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L’ecumenismo cristiano che unisce cattolici e ortodossi: intervista a Don Ennio Innocenti

Creato il 03 dicembre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’ecumenismo cristiano che unisce cattolici e ortodossi: intervista a Don Ennio Innocenti

L’ecumenismo, ovvero il complesso di progetti e sforzi per la promozione e il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani, oltre ad essere uno dei maggiori intenti del Concilio ecumenico Vaticano II, rappresenta senz’altro una delle principali sfide che la Chiesa cattolica si è posta e che dovrà affrontare in tempi rapidi. Tale obiettivo trova il suo fondamento nel testamento lasciato da Gesù stesso, il suo fondatore, che nell’ora della sua Passione, alla vigilia della sua morte, ha pregato affinché tutti i cristiani fossero una cosa sola: “Ut unum sint” (Gv 17, 21). Tale unità infatti, che il Signore originariamente ha donato alla Sua Chiesa e all’interno della quale Egli vuole abbracciare tutti, non è affatto un elemento accessorio, ma rappresenta sicuramente una componente centrale della Sua opera perché all’interno di essa si esprime tutta la profondità della Sua Agape.

Non vi è dubbio che per l’attuale momento storico, caratterizzato dai molti stravolgimenti geopolitici in atto, sarebbe auspicabile che i cristiani parlassero con una voce sola, al fine di creare un argine sostanziale alla crisi valoriale e identitaria che, nata all’interno dell’Occidente stesso e declinatasi successivamente in varie forme – economiche, sociali e antropologiche – sta mettendo a repentaglio la sicurezza e la tenuta degli Stati europei. Ne è prova di ciò la profonda crisi che sta investendo la famiglia quale elemento naturale posto a fondamento della società da cui in larga parte deriva anche la crisi demografica che ormai avvilisce tutti i Paesi cosiddetti avanzati.

In tali termini si esprime anche il “Manifesto di Minsk”, siglato nel corso del IV Forum Europeo cattolico ortodosso tenutosi lo scorso giugno, in cui viene chiaramente affermato che “nel corso degli ultimi vent’anni il processo di globalizzazione su scala mondiale, nonché la secolarizzazione delle legislazioni europee sui temi etici, hanno posto dei problemi che esigono risposte congiunte”.

Cattolici e ortodossi hanno in comune diversi punti di contatto sia sul piano ecclesiologico e di dottrina della fede, sia nel campo dell’etica, della cultura e della visione generale della società. A tal proposito, San Giovanni Paolo II riferendosi alle chiese ortodosse scriveva nella Lettera apostolica Orientale Lumen: “Abbiamo in comune quasi tutto; e abbiamo in comune sopratutto l’anelito all’unità”. L’ampiezza e la profondità di tali comunanze, seppur ancora insufficiente per superare la dialettica che li oppone per una completa unione spirituale, può sicuramente rappresentare un elemento fondamentale per affrontare congiuntamente le sfide geopolitiche del terzo millennio.

Differente è il rapporto con i protestanti con cui vi sono tanti motivi di incomprensione e differenze sostanziali di ordine dottrinario che si riverberano sulla concreta possibilità di costruire una visione comune. Ciò, naturalmente, inibisce dal guardare verso una stessa direzione, divaricando i modi di affrontare le suddette sfide che si impongono nel nostro tempo.

Sul punto abbiamo raccolto l’autorevole parere di Don Ennio Innocenti, già Segretario della Commissione Ecumenica del Vicariato di Roma, Cappellano dell’Arciconfraternita Aurigarum e Membro del Presbiterio della Patriarcale Basilica Vaticana.

Ho notato il suo intervento sull’ecumenismo nell’ultimo convegno internazionale su rivelazione e storia. Mi pare che l’incarico di segretario della Commissione Ecumenica del Vicariato di Roma sia stato il più importante tra quelli da Lei ricoperti. Che conclusioni ha tratto, dalla riflessione che questa esperienza ha comportato, sull’Ecumenismo?

L’aspirazione ecumenica è stata viva in me fin dal tempo del ginnasio e durante il liceo divenne sofferenza per l’evidenza della resistenza a ricostruire l’unione.
Al tempo del ginnasio allacciai una corrispondenza con uno studente tedesco protestante che poi divenne cattolico e redassi il mio primo articolo che si ispirava all’Inno mariologico Akathistos, gemma della liturgia orientale. Quand’ero Segretario della Commissione Ecumenica ero entusiasta dell’accordo conseguito allora tra Chiesa Cattolica e Chiese non calcedonensi, mi sembrava questo l’avvio di una trionfale riunificazione con l’Oriente cristiano, ma poi ho dovuto prendere atto di difficoltà enormi anche in quell’area, a causa dell’inquinamento protestante e massonico e della deficienza dell’esigenza dell’unità organica dei cristiani nel Corpo Mistico. Non sentono il bisogno del Papa perché non sentono il nesso fra Chiesa visibile e Corpo Mistico.

Tra le nazioni ortodosse, quale – secondo lei – offre maggiore disponibilità al dialogo ecumenico?

Visitai la Grecia nel 1960 e ne riportai l’impressione che l’apertura ecumenica era legata al rapporto con gli italiani. In Serbia, poi, tutto mi parve gelato. Invece durante il Concilio un illustre giornalista italiano mi pregò di “catechizzare” un diplomatico romeno che era molto interessato a capire in profondità l’evoluzione in corso nella Chiesa Romana e questa esperienza veramente amichevole mi suscitò speranza. Difatti, attraverso i miei studi sulla gnosi, mi resi conto che i vincoli storici e culturali tra la Romania e Roma erano stati costanti attraverso i secoli e si erano rinnovati nel Novecento. La speranza ebbe poi conferma con la visita di Giovanni Paolo II in Romania, durante la quale emerse evidente il desiderio dell’unità ecumenica sia tra la gente comune sia tra gli ecclesiastici. Da allora circa un milione di romeni hanno trovato qualche sistemazione in Italia e questo avrà un notevole influsso nel favorire un dialogo positivo. Ma finché non cadranno riserve e sospetti del Patriarcato Russo nei confronti di Roma, non si concluderà nulla.
Inoltre Roma non ha obbedito alla Vergine che aveva chiesto la consacrazione della Russia (dico: la Russia) al suo Cuore: Roma avrà avuto le sue ragioni, ma la richiesta del Cielo era perentoria. Secondo il messaggio di Fatima, infatti, Mosca è destinata ad avere un peso determinante nella crisi mondiale contemporanea, crisi che ha il suo perno in Roma.
In un primo tempo (in cui Roma non obbedisce alla richiesta Celeste), Mosca – è profetizzato – scatena errori e persecuzioni; in un secondo tempo (in cui Roma aderisce gradualmente anche se inadeguatamente) Mosca opererà una conversione spirituale che avrà il risultato di condurre a un periodo di pace.
Roma cominciò ad obbedire alla Signora di Fatima nel 1942 (cui seguì, l’anno dopo, la sconfitta nazista di Stalingrado), obbedienza rinforzata nel 1952 (cui seguì, l’anno dopo, la morte di Stalin) e – sia pure parzialmente – nel 1984 (cui seguì il progressivo crollo dell’Unione Sovietica: 1989). Da allora la persecuzione violenta voluta dalla Russia cessò, ma le conseguenze politiche e ideologiche mondiali dello scontro continuano (e con esse le persecuzioni).
Dal 1989 la nuova Russia sta gradualmente riprendendo la sua tradizionale fisionomia cristiana e anche la gerarchia ortodossa russa sta incrementando colloqui di chiarimento con la Roma Cattolica. Ultimamente Papa Francesco (che, appena eletto, disse di voler obbedire pienamente al messaggio di Fatima) ha preso una iniziativa che ha ottenuto un successo mondiale, tale da far sperare in ulteriore miglioramento. Infatti, nel mezzo della crisi siriana, mentre il bellicista governo statunitense stava per scatenare la sua mortifera potenza aerea a favore dei persecutori anticristiani, i venti Stati più potenti del mondo (G20) si riunirono sotto la presidenza del Capo russo Putin.
A lui Papa Francesco ha rivolto direttamente l’esortazione a farsi mediatore di pace, ottenendo subito la rinuncia al minacciato intervento statunitense e – a seguire – il progredire dell’interna calma nella devastata area siriana. Successivamente Putin, il 27 novembre 2013, ha fatto visita a Papa Francesco, il quale gli ha chiesto ancora di influire “pro posse” per far cessare la violenza nella vasta area del Medio Oriente.
La televisione ha trasmesso quel giorno alcune sequenze del film dell’incontro vaticano. Si videro i due Alti Personaggi avvicinarsi ad un tavolo per scambiarsi alcuni doni simbolici. Si vide che Putin parlò al Papa indicando l’Icona che egli gli aveva portato, l’Icona che è la bandiera della rinascita civile e religiosa dei popoli russi, la famosa “Madonna di Vladimir”. Si vide il Papa che ascoltò con deferente e grata partecipazione e poi si mosse per andare nella stanza del previsto colloquio, ma Putin lo fermò chiedendogli qualcosa. Il Papa, sorpreso, mostrò immediato consenso; Putin ritornò, dunque, al tavolo dei doni e si chinò sull’Icona per baciarla con riverenza. Dopo di lui anche il Papa la baciò. Io ebbi l’impressione che Putin avrebbe gradito che fosse stato il Papa a baciare per primo l’Icona sacra della Santa Russia.
Questo fatto, oltre a confermare la professata fede cristiana di Putin, mi è sembrato simboleggiare il possibile ruolo avanguardista della nuova Russia sulla via della pace, sia all’interno della propria compagine sociale sia nel rapporto con Roma sia nei rapporti geopolitici.
E infatti la nuova Russia si difende dal veleno liberale, accetta l’influsso sociale della Chiesa, intesse rapporti di positiva collaborazione con altri grandi popoli asiatici, proclama la sua avversione alla preponderanza della grande finanza che schiavizza e sfrutta i popoli togliendo loro non solo il sangue, ma perfino l’anima, avvilendoli col falso idolo d’una libertà priva di fini, ignara del bene e della gerarchia dei beni.
Questo ravviva la mia speranza che quando Papa Francesco romperà gli indugi e obbedirà pienamente a ciò che il Cielo ha chiesto (dovere che fu riconosciuto dal vecchio Benedetto XVI) allora sarà concesso proprio a noi di vedere l’inizio del promesso periodo di pace.
Senza questa obbedienza, il tempo opportuno scadrà e avremo l’alternativa tragica del famoso terzo segreto ormai pubblicato, ultima conseguenza dell’anarchia anticristiana sbandierata nel 1917 coi finanziamenti dei soliti padroni del mondo.

Qual è la sua opinione sull’ecumenismo coi protestanti?

In quell’area sono sopratutto i professori che frenano. Non hanno capito che la Riforma ha fallito perfino nella loro area, alcuni – anzi – non hanno capito neppure che si sono staccati dalla Tradizione della Chiesa dei primi secoli patristici.
Nel mio studio mi sono imbattuto in una confessione del più celebrato teologo protestante, Barth, che mi ha del tutto sconcertato. Egli confessa che non sussisterebbero ragioni serie per rifiutare il cattolicesimo se non fosse per …l’analogia! A me questo pare un’assurdità e mi fa venire sospetti poco ecumenici. Questi sospetti si sono rinforzati negli ultimi anni. A che è servito ridurre il dissenso dogmatico a mera differenza dottrinale, quando poi la differenza non abbatte il muro di divisione? Non viene il sospetto che si voglia mantenere a tutti i costi la divisione ponendola sulla differenza?
Quand’ero segretario era vivissimo in Italia il dibattito sul divorzio, l’aborto, lo sfruttamento capitalista e io dicevo ai protestanti: ecco un terreno dove possiamo essere uniti. Illusione! Le cose sono andate peggio con l’omosessualità e il sacerdozio delle donne, rivoluzioni ritenute essenziali dalle guide protestanti. Perciò non vedo proprio come l’ecumenismo con loro possa procedere.

Un sogno svanito?

Come il sogno dell’unità europea. Com’è possibile questa unità senza l’area ortodossa, ossia senza la Russia? Com’è possibile presentare al mondo una civiltà comune, se si rifiuta la Tradizione cristiana? Resta solo il mercato, ma questo è selvaggio. Perciò quando leggo che l’ecumenismo è irreversibile, mi sembra che si faccia solo retorica.

Può indicare i nodi essenziali del dialogo coi protestanti?

Il primo nodo è quello di prendere sul serio la Parola rivelante di Dio, al di là del criticismo biblico, e di garantire una ermeneutica ecclesiale (al di là del soggettivismo individualistico) per assicurare la trasmissione volta a tutte le genti (al di là dei diagrammi delle lingue e delle culture). Il secondo nodo è la sacramentalità del ministero e dell’eucarestia che non sono convenzioni sociali ma garanzia di presenza divina nella Chiesa. Il terzo nodo è la concezione della Chiesa come corpo organico al di fuori della quale non si dà sicura evangelizzazione e santificazione. Il quarto nodo è un’antropologia equilibrata che permetta la giustificazione della libertà e dell’influsso salvifico della grazia divina sulla libertà umana: senza questo non si può operare la salvezza nella storia e non si può più parlare di storia della salvezza: la storia deve essere salvata attraverso l’uomo ricettivo della grazia.

L’osmosi culturale europea non facilita anche il dialogo ecumenico tra l’area protestante e quella cattolica?

La cultura oggi dominante in Europa è quella di area protestante ed è una cultura ormai immanentista, atea, che dallo sviluppo del Kantismo è diventata neopositivista.
Anche sul piano teologico il confronto non permette di sperare perché la cultura teologica cattolica è ancora dominata dal rahnerismo. Non c’è osmosi neppure sul piano artistico, dato che i protestanti (seguendo il risentimento luterano esploso contro la vendita delle indulgenze – S. Pietro! – e il rifiuto iconoclasta di Carlostadio della rappresentazione sacra) hanno prodotto ben poco nel figurativo e anche in musica: è in casa loro che è stata favorita la musica senza significato.
Solo il turismo di massa (se fosse meglio utilizzato da parte cattolica) potrebbe incrementare un dialogo culturale benefico.

Il dialogo interreligioso produce buoni effetti?
Effetti di cortesia. Con gli africani occorre superare il naturalismo, con gli indiani bisogna garantire la vera trascendenza della divinità, coi cinesi è necessario superare il ricordo della guerra dell’oppio e il materialismo di massa, coi giapponesi, poi, come superare il pregiudizio che portò al martirio di 30 mila cristiani nel 1637 e, sopratutto, il loro risentimento contro la bomba atomica “cristiana” del 1945?


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