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La compagna di classe

Creato il 01 marzo 2012 da Fabry2010

Pubblicato da lapoesiaelospirito su marzo 1, 2012

La compagna di classe

di Andrea Leone

«La nuova studentessa è bellissima e proviene da una delle più antiche famiglie aristocratiche della nostra regione. La nuova studentessa è ricchissima. La famiglia della nuova studentessa possiede tre castelli nella regione tedesca di Wuttenberg, e molti palazzi e terreni in Toscana. Sembra che la sua famiglia sia imparentata con la famiglia Hohenzollern, una delle più note famiglie tedesche. La nuova studentessa viene da un istituto per allievi superdotati e già nelle prime settimane nella nostra scuola ha dimostrato tutta la sua genialità, avendo messo in imbarazzo con le sue domande molti dei nostri professori. I nostri professori l’hanno odiata subito. Sarah Davanzati è stata subito presa di mira dai nostri professori, in particolare dalla professoressa Cima, la nostra insegnante di matematica. Quando interroga la nuova compagna, la professoressa Cima sbatte le palpebre nervosamente, cerca di trovare le domande più complicate, di cui forse nemmeno lei capisce il significato, e tamburella nervosamente con le dita sulla cattedra, attendendo spasmodicamente un errore da parte della sua allieva. La nuova allieva guarda la professoressa con uno sguardo duro, fiero, sprezzante. Anche io l’ho odiata sin dal primo istante. Ogni giorno Sarah Davanzati si presenta davanti a me, ogni giorno io condivido per cinque ore il suo stesso spazio vitale. Io, Martina Rossini, sono invidiosa della sua bellezza. Dal mio banco in quarta fila osservo la nuova allieva, Sarah Davanzati. Il corpo di Sarah Davanzati è perfetto. Così come è perfetto il suo volto. La sua pelle è immacolata. I suoi lineamenti sono lineamenti quasi angelici. Io sono brutta, irrimediabilmente brutta, il mio corpo non è mio. Il mio volto è un volto comune, i miei lineamenti sono grossolani. Il mio corpo non possiede alcuna grazia. Il mio corpo non ha mai interessato per un solo istante nessun esponente del congresso maschile. A partire da un certo giorno non ho più osato guardarmi allo specchio. Il volto della nostra nuova compagna di classe è talmente affascinante che la gente si ferma per strada guardandola, come intontita, elettrizzata. Il suo volto è la cosa più inaspettata che mi potesse accadere. Il suo volto dalla bellezza incomprensibile è il massimo pericolo che mi potesse accadere. Dal suo arrivo tutti sono come impazziti per lei. Lei viene osservata per ore. Per strada. Fuori dalla scuola. Nell’atrio. Nella nostra classe, durante le lezioni, prima e dopo le lezioni. Confido al mio diario il mio odio per lei. Lei mi provoca una collera cosmica. Lei mi provoca attacchi epilettici della vergogna. E’ l’ora di matematica. Una sonnolenta ora di matematica. La guardo, davanti a me. Troppo bella. Un eccesso di bellezza. Uno spavento. La mia testa non riesce a calcolare una misura simile. La testa delle sue compagne di classe è folle di invidia. La testa dei suoi professori, quasi tutti provenienti da classi sociali basse o bassissime, è ugualmente folle di invidia. Non fossi mai nata con questo volto. Non fossi mai nata in questo corpo. In questo corpo miserrimo, che confrontato con il corpo di Sarah Davanzati è solo una povera maceria, una povera maceria che non ha mai visto la luce del sole, né mai probabilmente la vedrà. Non fossi mai nata. Non fossi mai nata con questo nome. Non fossi mai nata con questi occhi, con questa bocca, con questa fronte. Non fossi mai nata con questo corpo deforme. Non fossi mai nata con questo corpo già vecchio, già prosciugato ora che è primavera, ora che sono nel fiore della mia giovinezza. Non fossi mai nata! Da quando ho visto Sarah Davanzati io non sono più io. Da quando ho conosciuto Sarah Davanzati sono distrutta. Lei è semplicemente geniale. Suona il pianoforte. Conosce l’intera storia della musica a memoria. Sarah Davanzati è un Dio bellissimo. Io non sono niente in confronto a lei. Lei è tutto e io non sono nulla. Io sto fallendo miseramente tutti i miei tentativi di parlarle. Sto fallendo tutti i miei tentativi di corteggiamento. Lei non mi rivolge neppure la parola. Oppure, se mi parla, se mi concede per qualche secondo la sua attenzione, le sue parole sono soltanto parole di sarcasmo e disprezzo. Ora la guardo, prima dell’inizio delle lezioni. Vorrei parlare ma non mi esce niente. Pochi giorni fa le ho mandato una lettera. Ho inviato una lettera a Sarah Davanzati, all’indirizzo della sua casa di città. Viva la tua immortale bellezza. Così ho scritto. Queste erano le parole conclusive della mia lettera. Inutile dire che la mia lettera non ha ancora ricevuto risposta. La mia lettera, questo è certo, una risposta da Sarah Davanzati non la riceverà mai. Non sono dunque neppure degna di una risposta. Non sono dunque neppure degna di essere vista. Che orrore. Che insulto assoluto. Sono presa da un segreto attacco epilettico alla vista della mia compagna di scuola. Una irrimediabile malinconia, una gravissima malattia dell’anima mi porta in un vicolo cieco, il vicolo cieco della disperazione.» La nuova compagna di corso era talmente bella da risultare inguardabile. Martina Rossini si era mortalmente ammalata di lei, sin dai loro primi incontri. Era rimasta folgorata dalla presenza della sua compagna. La nuova studentessa era talmente bella che altri l’avevano definita come inguardabile. Molti avevano definito quella bellezza come una bellezza letteralmente insopportabile. La bellezza è geniale, è la massima spietatezza. La bellezza è una condanna. Molti avevano definito la testa della nuova studentessa come il massimo capolavoro conosciuto così come avevano definito il volto e l’aspetto fisico della nuova studentessa il massimo capolavoro conosciuto. La testa della nuova studentessa era il capolavoro assoluto nello stesso modo in cui il suo volto era il capolavoro assoluto, la prima cosa era la logica conseguenza della seconda, lei era un capolavoro assoluto. La maggior parte degli esseri umani ci deprimeva, intristiva e uccideva, dopo avere trascorso qualche ora con la maggior parte degli esseri umani ci sentivamo dissanguati e poveri, poveri e dissanguati e squallidi come loro, e dovevamo rivolgerci all’arte e ai capolavori dell’arte per rifornirci di sangue vivo. Sarah Davanzati invece provocava sempre e soltanto il massimo entusiasmo. Era lei stessa un’opera d’arte. La bellezza della compagna era talmente straordinaria da potere essere definita come geniale, così come la sua testa era una testa talmente forte da avere consumato l’intero programma di studi in un decimo del tempo necessario. Quella scuola la testa della compagna l’aveva consumata in pochissimo tempo, il contenuto di pensieri di quella scuola la testa della compagna l’aveva consumato ed estinto in brevissimo tempo, poco più di sei mesi, la testa aveva demolito e prosciugato e azzerato ogni contenuto di quella scuola, di quegli insegnanti, di quelle classi e di quei compagni, così che ora di quella scuola, di quegli insegnanti, di quelle classi e di quei compagni restava soltanto il vuoto, un vuoto totalmente spettrale. Attacchi di ansia provocati da una simile “inguardabile perfezione”. Martina Rossini non tollerava il tono di scherno della sua compagna, quel suo sarcasmo, quella sua gelida indifferenza. Aveva scritto una lettera in cui dichiarava il suo amore, ma la sua compagna l’aveva rifiutata irrevocabilmente, e continuava a farlo. La compagna di scuola era l’irraggiungibile perfezione che attraeva morbosamente e perdutamente un essere del tutto fallimentare, un essere che aveva fallito tutto quanto avevano fino ad allora intrapreso. La sua esistenza, già disturbata e pericolante, aveva ormai ricevuto il colpo di grazia dall’incontro con la nuova studentessa. Era arrivata a seguirla per strada, non intendeva perdersi neppure un gesto. Aveva formulato la sua folle richiesta, prima che fosse troppo tardi, in una lettera in cui si dichiarava, ma l’esito era stato negativo, e ormai non aveva più alcuna speranza. Verificava la catastrofe, la più grande catastrofe pensabile. Sarah Davanzati rifiutava i suoi corteggiamenti. Sarah Davanzati rifiutava i suoi tentativi di approccio. Non ne voleva sapere di lei. La bellezza di Sarah Davanzati si stava rivelando irraggiungibile. Il corpo perfetto di Sarah Davanzati si stava rivelando impossibile. Poiché era impossibile avere lei, la vita, la sua follia le aveva suggerito di avere almeno la morte. Quel rifiuto aveva provocato una insopprimibile volontà di suicidio. Totalmente annientata dalla bellezza della sua compagna di corsi, folgorata dalla sua prodigiosa bellezza e annientata da quella testa totalmente originale. La volontà di suicidio era giunta ormai allo stadio estremo e avrebbe potuto realizzarsi da un giorno all’altro, anzi da un’ora all’altra. Aveva vissuto nel massimo fallimento per la maggior parte della sua breve esistenza; i suoi anni erano stati prevalentemente anni di malattia psichica e di malattia fisica. Il suo nero, incancellabile fallimento. La sconfitta della vita. Aveva trascorso gli ultimi anni in una condizione di insensatezza e nella certezza di avere oltrepassato la soglia. Voleva andarsene, voleva partire, finalmente libera: una nuova mattina. Non era più riuscita ad andare avanti di un passo, relitto insignificante di quel dio che era stata. Epigono di sé stessa, aveva deciso di chiudere il calcolo algebrico della sua esistenza. «Arriverei ad elemosinare una notte d’amore con lei. Sono totalmente posseduta e ossessionata da lei, che con la sua assurda bellezza e con la sua testa dalle dimensioni superiori a quelle del mondo mi ha quasi ridotto ad uno stato di follia. I miei cervelli mediocri sono rimasti schiacciati dalla sua grandezza, dai suoi clamorosi successi negli studi e dalla sua bellezza, e la chiamo intoccabile.» Vorrebbe essere sepolta insieme alla coetanea, nella stessa tomba, ma sopra non dovrebbe esserci scritto il suo nome. Nella cripta secolare che la famiglia Davanzati possiede sul lago e nella stessa tomba insieme alla ragazza. Con il nome Davanzati sopra. Sarah Davanzati. Come la copertina di un libro di cui fosse l’autrice. L’ultimo messaggio al mondo. L’ultima maschera per gli spettatori. L’ultimo documento per gli altri. La soluzione. Sarà il giorno più importante della sua vita. Se riesumassero quel corpo si accorgerebbero che non si tratta di Sarah Davanzati, e si chiederebbero: a chi appartengono questi resti? Di chi sono stati questi resti? Ma in nessun modo riuscirebbero a risalire alla verità. Non riuscirebbero in nessun modo a risalire alla sua antica vita, nessuno riuscirà mai più a farlo, dopo che lei ne ha avuto orrore per sempre. Tutto dimenticato insieme alla sua coetanea della fine, coinquilina della catastrofe, coetanea del nulla, coetanea della catastrofe. Che niente di tutto questo sia mai accaduto. Sprofondare nelle acque nere e morte. Non era mai nata, non era mai nato nessuno chiamato Martina Rossini, una bambina di nome Martina Rossini non era mai esistita, non c’era mai stata una adolescente chiamata Martina Rossini, di una bambina e di una adolescente chiamata Martina Rossini lei non aveva alcun ricordo. Gli anni non la riguardavano più, quella bambina e quell’adolescente non la riguardava più, vedeva soltanto un cadavere sfigurato, un corpi i cui lineamenti erano stati divorati dall’animale di un orrore profondo. Il certificato della sua nascita, un vecchio documento comunale, sepolto sotto le macerie, distrutto dal fuoco. I caratteri del suo nome si incendiano. Quel documento nessuno lo avrebbe trovato mai più. Accanto al suo nome, scritta in carattere inintelligibili, c’era scritta la sua sentenza di morte. Ora nessuno l’avrebbe mai vista da nessun una parte, in nessuna città, in nessuna stanza, in nessun luogo. Brucia tutte le sue fotografie. Non intende più ricordare. Nessuno la ricorderà. Nessuno ricorderà mai più di averla vista.

[Immagine da un’opera di Francesca Woodman)


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