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L’amore dell’ultimo milionario – Prime impressioni

Da Marcofre

Anche se non sono mai comparsa sullo schermo, nel cinema ci sono cresciuta. Alla festa per i miei cinque anni c’era anche Rodolfo Valentino, o almeno così mi hanno raccontato.

Questo è l’incipit de “L’amore dell’ultimo milionario” l’ultimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald. Lasciamo da parte le riflessioni sull’opportunità o meno di pubblicare un romanzo incompleto, al quale lo scrittore statunitense ha lavorato finché un infarto lo ha ucciso.

Buona parte della storia è sufficientemente fissata, e quindi deve essere considerato come parte ufficiale della bibliografia di questo straordinario autore statunitense.

È uno sguardo severo a un mondo verso il quale Scott Fitzgerald aveva enormi aspettative. Era quasi certo di riuscire a emergere, ma come quasi tutti sanno la situazione non si dimostrò affatto favorevole a lui.

Sbarca a Hollywood con l’idea di diventare ricco, per pagare le spese cliniche della moglie Zelda, e avere l’opportunità di tornare finalmente in sella. Presto comprende che riuscire a conservare una certa dose di integrità; che salvare il proprio talento sottovalutato e compresso da un ambiente mediocre, sarà durissimo.

Che cosa può fare un autore in una tale condizione? Scrivere, certo. Esiste il rischio di produrre qualcosa di inutilmente vendicativo, che comunichi quindi solo rancore? Sì.

Non so dire ancora se questo pericolo sia stato evitato da Scott Fitzgerald. Conoscendo questo autore, mi sento di poter dire che è riuscito a fare spazio alla storia e a rinchiudere se stesso in un angolo.

Qui come si può intuire c’è parecchia vita vissuta da questo scrittore. Buona parte dei personaggi sono stati presi dalla realtà che vedeva ogni giorno quando frequentava la capitale del cinema. Però torno a ripetere: non si tratta di copiare, trasferire, bensì di manipolare e inventare. Nel primo caso si produce un compitino di sicuro successo, nel secondo delle grandi opere.

Ai due estremi della vita l’uomo ha bisogno di nutrimento: un seno… un tempio. Un qualcosa accanto a cui sdraiarti, quando nessuno ti vuole più, e tirarti un colpo in testa.

Chi crede che scrivere sia trasferire l’esperienza della vita su carta, non può scrivere niente del genere. Punto.


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