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"L'uomo nell'ombra"

Creato il 09 maggio 2010 da Pickpocket83
    Durante tutta la durata di “The Ghost Writer” sembra di udire, come tappeto sonoro di sottofondo, l’implacabile ticchettio dei tasti di una macchina da scrivere: è quella del suo autore “accreditato”, il fantasma apolide di un grandissimo cineasta. La forza dell’ultimo film di Polanski risiede per intero nelle virtù di una sceneggiatura concepita e strutturata in modo perfetto. Serrata, fluida, appassionante, politica nel profondo perché (dettaglio non da poco) derivata da un best-seller di tale Robert Harris, guarda caso vero ex ghost writer di un certo Tony Blair. Dietro questo Uomo nell’ombra aleggia certamente molto del vissuto (cinematografico e non) di un regista negli ultimi tempi fin troppo chiacchierato sulle pagine dei rotocalchi. Ma nel film c’è anche tutta l’abilità, pezzo forte di Polanski, nella costruzione di storie da cui è impossibile distaccare sguardo e attenzione, dotate di un loro magnetico fascino intrinseco. Sorpassato l’anarchismo programmatico che sembrava dominare nelle sue prime opere, a sostenere il gioco di pathos e tensione in questo film è un impianto narrativo rigorosissimo, parabolico, netto, scheletrizzato nella sua essenza di progressione drammaturgica. Il cul de sac in cui Polanski relega il suo scrittore fantasma, l’isola (luogo polanskiano) che custodisce i segreti di un ex Primo Ministro inglese, procede quasi in parallelo con la Shutter Island scorsesiana, un’altra recente isola dell’arcipelago cinematografico di questo 2010, ma non ne riproduce la stessa enfasi stilistica. I binari su cui corrono gli ultimi due film di due tra i grandi maestri del cinema viventi sembrano sovrapporsi/confondersi in più punti, dall’arrivo su un’isola (la stessa?) a bordo di un traghetto fino alle sequenze finali, dopo il disvelamento di verità troppo pericolose, con le analoghe, definitive uscite fuori campo di protagonisti senza nome/dal doppio nome. La mano di Roman Polanski però sottrae ogni possibile orpello di manipolazione cronologica e concentra, laddove Scorsese avvolgeva e riavvolgeva il nastro, confondendo e mischiando le carte. Singolare, comunque, che due registi così importanti e così grandi abbiano scelto come set per il loro ultimo film un’isola, luogo per eccellenza lontano, separato, distante. Quasi a marcare una volontà, o una non più prorogabile scelta di campo: da perfetti good soldiers of Cinema, per dirla con il vocabolario visionario di Werner Herzog, Scorsese e Polanski hanno deciso dove scavare la loro trincea.   [****]

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