ sempre comunque  la questione di stare nel posto giusto al momento giusto, e a discolpa  di quel 95% d’umanità che siamo noi  che bazzichiamo nel caos, occorre dire  che essere una coppia bella (e non una bella coppia che è un’altra cosa)  non è una scelta,  ma una necessità.

E non si può essere in assoluto  quello che si vorrebbe arbitrariamente  essere.

Si può solo accettarsi, ed ognuno  nella propria  specifica  condizione  diventa  una presenza  comunque  preziosa, ineliminabile, afferente la sfera  del divino per un credente, la sfera della vita organica per un non credente.

La  molteplicità  dell’universo  mondo è un dato oggettivo; accettare il mondo  significa accettare  la sua  diversità, il suo mare magnum di conflitti  insanabili ed eterni nel senso  di sempre ripetitivi e ripresentabili. Se dunque  solo il 5%   dell’umanità  è chiamata all’amore assoluto e dunque bello, il rimanente 95%  del genere umano  è comunque parte sostanziale  di questa piccola frazione.

Non ci sarebbe questo  piccolo mondo senza tutto il peso del mondo  che sta nella  vasta  circonferenza  d’interesse; il peso del   mondo è la realtà  nella sua immediata contingenza, quella che non vuole cambiare, che non vuole cedere il passo, che al semaforo  vuole superarti perché lui conta e tu no, quella che si ritiene  già perfetta  di suo  e che pensa per logiche conservatrici e non innovatrici, quella  che non si mette mai in discussione, quella che  concepisce l’abbandono di sé come momento  di sconfitta e non di  evoluzione.

Insomma, è il postino che ci porta la posta e che dalla vita non desidera altro, il macellaio  che ci fornisce la carne e si considera il più furbo del paese,  l’insegnante che ci istruisce il figlio senza preoccuparsi  di farlo bene, la suocera che speriamo debba sempre rimanere alla porta,  l’amico con cui ogni tanto andiamo a farci una birra e poi tutto finisce lì, il nostro capufficio  che ci lascia vivere senza opprimerci la giornata  ma solo perché vuole che a lui si faccia  lo stesso,   il vicino di casa che ci fa incazzare perché non mette  la pattumiera come  dovrebbe metterla  ma solo  perché è analfabeta, il prete della parrocchia che nel momento della messa ci chiede l’offerta  ma poi si dimentica d’essere cristiano, l’extracomunitario che al semaforo  dell’incrocio  ci chiede la moneta mentre noi avremmo l’istinto di investirlo, il cronista del telegiornale che ripete per l’ennesima volta la stessa notizia già data, la puttana che sta giù all’angolo  della strada  perché non sa come sbarcare il lunario,  nostro fratello  che avrebbe voluto tutta l’eredità solo per sé   e   invece   ha  dovuto vederla divisa tra  servi e servitori…

Investito   di  questo diritto  è il cadavere  che facciamo finta  di non vedere   solo perché metterebbe  in   crisi tutto il nostro labile  sistema di certezze,  è la paura che abbiamo nel cuore e che rischia   di tenere lo stesso 5% del genere  umano dentro “ il pozzo della normalità”.

Dopotutto alla  fine  è solo una questione  di collocamento.

Il piccolo mondo che corre  sta in cima la collina,  tutto il resto viaggia in orizzontale  o in sottocoperta.

E   l’umanità  ha bisogno   di questo piccolo   bacino  di speranza  e di luce.

 


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