Magazine Società

La Cina teme la primavera araba: effetto domino?

Creato il 11 luglio 2011 da Madyur

Nel resto del mondo tutto è cominciato con Mohamed Bouazizi , che si è dato fuoco nella piazza tunisina per protestare contro le vessazioni della polizia. La sua morte il 4 gennaio del 2011 è stata la scintilla per far scoppiare la primavera araba che ha travolto Ben Ali dopo 23 anni al potere.Il precedente non è sfuggito in Cina , il 10 giugno, una venditrice ambulante , incinta, è stata brutalizzata dalla polizia di Zengcheng e le proteste in sua difesa hanno messo a soqquadro la città per interi giorni. Nonostante l’intervento della polizia antisommossa.

xt3

La mobilitazione di massa ha spaventato Pechino , alla notizia della morte della donna , centinaia di persone sono scese in piazza , hanno incendiato automobili , hanno tentato ripetuti assalti contro gli edifici governativi , i palazzi-simbolo del governo centrale. Quella rivolta , sedata difficilmente, ha avuto una risonanza mondiale : perché Zengcheng , vicino alla ricca Guangzhou , è la capitale del jeans. Quella città è un polo del made in China del tessile-abbigliamento. Il governo ha imposto il coprifuoco per far tornare alla normalità la città.

Quella scintilla, come Bouazizi, ha scatenato timore ai funzionari cinesi. Certo la Cina non è né l’Egitto né la Tunisia: la vita della popolazione è migliorata negli ultimi 10 anni, la disoccupazione giovanile è più bassa di quella nordamericana e quella europea,mentre nel mondo arabo è doppia di quella dell’Occidente.

Pechino si è subito mobilitata. Ha emesso la censura internet , già da febbraio, per non far arrivare le notizie degli eventi della primavera araba. A marzo , il nervosismo delle autorità hanno avuto un effetto tragicomico.I dissidenti di Pechino , pochi e isolati, avevano lanciato la parola d’ordine della “rivoluzione del gelsomino” , proponendo a chi volesse manifestare la propria protesta di andare a passeggio a Xidan e sulla Wangfujing. Una provocazione divertente e astuta: Xidan e Wangfujing sono le zone commerciali più frequentate della capitale , i dissidenti hanno provato così ad arruolare automaticamente, come contestatori , le migliaia di consumatori che vanno a fare shopping. I poliziotti hanno moltiplicato la farsa , dispiegando migliaia di poliziotti a guardia delle due aree commerciali.

Da allora il clima non si è placato. E vari incidenti sono avvenuti, con la rabbia dei dirigenti cinesi. A metà maggio è stata la rivolta della minoranza etnica mongola : le proteste sono divampate nella Mongolia interna dopo che un pastore era stato ucciso da un camionista han. Gli han sono il ceppo maggioritario in Cina, e sono diventati maggioranza anche in Tibet , Xinjiang e Mongolia : tutte aree, una volta, indipendenti. All’inizio di giugno una protesta di massa ha avuto per protagonista i contadini di Lichuan , nella provincia centrale di Hubei , dopo che un coraggioso deputato locale in lotta contro la corruzione è stato assassinato. All’origine della protesta di Lichuan c’è una piaga diffusa nelle campagne: i politici locali intascano tangenti dalle imprese che vogliono costruire fabbriche sui terreni agricoli , espropriano i contadini a prezzi infimi , li riducono in miseria e li costringono così a emigrare nella città in cerca di lavoro.

Un’altra ribellione è scoppiata a Yangxunqiao , teatro di un disastro ambientale . I scontri sono avvenuti perché la polizia ha fermato un gruppo di abitanti vhe volevano partire per Pechino , per consegnare petizioni di protesta. Le tragedie ambientali figurano più spesso come oggetto di rivolta : solo per quel che riguarda il piombo , almeno 9 province cinesi registrano livelli di contaminazione estremi , e un rapporto di Human Rights Watch ha rivelato che il governo sta riducendo gli esami clinici sulle popolazioni colpite , nel tentativo di nascondere l’enormità dei danni alla salute.

Poi ci sono le violenze isolate, sempre più frequenti. A Fuzhou un uomo di 52 anni si è fatta saltare in aria , come un kamikaze, contro un edificio governativo per denunciare la demolizione abusiva. A Tianjin, vicino a Pechino, un altro attentato suicida. Pechino registra ben 180 mila protesta collettive, il doppio si cinque anni fa. Molte di queste rivolte sono arrivate dagli immigrati interni, persone che scappano dalle campagne per andare a lavorare in città. Per frenare l’esodo biblico , che procede al ritmo di dieci milioni di partenze all’anno, Pechino ha mantenuto in vita il sistema dello hukou , il permesso di residenza. E’ una regola maoista , in cui la mobilità geografica e sociale era rigidamente controllata dall’alto. Ottenere lo hukou per andare a Pechino o Shangai è difficile. Molti cinesi non ce l’hanno, così vivono come clandestini in patria.

Si calcola che siano più di 150 milioni , questi immigrati illegali. Sono cittadini di serie b : senza hukou non hanno diritto all’istruzione statale gratuita per i figli , né all’assistenza sanitaria pubblica. I loro datori di lavoro ne approfittano, pagandoli sotto il salario minimo legale , estorcendo straordinari non pagati o lesinando la ferie. A Zhengcheng la protesta è iniziata da loro. Un terzo degli abitanti di questa città sono immigrati. Negli ultimi decenni queste persone sono una polveriera di rancori e rivendicazioni. Accalcata in quartieri-dormitorio , a ridosso dei cantieri stradali o edili.

Il carovita torna ad essere in cima alle preoccupazioni del governo , che sta cercando di trovare le leve giuste per disinnescare il malcontento: dagli aumenti salariali alla stretta creditizia. Ma i margini di manovra per rispondere alle aspettative crescenti dell’altra Cina , alla grande questione sociale posta dagli immigrati dalle campagne, non sono illimitati neanche per la nazione, con i conti più floridi del pianeta.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :