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L’emigrante racconto di Antonella Brighi

Creato il 15 marzo 2011 da Viadellebelledonne
L’emigrante racconto di Antonella Brighi

La Lloca del Rinconín está en el Paseo maritimo de San Lorenzo de Gijón.

L’emigrante  di Antonella Brighi

 

… La notte spesso,  ancora non riusciva a dormire, l’angoscia si ripresentava uguale e puntuale  come una maledizione.  La notte,  sola  davanti al cielo, tentava di ritrovare la sua stella polare, un  punto fisso  a cui aggrapparsi. Di notte, mentre una parte del mondo trovava sollievo nel riposo, la sua vita premeva per uscire dall’oscurità e per farlo si aggrappava a qualsiasi movimento esterno, persino alla sublime bellezza di un cielo stellato avvolto dalla luce soffusa della luna. Ma nel silenzio notturno, le meditazioni anziché  apportare una ventata di sollievo e dare una parvenza di significato ai fatti della vita,  a volte  ricreavano visioni senza apparente possibilità di redenzione, surreali e dolorose.

Allora in fondo all’ anima,  poiché si rendeva conto che in definitiva fuori da quel mondo che la identificava  non c’era nient’altro, sentiva che la sua vita  era ancora lì, pronta a mordere….

Le sembrava di risentire echeggiare nella fresca brezza notturna le parole che “i più grandi” erano soliti pronunziare come un sermone senza varianti e che colpiva come una sentenza senza possibilità di appello: “La vita è fatta così!”.

Che la vita non fosse una bella valle cosparsa di fiori l’aveva appurato molto in fretta, ma quel “fatta così” francamente l’aveva sempre sconcertata. Capiva che dietro quelle frasi non dette si celava qualcosa  di inspiegabile, qualcosa che era meglio non conoscere,  da non sperimentare mai negli avvenimenti della vita.  Ma ben presto   quell’arcano mistero si sarebbe rivelato.

Maggiore di sette figli, aveva passato la sua infanzia in un mondo regolato da dure leggi morali e religiose, in un mondo dove il ruolo fra maschio e femmina oltre ad essere ben delineato, limitava drasticamente la possibilità per le ragazze di potere seguire le proprie vocazioni interiori. E poi, come un’irremovibile presenza malefica c’era la povertà. Tanta povertà. Non si poteva quindi perdere tempo a mandarla a scuola, renderla troppo istruita poteva rappresentare un grosso rischio.  Chi avrebbe aiutato la famiglia nel lavoro dei campi?  Così si rivedeva ancora bambina con le lunghe trecce al vento, curva sulla cima del baratro a falciare l’erba, a raccogliere erbe selvatiche a pascolare le greggi. Si rivedeva camminare lungo i sentieri scoscesi e giù nei torrenti dove si recava a procurarsi l’acqua con i secchi  in equilibrio sulla testa. Risentiva ancora le mani congelarsi come quando d’inverno rompeva il ghiaccio nella pozza per lavare i panni per tutta la famiglia. Oppure il ricordo si soffermava su quel paese abbarbicato sulla cima dell’altipiano, dove inoltrandosi nei sentieri fra i campi  si veniva investiti dal profumo penetrante dei rubini, e dove lo sguardo poteva perdersi fra   sconfinati campi di grano…..

Il ricordo delle gialle distese profumate  le procurava ancora un senso di pace e di strana felicità. Infatti  al tempo della  mietitura erano legati i momenti più emozionanti dell’anno:  gli scherzi,  le risate dei giovani, le gare di taglio con le falci,  i cori e gli stornelli. I giorni e le stagioni si susseguivano veloci, mentre nel paesaggio e tutto attorno  riecheggiava la melodia dolce e amara del suo canto.

Fu di domenica mattina che lo vide per la prima volta.

Si scambiarono un’occhiata interessata e penetrante. Lei con le scarpe in mano per non rovinarle, aveva i piedi tutti impolverati e stava andando alla messa con la madre e le sorelle. Si sentì morire dalla vergogna. Lui, bello, spavaldo e tenebroso come un cavaliere d’altri tempi, salutò con cortesia e sorrise sotto i baffi. Si era appena  trasferito in paese con i suoi genitori per lavorare un fondo come mezzadro ma già considerava l’opportunità di trovarsi un lavoro  all’estero per guadagnarsi un futuro dignitoso. Fu amore a prima vista.  Sposa bagnata, sposa fortunata… ma se nevica…..?   Quella domenica uno profondo strato di neve ricopriva tutto il paese e per andare in chiesa la sposa si era quasi rotta una gamba dopo l’ennesima scivolata. Qualcuno era pronto a giurare che avesse anche imprecato fra i denti. Anche la neve ed il ghiaccio si opponevano al passaggio della sposa. Era forse già una segno del destino che anziché suonare la marcia nuziale voleva anticipare le sue marcia funebre? Era bellissima la sposa nel suo abito nero.

Una folata di aria fresca, entrata improvvisa ed inattesa dalla finestra aperta, l’aveva riportata alla realtà. Un brivido lungo la schiena. Nel silenzio della casa sentiva il respiro profondo e regolare di   chi, nelle stanze accanto riusciva a dormire. In lontananza un cane abbaiava nella notte. Al senso di solitudine si aggiungeva così una specie di paura che le chiudeva lo stomaco e che saliva su sino ad attanagliarle la mente.  Diventava angosciante. Allora chiudeva gli occhi. Cercava di trovare conforto nella luna che era sempre lì, ma che aveva proseguito il suo cammino nella volta del cielo e la sua luce evanescente, ma fredda  riportava ancora una volta i pensieri ad affogare nei ricordi.

Così si rivedeva il giorno della partenza. Lei, che per andare in paese l’ultima volta aveva cavalcato il mulo del nonno, carico di legna da vendere e con lo sguardo fiero e sicuro dei suoi occhi neri, aveva affrontato una serie di giovani che, ridacchiando volevano metterla in difficoltà, ora si ritrovava senza fiato di fronte al treno. Non aveva mai visto un treno e quella lunga fila di scatole oblunghe la metteva soggezione. Ma era bastato salirci. Li accanto c’era il suo prode cavaliere pronto a difenderla e tutto si era trasformato in un sogno. I paesaggi si muovevano veloci: campi, alberi, case, paesi, torrenti, fiumi e poi ne aveva visto uno largo e maestoso, le avevano detto che era il Po. Poi i laghi, attorniati da monti altissimi che si rispecchiavano nell’azzurro di  quelle acque tranquille. Poi improvvisamente, il buio. Lo sferragliare del treno era diventato assordante, si riusciva a parlare con difficoltà. Il suo cavaliere le aveva stretto le mani, “Stiamo attraversando la galleria del Sempione”, le aveva sussurrato. Si era stretta a lui.

Ma la luce, alla fine del tunnel parlava un’altra lingua.

Dall’altra parte, li avevano disinfettati come se fossero cani appestati. La sposa era stata accompagnata nella sua casa di cartone. Sulle loro teste, nei momenti di silenzio si sentivano correre i topi.  D’inverno il rubinetto ghiacciava in cucina e a volte il camino della stufa incendiava la soffitta. Lavoravano tutto il giorno, lei in una fabbrica di biscotti, lui faceva il muratore. In sei anni  erano nate tre figlie, e forse erano felici e lavoravano e risparmiavano volentieri, perché volevano tornare a casa,  perché volevano una vita migliore. Ma come aveva scritto, non si ricordava chi “la terra è stata fatta tonda perché non ci sia concesso di vedere troppo in là…”,   Lei non avrebbe più guardato da nessuna parte.

Nel pieno della gioventù il bel cavaliere era stato stroncato da un infarto. In una gelida notte d’inverno sotto una luna pallida e lontana, nel vasto giardino di erba rinsecchita, l’urlo di una civetta aveva attraversato il loro destino. Nella decrepita casa straniera, era rimasta sola con tre figlie piccole, e sola con la morte. Era terrorizzata.

Ma la vita era fatta così…. Glielo avevano già detto, no?  e Lei doveva averlo capito!

Era tornata a casa. Il treno tornava indietro orfano. La vita in tre valigie, senza più lacrime. Ma a chi poteva interessare una vicenda simile? La storia registra i grandi avvenimenti, non si può prendere cura delle miserie di piccole vite che si nascondono nell’anonimato di tutti i giorni. E poi,  il dolore è di chi è! Nessuno se l’era mai caricato sulla sue, di spalle e portato a bruciare all’inferno!….  Nessuno ci era riuscito e l’oscuro insetto del dolore continuava a pungere mietendo molte vittime..

Un respiro più profondo, qualcuno nell’altra stanza si stava rigirando nel letto. Una lieve brezza le accarezzava i capelli e in fondo al campo di trifoglio un lieve chiarore stava punteggiando l’orizzonte. Presto avrebbe assistito al grande miracolo dell’alba. Il sole sarebbe spuntato fra gli ulivi e dissolvendo i veli evanescenti delle nebbie mattutine sarebbe comparso in tutto il suo splendore. La notte sarebbe finita.

 



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