Magazine Politica

La crisi di Crimea: la Cina tra la Russia e l’Occidente

Creato il 25 aprile 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La crisi di Crimea: la Cina tra la Russia e l’Occidente

Fin dallo scorso novembre, quando a Kiev sono iniziate le proteste in Piazza dell’Indipendenza (Maidan Nezalezhnosti) contro il Presidente Janukovyč, la questione ucraina ha progressivamente attratto l’attenzione delle principali potenze mondiali, evidenziando una netta contrapposizione tra due poli: da un lato l’Occidente, in particolare l’Unione Europea e gli Stati Uniti, dall’altro la Russia. Tuttavia, poco o nulla si è detto a proposito della posizione diplomatica della Cina, potenza globale emergente per eccellenza, partner economico oramai imprescindibile per l’Occidente e tradizionale alleato politico e militare della Russia.

Dopo il 1991, con il superamento dell’esperienza sovietica, Cina e Russia hanno via via intrapreso un percorso diplomatico con molti punti in comune, ergendo a baluardo della loro politica l’incondizionata tutela dell’integrità territoriale degli Stati. Con particolare riguardo agli anni 2000, tale principio è andato di pari passo all’affermazione della dottrina della non ingerenza negli affari interni degli altri Stati. Non a caso, in seno alle Nazioni Unite, Cina e Russia si sono più volte spese a difesa di Paesi dove le pressioni e il coinvolgimento occidentali si facevano insistenti, come il Sudan1 e più recentemente la Siria2.

A livello ufficiale, agli albori della crisi crimeana, il Governo cinese, tramite l’agenzia di stampa di stato, Xinhua, sembrava orientarsi verso un appoggio, seppur di basso profilo, alle istanze russe, invitando l’Occidente ad abbandonare le anacronistiche velleità di Guerra Fredda e affrontare la questione “con” e non “contro” la Russia. A dare peso all’argomentazione, la stessa fonte di stampa teneva a sottolineare come, in virtù della sua influenza storica e culturale nel Paese, il diritto di Mosca a tutelare le comunità russofone in Crimea fosse “comprensibile”3. Nelle settimane precedenti al referendum, tuttavia, Pechino ha ricalibrato il suo punto di vista, sostenendo, insieme agli Stati Uniti, che ogni soluzione alla crisi dovrà rispettare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina4.

Alla luce di quanto detto, la Cina sembra oggi attestarsi su una posizione piuttosto ambigua e transitoria riguardo alla crisi crimeana, da un lato sostenendo l’importanza dei principi fondamentali del diritto e della diplomazia internazionali, dall’altro “tenendo in considerazione i fattori storici e contemporanei della questione ucraina”5. Tradotto nei fatti, Pechino si è limitata ad esortare le parti a riprendere la strada del dialogo e riportare la contesa nel campo diplomatico, e proprio in questo senso sarebbe da leggere l’astensione del 15 marzo scorso nel voto sulla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza che mirava a dichiarare l’illegittimità del referendum in Crimea. Dietro quella che potrebbe apparire una mera implementazione del principio di non ingerenza negli affari di altri Stati, sembra dunque celarsi un gioco diplomatico molto più articolato, che vede Pechino districarsi tra Occidente e Russia senza voler e poter rinunciare al mantenimento di buoni rapporti con ambedue i contendenti.

Partendo dall’analisi dei rapporti con Mosca, il Presidente Xi Jinping è consapevole che le tensioni in Crimea non fanno che spingere Putin nelle braccia di Pechino e aprono la strada a un sempre più consistente riavvicinamento politico ed economico tra Russia e Cina, oramai isolate nei rispettivi scacchieri diplomatici regionali6. Tale prospettiva non sembra affatto infondata, dal momento che la nuova leadership cinese ha in passato espresso apprezzamento per la politica di Putin e il primo viaggio ufficiale di Xi Jinping è stato proprio a Mosca7. A dimostrazione di ciò, lo scorso ottobre i due Paesi hanno firmato una serie di accordi energetici, che prevedono tra l’altro la fornitura di gas russo alla Cina per una cifra di 85 miliardi di dollari8.

In secondo luogo, da un punto di vista strettamente geostrategico, una diplomazia statunitense impegnata a pieno regime sul fronte ucraino non dispiacerebbe affatto ai cinesi, desiderosi di allentare la pressione politica e militare americana in Asia orientale. Da un lato, Pechino ne beneficerebbe direttamente, potendosi ritagliare uno spazio di manovra più ampio nelle contese marittime, dall’altro un minore impegno dell’amministrazione Obama nella regione, distratta dalle crisi in Crimea e in Siria, andrebbe a ridimensionare i propositi di rebalancing politico, diplomatico e militare verso l’area Asia-Pacifico enunciati dal Presidente americano in Australia nel novembre 2011. Come conseguenza, alla luce dell’inconsistenza delle garanzie americane, gli alleati di Washington nella regione, quali la stessa Australia, il Giappone, la Corea del Sud e i Paesi dell’ASEAN9 potrebbero rivedere la loro intransigenza verso Pechino.

Da ultimo, l’acquiescenza cinese verso il colpo di mano di Putin in Crimea si potrebbe interpretare come un importante banco di prova per la credibilità della stessa risolutezza occidentale nel difendere lo status quo. In altri termini, a Pechino ci si potrebbe domandare: se Putin ha svelato il bluff americano ed europeo e si è preso la Crimea, chi potrà fermarci sulle isole Diaoyu o sulle Spratly?

Elencate le ragioni politiche e strategiche per cui la Cina appoggerebbe cautamente le manovre di Putin in Crimea, restano ora da analizzare i fattori che spingono Pechino a mantenere, invece, una posizione neutrale e distaccata nella contesa tra Mosca e l’Occidente. In questa prospettiva, la diplomazia statunitense preme affinché prevalga a Pechino la tradizionale politica del non intervento, soprattutto alla luce dell’impatto che gli eventi crimeani potrebbero avere nel complicato quadro della sicurezza interna cinese10. Non sorprende, infatti, che il referendum del 16 marzo in Crimea sia stato accolto con freddezza dagli ambienti governativi cinesi, consapevoli che un riconoscimento ufficiale delle istanze secessioniste avrebbe irrimediabilmente infiammato le già nutrite aspirazioni indipendentiste in Tibet, nello Xīnjiāng e nella Mongolia Interna. Pertanto, se è vero che la Cina non si oppone all’annessione russa, al tempo stesso la dimensione secessionista della crisi in atto in Ucraina va a toccare un nervo storicamente scoperto nella politica cinese e costringe Pechino a mantenersi vicina all’Occidente nel ribadire il rispetto del diritto internazionale e, più nello specifico, dell’integrità territoriale degli Stati.

Inoltre, sarebbe plausibile ritenere che la Cina possa scorgere nel blitz russo in Crimea un’indiretta minaccia alla sua grand strategy di espansione dell’influenza politica ed economica verso l’Asia Centrale, ribattezzata “March West11. Negli ultimi cinque anni, la presenza cinese in Asia centrale è cresciuta vertiginosamente, come dimostrato dalla conclusione di importanti accordi tra Cina e Kazakistan per un valore attorno ai 30 miliardi di dollari12. In questo progetto egemonico sembra credibile che la Cina individui proprio nel dinamismo di Putin una potenziale insidia a lungo termine.

In terzo luogo, è verosimile che il protrarsi della crisi ucraina e la possibilità dell’implementazione di nuove sanzioni e contro-sanzioni tra Occidente e Russia possano minare le già fragili fondamenta dell’economia globale, peraltro in una fase storica in cui la stessa Cina è alle prese con un rallentamento della crescita. È dunque un interesse primario di Pechino mantenere buoni rapporti con le cancellerie occidentali e tale sembra essere il proposito principale del tour europeo di Xi Jinping che, accompagnato da una delegazione di 200 uomini d’affari, sarà impegnato dal 22 marzo al 1 aprile in una serie di visite ufficiali tra Olanda, Francia, Germania e Belgio13.

Tirando le somme, la cauta posizione di neutralità cinese davanti alla crisi in atto in Crimea appare essere il naturale riflesso di una situazione in cui l’establishment di Pechino si trova a giocare due partite parallele con Mosca e con l’Occidente. Le solide radici dell’alleanza con la Russia e la comune visione geostrategica antagonistica rispetto all’egemonia statunitense sono alla base del benevolo assenso cinese all’operazione militare russa. Al tempo stesso, la Cina non può e non intende sacrificare la fruttuosa cooperazione economica con l’Occidente, basti pensare che nel solo 2013 il valore dell’interscambio commerciale tra Cina e Stati Uniti ha superato i 660 miliardi di dollari14. Inoltre, il crescente malcontento delle realtà indipendentiste interne al Paese stesso rischierebbe di acuirsi qualora Pechino si schierasse apertamente in favore del secessionismo filo-russo in Crimea. Pertanto, se al momento non sembrano esserci ragioni per cui la Cina dovrebbe abbandonare la sua sapiente equidistanza, sembra plausibile ritenere che ulteriori manovre militari russe all’interno del territorio ucraino, soprattutto nelle aree sensibili di Donetsk, Odessa e Kharkhiv, rischierebbero di alterare gli equilibri e raffreddare il legame Pechino-Mosca, aprendo nuovi scenari diplomatici in cui la Cina si troverebbe costretta a mostrare le carte.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :