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L’intervento pubblico in economia nell’età contemporanea

Creato il 21 giugno 2013 da Diego Gavini

Nel 1846 nel Regno vengono abolite le Corn Laws: è l’inizio della fine del protezionismo agrario nel Paese d’Oltremanica.
Nel 1976 Milton Friedman vince il Nobel per l’economia: alle sue teorie neoliberiste guarderanno immediatamente l’Inghilterra di Margaret Thatcher e gli Stati Uniti di Ronald Reagan nel porre fine alle politiche keynesiane.

Da un punto di vista del tutto simbolico questi due momenti rappresentano da un lato l’apice delle pratiche liberiste nell’Ottocento e dall’altro l’avvento di una stagione neoliberale in Europa e negli Stati Uniti. All’interno di questi due intervalli è possibile segnalare una lunga stagione di interventismo statale in economia. Nell’individuare tale interventismo, occorre però tenere conto di una serie di fattori fondamentali:

  1. Né il liberismo né il neoliberismo implicano una sparizione totale della presenza statale nei meccanismi economici, così come anche nelle esperienze caratterizzate dal più ampio interventismo statale (ad esempio le economie socialiste) non è possibile registrare una totale sparizione della mano privata
  2. Questa cronologia è puramente simbolica: non è possibile individuare date di inizio o di fine esatte nel succedersi delle stagioni economiche
  3. Per quanto sia possibile notare delle tendenze comuni, bisogna tenere in conto le forti differenze delle diverse esperienze dei singoli Stati
  4. All’interno di questo intervallo temporale indicato in maniera del tutto sommaria, non è possibile registrare una parabola precisa nella crescita dell’intervento pubblico. Piuttosto è possibile individuare alcuni momenti di particolare intensità in cui si afferma la pratica dell’interventismo statale.

Tenuto conto di tutte queste premesse, e ricordando in particolare come soprattutto in questo caso la schematizzazione implica delle grandi forzature, potremmo individuare quattro momenti decisivi che caratterizzano l’intervento pubblico in economia: la seconda rivoluzione industriale, la prima guerra mondiale, la risposta alla crisi del ’29 e il secondo dopoguerra. In ognuna di queste stagioni sarà poi anche possibile notare un altro fattore, anche se sembra banale dirlo: ovvero il forte parallelismo fra mutamenti economici e mutamenti politici.

La seconda rivoluzione industriale

  •  In particolare nei paesi cosiddetti “late comers”, come ad esempio Germania, Italia o Giappone, l’intervento pubblico si rende decisivo nello stimolare e nel sostenere un decollo industriale che permetta a questi Stati di ridurre la distanza rispetto a paesi di più antica industrializzazione, soprattutto il Regno Unito.
  • Come detto poco sopra, vediamo subito come il legame fra cambiamento nelle prassi economiche sia fortemente legato a fattori politici. Per fare degli esempi, basti notare come Germania e Italia siano due Stati di nuovissima formazione, mentre in Giappone il decollo industriale segue la fase della “restaurazione Meiji”.
  • L’intervento statale si muove secondo un ampio ventaglio di soluzioni, fra interventi più indiretti ed altri maggiormente diretti: il protezionismo doganale (che inizia nel settore agricolo in seguito al crollo dei prezzi: in Italia dal 1878, in Germani dal 1879, in Francia nel 1881, in Russia nel 1891; segue un protezionismo anche industriale); ampi investimenti nella politica coloniale (da un punto di vista sempre convenzionale e simbolico, la fase imperialista inizia col congresso di Berlino del 1884-85); l’avvio di forme di legislazione sociale (strada aperta dalla Germania di Bimarck a partire dal 1881). Casi particolari di intervento statale si registrano in alcuni settori emblematici della rivoluzione industriale, come la costruzione delle ferrovie, dove l’intervento dei singoli Stati si registra puntualmente, anche se seguendo modalità diverse: ad esempio mentre in Belgio la costruzione della rete ferroviaria avviene totalmente a spese dello Stato, in Francia lo Stato intervenne nella costruzione delle infrastrutture necessarie; o ancora: mentre in Russia lo Stato si impegnò ad attirare capitali stranieri, in Italia e Germania venivano offerte una serie di convenzioni e garanzie alle società private che avevano la concessione per la gestione delle diverse tratte.
  • Vediamo ora più da vicino il caso italiano. La crescita del ruolo della mano pubblica si ha con il passaggio dalla Destra alla Sinistra storica, ricordando comunque quanto premesso, ovvero che anche nella fase più apertamente liberista (propria della Destra storica) non è assente un intervento pubblico (che negli anni della Destra si registra nella promozione di istituzioni finanziarie, nella crescita del debito pubblico, nell’aumento dell’imposizione fiscale, nel corso forzoso, nella vendita dei beni ecclesiastici e demaniali, nell’attirare capitali stranieri). Negli anni della Sinistra Storica e poi in quelligiolittiani assistiamo in particolare a:
    • Introduzione del protezionismo doganale a partire dal 1878 con i dazi a favore del settore tessile e poi il salto di qualità nel 1887 (soprattutto nel campo dei cereali, dello zucchero, del tessile e dei prodotti metallurgici)
    • Sostegno alla marina mercantile nazionale attraverso la legislazione del 1885
    • Il forte intervento nel settore della siderurgia, come ad esempio con il sostegno alla creazione delle Acciaierie di Terni e poi i continui interventi a loro favore
    • Le leggi “speciali” per il Mezzogiorno
    • Una pratica costante di salvataggi bancari
    • L’avvio di una legislazione sociale a partire dal 1898

La prima guerra mondiale

  • La Grande Guerra, evento epocale per le sue dimensioni di massa, ebbe inevitabilmente grandissime ricadute sul rapporto tra Stato ed economia. La necessità di mobilitare a pieno tutte le risorse a favore dello sforzo bellico ebbe forti ripercussioni a livello produttivo ed economico: non solo si portò sostanzialmente a termine il processo di sviluppo industriale, ma si assistette anche ad un salto di qualità enorme nelle modalità di gestione dell’economia da parte dell’apparato statale.
  • Molteplici sono le modalità di intervento pubblico: creazione di apposite istituzioni per indirizzare la produzione industriale verso lo sforzo bellico (ad esempio il Comitato per la Mobilitazione Industriale all’interno del Ministero delle Armi e Munizioni italiano) fino ad arrivare ad una sostanziale pianificazione statale della produzione; avvio di nuove relazioni industriali per favorire la pianificazione economica; crescita abnorme della spesa pubblica; aumento della leva fiscale, della contrazione di debiti esteri e della inflazione proprio per fronteggiare la spesa pubblica.

La risposta alla crisi del ’29

  • La crisi del ’29 ebbe ripercussioni politiche fondamentali nella storia non solo europea ma mondiale; altrettanto forti furono, anche perché ovviamente legati ai fatti politici, furono le conseguenze economiche. Con modalità e tempistiche ovviamente differenti da Stato a Stato (anche per la natura politica diversa dei vari Paesi, con un ventaglio che va da regimi democratici a regimi totalitari), minimo comun denominatore fra le diverse esperienze fu una crescita sostanziosa dell’intervento della mano pubblica nel cercare di fronteggiare gli squilibri strutturali prodotti (o piuttosto accentuati) dalla crisi innescata dal crollo di Wall Street.
  • Il ventaglio delle risposte dei singoli Stati è, come appena accennato, estremamente variegato (alcuni esempi: mentre l’Europa e gli Stati Uniti sono in crisi, in Unione Sovietica si assiste ad una poderosa crescita sull’onda della piani quinquennali; in Italia sotto il regime fascista vi è una sostanziale continuità, benché si arrivi ad una forte crescita quantitativa, nelle prassi dell’intervento pubblico; negli Stati Uniti le politiche roosveltiane del New Deal sono segnate dalle teorie di Keynes; il rilancio tedesco sotto il nazismo avviene all’insegna di una crescita esponenziale della politica di riarmo; nei Paesi europei democratici, dopo lo sbandamento iniziale, si tenta di rispondere con politiche anticicliche). Ciò nonostante, a dispetto di tutte le differenze che non bisogna sottovalutare, è possibile rintracciare delle tendenze comuni:
    1. grande impatto statale nelle politiche monetarie (sostanzialmente svalutazione e rivalutazione delle valute nazionali)
    2. interventi statali per fronteggiare la disoccupazione con il lancio di ampi lavori pubblici 
    3. forti intromissioni nel mercato del lavoro (con caratteristiche molto diverse: dal dialogo con i sindacati in Francia e Usa all’abolizione della contrattazione sindacale in Italia e Germania)
    4. assunzione diretta da parte dello Stato del controllo di industrie, banche e consorzi finanziari (in particolare nei regimi totalitari, dalle nazionalizzazioni già avviate in Urss alla costituzione di società come Imi e Iri in Italia)
    5. protagonismo statale quale vero e proprio cliente di industrie nazionali attraverso un’accentuazione della pratica delle commesse
    6. ripresa del protezionismo doganale e accentuazione del controllo del commercio internazionale e degli scambi di valute
    7. forte ampliamento della legislazione sociale e del sostegno indiretto al salario
    8. aumento del debito pubblico

Il secondo dopoguerra

  • Nel secondo dopoguerra l’importanza dell’intervento statale in economia diventa una acquisizione sostanzialmente generale. I diversi Stati avviano la ricostruzione del dopoguerra consapevoli degli enormi errori compiuti dopo la Prima Guerra Mondiale. A prescindere dalla strutturazione dell’ordine internazionale, che qui ci interessa solo nella misura in cui a ordini politici diversi corrisposero sistemi economici diversi, da rilevare è come negli anni successivi alla Seconda Guerra non si tentò un ritorno alle politiche del laissez faire o della competizione protezionistica fra gli Stati.
  • Anche in questo caso le esperienze postbelliche furono notevolmente diverse: nei paesi dell’Europa Orientale vennero avviate politiche socialiste di pianificazione e di assoluto protagonismo statale; nei paesi dell’Europa Occidentale si affermò invece un sistema di economia mista (ovvero di forti intrecci tra mano pubblica e mano privata). In entrambi i casi non si può, anche in questo caso, individuare un modello unico. Le differenze persistevano tanto nel caso dei paesi socialisti che fra i paesi capitalisti, anche se ovviamente con maggiori sfumature fra questi ultimi. Una denominatore comune è comunque possibile individuarlo seppur all’interno di queste esperienze molto diverse: l’idea dell’importanza dello Stato come regolatore economico e come attore protagonista nella ridistribuzione delle risorse.
  • Per quanto riguarda l’Europa Occidentale, nel ventennio che segue la Seconda Guerra (sostanzialmente dagli inizi degli anni ’50 a quelli degli anni ’70) si registra una crescita economica poderosa, in grado di raggiungere picchi stupefacenti, all’interno di una congiuntura internazionale assolutamente particolare e determinata da una pluralità di fattori che non possiamo qui riassumere. La crescita delle diverse economie nazionali non è, e ormai non sembra neanche più il caso di dirlo, uniforme: schematizzando vediamo i picchi maggiori nella Germania Occidentale e in Italia (superate fuori dall’Europa solo da un Giappone ormai pienamente integrato nel sistema occidentale), mentre si riscontrano diverse difficoltà in Inghilterra. Ancora meno omogenee sono le scelte economiche attuate dai singoli Stati e, soprattutto, diverse sono le tempistiche. Importanti fattori che caratterizzano questi anni e che segnano un trait d’union sono comunque:
      1. una tendenza comune al perseguimento di politiche keynesiane
      2. l’accettazione della necessità della presenza dello Stato in economia attraverso forme dirette (imprese pubbliche, nazionalizzazione di interi settori economici, partecipazioni statali, forme di pianificazione economica) o indirette (uso della leva fiscale, aumento dell’indebitamento pubblico, uso delle politiche monetarie, adozione di politiche industriali, interventi straordinari) da cui una grandissima crescita della spesa pubblica
      3. la condivisione di alcuni obiettivi: lotta alla disoccupazione, raggiungimento piena capacità produttiva, aggancio dei salari alla produttività, aumento del potere d’acquisto, equilibrio della bilancia dei pagamenti
      4. l’adozione di politiche europee comuni che hanno dato vita al percorso di unificazione economica dell’Europa
      5. l’assunzione della costruzione di un welfare state come compito fondamentale dello Stato, da cui un’espansione senza precedenti nella legislazione e nella previdenza sociale
  • Il modello dell’economia mista e dell’adozione di politiche keynesiane sarebbe entrato in crisi solo alla fine degli anni Settanta, dopo che nel sistema economico occidentale si registrò un fenomeno nuovo lastagflazione, dovuto ad una crisi e soprattutto una ristrutturazione economica di cui la crisi petrolifera del 1973 fu solo il fattore scatenante. Per stagflazione si intende una crescita dell’inflazione e della spesa pubblica senza che questo si traduca in una crescita del Pil, nella riduzione della disoccupazione o nell’aumento del potere d’acquisto. Come premesso all’inizio, i mutamenti degli anni Settanta avrebbero comportato un graduale abbandono delle politiche keynesiane a favore di pratiche neoliberiste centrate (con estrema schematizzazione) sulla diminuzione della spesa pubblica, la privatizzazione dei settori economici, una riduzione del welfare state, l’adozione di politiche deflazionistiche, una deregolamentazione del mercato del lavoro.

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