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L’Uccello che Girava le Viti del Mondo: una Metafora della Vita e del Sogno

Creato il 18 febbraio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
L’Uccello che Girava le Viti del Mondo: una Metafora della Vita e del Sogno

"Se mi succedeva tutto questo, non era forse perché mancavo di realismo letterario? Come se fossi diventato un personaggio di un brutto libro che avevo scritto io stesso. Come se qualcuno mi stesse rinfacciando di non essere abbastanza reale". Questo il dubbio che Murakami Haruki accende a un terzo de L'uccello che girava le viti del mondo, romanzo complesso e consistente tradotto da Antonietta Pastore per Einaudi.

Infatti, Murakami, autore acclamato dalla critica e dal successo internazionale, costruisce un mondo in cui l'azione si assottiglia progressivamente, penetrando in una dimensione onirica senza avvertimenti di sorta. Manca un dizionario, ma ad ogni angolo di strada un cartellone comunica il proprio messaggio, indipendentemente dal destinatario e dalla sua capacità di interpretazione. Il lettore si trova immerso nell'estate assolata di un giovane disoccupato, Okada Toru, tenacemente ancorato alla propria routine fatta di un matrimonio sereno e di faccende domestiche. Ma altrettanto tenacemente, nella stabilità della sua vita qualunque si insinua una lenta forza cui niente resiste e che tutto distruggerà. Come l'acqua e la sua corrente. Metafora della narrazione, l'acqua non è in Murakami pioggia o ghiaccio o mare, ma profondità su cui ogni vita viene costruita, forza che scorre dietro tutte le apparenze e che tutte le apparenze lega.

Il protagonista, un trentenne in piena crisi, non sembra avere né trovare possibilità d'azione in questo mondo, governato da personaggi dalla faccia pulita e segreti insvelabili, ma di tutto questo non pare preoccuparsi. Anzi, all'inizio del romanzo scopriamo che ha appena abbandonato la routine di assistente legale, pieno di rimorsi e dubbi, ma che, tutto sommato, non ha grosse preoccupazioni né progetta di far altro che condurre una serena vita casalinga. Saranno gli eventi a metterlo in moto, la ricerca di un gatto che non torna a casa si trasformerà nella ricerca di una donna. E questa nella ricerca di una visione d'insieme e nella ricerca di un mistero. Si procede insomma di ricerca in ricerca, come in un'inchiesta, a partire dalla telefonata di una sconosciuta, provocante e misteriosa.

In questo percorso aiutanti e antagonisti sembrano affollarsi senza che si possa definire bene a quale delle due categorie appartengano. Così il vecchio tenente Mamiya, padre senza figli, racconta della propria terribile esperienza, vissuta durante la guerra cino-giapponese, al giovane Toru cui insegnerà che "la vita è una cosa molto più limitata di quanto credano coloro che si trovano presi nel turbine dell'esistenza". Eppure proprio dal racconto del soldato, incontrato in maniera del tutto fortuita, il giovane trarrà un insegnamento che lo condurrà ben oltre la sfera del razionale.

L'atmosfera di sospensione del volume, che conta più di novecento pagine, sembra non arrivare mai al punto di svolta, ad un finale soddisfacente, e la non-storia poter continuare indefinitamente.

In realtà l'universo creato dal giapponese, qui all'ottavo romanzo, procede per accumulo di quotidianità, incontri e racconti di crudeltà ed erotismo fino a trascinare lo stesso lettore sul fondo di una dimensione buia, che però si apre su un altro racconto, su un altro punto di vista interpolato al precedente. E ad un altro ancora, fino ad abbracciare la vita intera. Il tutto è reso con una scrittura piana, senza troppi orpelli, che lascia alle situazioni e ai rimandi simbolici all'interno del testo, più che al linguaggio, il compito di costruire le suggestioni e la magia del racconto. Lo stesso protagonista affermerà che "il corso degli eventi si è tremendamente complicato, sono entrate in scena parecchie persone, sono successi uno dopo l'altro un sacco di fatti strani, se provassi a raccontarti tutto dall'inizio non ci capirei più nulla. Ma a guardare le cose da una certa distanza, il senso della vicenda è chiaro".

Così anche al lettore pare non capire nulla, tra le numerose citazioni musicali e richiami letterari, tra Rossini e Orfeo. Ma, a ben vedere, il senso della realtà sta proprio nella confusione che si delinea come un'ombra e ci accompagna lungo la via, nella luce che quell'ombra genera. Una lunga complessa metafora, dai limiti sfumati, della vita e del sogno.


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