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La chiave è imperfetta: Will Hunting

Creato il 13 agosto 2014 da Nicola933
di Cinzia Carotti La chiave è imperfetta: Will Hunting - 13 agosto 2014

Titolo originale: Good Will Hunting
Regia:  Gus Van Sant
Cast: Robin Williams, Matt Damon, Minnie Driver, Ben Affleck, Stellan Skarsgård
Genere: Drammatico
1997
126min

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Di Cinzia Carotti. Will Hunting (Matt Damon), un problematico ragazzo prodigio e autodidatta con molti piccoli crimini alle spalle, in compagnia di Chuckie Sullivan (Ben Affleck) ormai l’unica famiglia del ragazzo,  che fa le pulizie al Massachusetts Institute of Technology (MIT) per mantenere un piccolo appartamento in periferia. Vinto da attacchi d’ira e rivendicazione sociale Will sa di possedere un genio straordinario per la matematica e un giorno decide di risolvere un teorema difficilissimo sbalordendo l’insegnante di matematica, Lambeau (Stellan Skarsgård),  che si scontrerà però con un ragazzo ostile e determinato nello sviare le proprie responsabilità e che preferisce il degrado piuttosto che un compromesso con la sua natura difficile. Nel frattempo Will conosce Skylar (Minnie Driver), una ragazza studente ad Harvard, ma viene arrestato per una rissa di strada.

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Lambeau lo va a trovare e gli dice che gli può procurare la libertà a patto che frequenti lezioni di matematica e si veda settimanalmente con uno psicologo. Dopo aver preso in giro e messo in fuga molti psicologi, Will incontra il dottor Sean McGuire (Robin Williams), con cui, dopo un inizio titubante, instaura un bel rapporto, e che gli starà vicino nei momenti difficili. McGuire viene dal suo stesso ambiente, anche lui ha subito abusi dal padre e il cancro gli ha ucciso la moglie. Will dovrà imparare ad affrontare e superare la paura dell’abbandono per amare e fidarsi delle persone che lo amano e si preoccupano per lui seriamente.

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Nell’anno di Titanic, questo piccolo grande film (a metà strada tra il cinema indipendente e il mainstream hollywoodiano), porterà a casa gli Oscar per la miglior sceneggiatura originale e l’oscar al migliore attore non protagonista. Gus Van Sant si è affidato a Matt Damon e Ben Affleck per dare vita a una sceneggiatura sofferta, sincera e narrativamente corposa. Ma ancora di più il film si regge su un ispiratissimo Robin Williams in uno dei suoi ruoli più umani e profondi con cui vinse l’Oscar come migliore attore non protagonista. E’ un film che insegna a non bruciare, a non bruciarsi nelle avversità della vita e lo fa con estrema sincerità senza alcuna pretesa di insegnamenti o moralismi. Se la mente non è un vaso da riempire ma legna da ardere, come scriveva lo storico Plutarco, la mente di Will si sta consumando in un viaggio a vuoto. Ruota su se stessa, non ha sbocchi e finisce per punirsi in una frustrazione senza nome. Will è un genio dotato di un talento puro che gli permette di avere una dimestichezza incredibile con complicatissime formule matematiche ed una memoria prodigiosa, tant’è che istruirsi per lui è un gioco, una crudele e impacciata perdita di tempo.

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Gus Van Sant dedica sempre una profonda attenzione alla critica della cultura accademica, ma non lo fa gratuitamente. La cultura è una struttura, un mezzo che alcuni utilizzano (talvolta anche male) ma niente di più. Spogliato di ogni vena romantica, il sapere resta inerme, inutile davanti alla perfezione del lume naturale che dispone casualmente genio e sregolatezza nel cuore e nella mente di Will. Per mostrare un processo di grande compromesso fra cultura e vita Gus Van Sant scomoda un ponte universale, e come tale ad alto rischio di perbenismo, ovvero l’amore e la fiducia nel prossimo. La cultura, come sottolinea Sean, è l’unico mezzo a disposizione per amare il prossimo, scendere a patti con la vita, con la natura e il proprio ego. La nemesi del puro genio di Will, perso nell’iperuranio delle idee, è Sean appunto; uno zio a cui tutti noi ci rivolgiamo non solo per consigli saggi ma per capire la vita e rubargli qualche trucco segreto.

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Psicologo, ma prima di tutto un uomo vinto dalla propria esperienza tragica di vita, Sean è una creatura anch’essa geniale nella sua empatia e messa all’angolo dalla sorte senza alcuna intenzione di reagire. Si dipinge così una storia sul bisogno di paternità e di trasmissione: il ragazzo riottoso che rifiuta ogni tipo di aiuto è stato deluso dalle persone che avrebbero dovuto volergli più bene (i genitori, che prima di lasciarlo orfano ne hanno tormentato l’infanzia); lo psicologo schivo e nascosto dal mondo, invece, ha visto interrompersi la storia della sua famiglia (portando negli occhi e sulle spalle tutta la tristezza per la perdita di sua moglie, stroncata da un tumore). Il personaggio di Sean viene introdotto proprio mentre spiega ai suoi studenti di psicologia il concetto di fiducia è questo sarà il centro fondamentale del film. Non esiste rapporto, di qualunque natura esso sia, senza fiducia che non significa passività ma sincera collaborazione e sostegno. Dopo essersi studiati, provocati e affrontati, Will e Sean si riconoscono, imparano a fidarsi l’uno dell’altro.

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La libertà delle nostre scelte dipende anche da quanto siamo disposti a conoscere la realtà, a farci illuminare da essa, a scrutare (e a farci scrutare) nel profondo del nostro animo. Come diceva la scrittrice Flannery O’Connor “non disdegnate di sporcarvi le mani con la vita se volete fare arte, la vita è polvere, anche l’arte deve essere fatta della stessa sostanza”, Will imparerà la bellezza dell’imperfezione, dell’incarnarsi delle idee e delle formule che tanto venerava in corpi imperfetti mossi da passioni, vizi e miserie e grandiosità. Il timore di Will di minare qualcosa che gli appariva perfetto (come il suo rapporto con Skylar) risulterà essere pura fobia e fuga in cui l’unica cura è godere dell’imperfezione stessa da cui filtra tutta la profondità della vita, la crepa senza la quale non passerebbe alcuna luce se non quella fredda e lontanissima dell’astrazione.

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Sean conquista l’amicizia di Will grazie alla confessione dei lati più bui della sua esperienza che lo porteranno a formulare il celebre e sofferto monologo sul rapporto di coppia con una calma estrema di chi possiede la certezza dell’amore. Da quella famosissima panchina il film cambia registro, la società è sullo sfondo, il dolore di Will per la sua condizione sociale resta solo accennato. Il film si concentrerà sul processo di Will nel perdonare il suo passato, ma soprattutto perdonarsi per lasciare spazio a un finale esaltante, emozionante e liberatorio.

La regia è precisa, mai raggelata e molto didascalica, un giovane Gus Van Sant che dava molto spazio al concetto stesso di regia, trama, intreccio e sceneggiatura.

★★★★


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