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L’uomo e la morte, Edgar Morin

Creato il 26 gennaio 2015 da Serenagobbo @SerenaGobbo

L’uomo e la morte, Edgar Morin

Ci ho messo un po’ a riflettere sul come affrontare l’articolo su questo titolo, perché ogni recensione rischia di banalizzare l’enorme mole di ragionamenti (filosofici, storici, antropologici, psicologici, letterari) che si srotolano tra le pagine. E anche le vere e proprie recensioni che ho trovato in giro, dei contenuti del libro dicono poco: senza cattiveria, semplicemente perché è un libro che va letto. Non si può riportarne uno stralcio senza perdere la ricchezza dei collegamenti che lo legano al prima e al dopo.

Qui accenno solo al tema principale: la paura/rifiuto della morte va di pari passo con l’affermazione dell’individuo rispetto alla specie. Cioè, dove prevale la specie, questa copre con un manto protettivo l’orrore della dissoluzione dell’individuo. E perfino dove sembrerebbe che il rifiuto della morte sia bandito (omicidio, cannibalismo), in realtà Morin ci dimostra che queste eccezioni riescono, alla fine, a confermare la sua tesi.

Il libro è degli anni Settanta, qui proposto in una nuova traduzione (Riccardo Mazzeo, editor storico della Erickson).

Incredibile come un libro del genere riesca a intrecciarsi con gli argomenti che mi occupano gli scaffali negli ultimi mesi. Si intreccia con un testo di etologia (amore e morte) che mi ricordava come la cellula è praticamente immortale quando dice:

La morte è il prezzo dell’organizzazione, della differenziazione, della specializzazione.

E al contempo si intreccia ai libri sul buddismo. Perché? Perché se noi ci considerassimo parte di un Tutto, allora sì che saremmo indifferenziati, e, dunque, immortali…

Si intreccia ai miei saggi sull’alimentazione e sull’intestino, quando dice:

Se i fagociti e il tessuto connettivo si comportano così male, ciò dipende dal fatto che resistono meglio, nella loro semplicità barbara, alle tossine che provengono principalmente dall’intestino crasso. Sono le fermentazioni intestinali che, alla lunga, intossicano il corpo umano, si comprende quindi il disprezzo che Mecnikov provava per quest’organo che avrebbe voluto sopprimere.

(OK, ma questo Mechnikov confondeva la conseguenza, l’intestino otturato, con la causa, l’otturazione data dall’alimentazione scorretta)

Fortissima l’osservazione che l’uomo, fatto di cellule potenzialmente immortali, è mortale. Dove sta l’intoppo? La morte, allora, è naturale o innaturale?



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