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L' " inchino" : tutti sapevano ed approvavano

Creato il 21 gennaio 2012 da Ottoaprile

GROSSETO — Soltanto a stare sprofondati nel divano del salotto si capisce la rabbia e la pena che prova quest’uomo. La sua casa nel centro di Grosseto è quasi un museo a se stesso, alla propria storia. Alle pareti, sulle mensole, ovunque, ci sono foto e ricordi di una vita passata in mare e al centro di tutto c’è sempre lui, il comandante Mario Terenzio Palombo, pochi sorrisi e un contegno altero. «Verso le 22.00 ebbi anche l’opportunità di passare davanti al porto del Giglio, rallentare sensibilmente la velocità, transitare molto rasente alla costa e salutare la mia isola. Era la prima volta che una nave così grande, l’ammiraglia della "Costa" e della flotta italiana, passava così vicino e salutava la popolazione accorsa sul molo. Una grande emozione». La copertina del libro del comandante PalomboLa copertina del libro del comandante Palombo L’inchino nasce quella sera, primo ottobre 1993. Andiamo avanti a leggere, ma il comandante agita una mano con un gesto stanco. «La prego, basta ». Dev’essere terribile, davvero. Vedere le proprie memorie che diventano quasi un corpo del reato destinato a entrare negli atti della Procura. «La mia vita da uomo di mare» è il titolo. «Da Camogli all’Isola del Giglio, dalle navi da carico ai prestigiosi comandi di navi passeggeri ». Pallore quasi diafano, espressione affranta. Ma la voce è quella di un professore costretto a spiegare la lezione ad allievi impreparati. «Lei è di Milano? Troppo lontano dal mare, cosa volete saperne, voi. Imparate a usare le parole corrette: l’inchino non esiste, esistono i passaggi ravvicinati. Sono sempre un momento di festa per Costa Crociere, che può averne notevoli ritorni economici. Quel passo che lei cita riguarda l’inaugurazione della Victoria, avevo a bordo i vertici della compagnia». Nell’ottobre 2008 il libro, Editrice Innocenti di Grosseto, era quasi una terapia per un marinaio costretto da un infarto ad abbandonare quel che ha di più caro, il mare. Tre anni, una manovra folle del suo ex vicecomandante e un naufragio dopo, gli occhi che si fermano su quelle pagine sono obbligati a un sguardo diverso. Perché l’ultimo inchino della Costa Concordia era dedicato anche a lui, a Palombo. Intervistato dal Corriere della Sera, il presidente di Costa Crociere Pierluigi Foschi sostiene che la pratica degli inchini non appartiene alla compagnia, ma non esclude che qualche comandante, di sua iniziativa e senza informare, prendesse rotte vicine alla terraferma. Dice Palombo: «Ho sempre informato la centrale operativa e la Guardia costiera di ogni deviazione. Adesso il governo proibirà queste manovre, e molti posti di lavoro andranno perduti». Il comandante è un uomo dalla memoria di ferro e il suo libro è quasi un diario di bordo. A volte l’avvicinamento alla terraferma viene fatto su esplicita richiesta dei vertici della compagnia. Sempre il primo ottobre 1993: «Alle 9 si partì per Civitavecchia, dov’era prevista una cena di gala. Avevo espresso la mia contrarietà quando l’allora responsabile dell’ufficio Pippo Costa me lo aveva proposto. Era uno scalo a rischio, la nave per entrare doveva evitare le secche e retrocedere per 600 metri amarcia indietro. Costa mi disse che la nostra entrata nel porto era importante». Palombo ci prova tre volte. La manovra è troppo pericolosa. Ottiene da Genova il permesso di lasciar perdere. Torniamo al Giglio. Venticinque luglio 1996: «Ci avvicinammo lentamente e quando fummo vicinissimi vidi mio padre sulla punta del molo, con il binocolo a tracolla». Soprattutto, 21 novembre 1998, dove si parla dello scoglio diventato celebre in tutto il mondo: «Puntai sulle Scole rallentando gradualmente la velocità… la gente che era alle finestre segnalò la sua presenza accendendo e spegnendo le luci. Fu una bella emozione». Nel 2003 sfiora la Gabbianara, dove oggi è arenata la Concordia. «Passammo vicinissimi. Ovviamente chiesi l’autorizzazione». Ci sono inchini e inchini, questo ormai è chiaro. E non tutti i comandanti sono uguali. All’inizio del libro l’autore ricorda l’insegnamento di un suo maestro. «Le prime cose che deve apprendere un buon comandante sono i limiti di manovra della nave, e i propri limiti». Ci si sente in colpa, a chiedere conto di quelle poche frasi, perse in 304 pagine che spiegano bene perché Palombo sia considerato una leggenda della Costa Crociere, un uomo che nel 1986 alle Bermuda sferzate dall’uragano Emily riuscì a salvare il suo transatlantico e le 1.200 persone a bordo. Ma il comandante è una figura centrale dell’inchiesta sul naufragio. Venerdì sera Palombo riceve una telefonata dal cellulare del maître Antonello Tievoli, parente stretto di sua moglie e unico gigliese a bordo, che dalla plancia di comando gli comunica il passaggio davanti alla «sua» isola, e gli passa Schettino. «Due cretini» dice. Quel libro sconosciuto ai più aiuta a capire molte cose, aiuta a capire il suo legame con Gianni Onorato, direttore generale di Costa Crociere, l’amicizia con Roberto Ferrarini, suo ex ufficiale di bordo e responsabile della centrale operativa di Costa Crociere la sera del naufragio, del quale viene informato proprio da Palombo. Quel libro con dentro la sua vita è diventato una prova. «Oggi vorrei non averlo mai scritto». Grosseto è diventata piccola per lui, di tornare al Giglio non se ne parla. Il vecchio marinaio si rassegna a partire alla ricerca della tranquillità. In montagna. 21 gennaio 2012 | 8:23

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