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La cultura secondo Nichi Vendola

Creato il 21 ottobre 2012 da Mdileo @atmospherelibri

La cultura secondo Nichi VendolaLa fabbrica della creatività

Ascoltando Go-Do di Jonsi, 2010

Leggendo Massa e potere di Elias Canetti, Adelphi, 1981

 Vedendo Nashville di Robert Altman, 1975

 “La gente non mangia cultura.

Giulio Tremonti

8.10.2010

Nel Paese che spende assai meno dell’1% del proprio budget in cultura, abbiamo dovuto sopportare anche le battute odiose del tremontismo coatto. Sedici anni d’ignoranza pervasa dall’idea che artisti e produttori di cultura siano dei parassiti scansafatiche, inetti al lavoro vero. E che il dibattito politico possa farsi a suon di tabelline e diti medi.

Un ciclo che sta chiudendosi con il più drammatico taglio al Fondo Unico dello Spettacolo della storia e con la totale assenza di idee per il rilancio di patrimonio artistico e attività culturali. Il crollo di una delle gallerie di Pompei ne è la metafora più atroce.

L’investimento pubblico in cultura e necessario perché il mercato non investe dove non ci sono margini immediati. Lo dobbiamo a noi stessi e alle generazioni che verranno. Investire in cultura, tanto più nei momenti di crisi economica, salva il Paese dallo sfarinamento morale e dalla deriva economica, perché cultura significa innovazione e creatività. Innovare significa allargare la base produttiva, creando ricchezza da redistribuire.

La destra italiana non capisce questo processo.

Perché non ha compreso che tutto sta cambiando nel mondo.

Avere vent’anni oggi, infatti, non significa solo essere certi che flessibilità e precarietà siano sinonimi. Significa anche raggiungere mete e persone lontane con voli a basso costo, avere libero accesso a fonti di in/formazione multiple e plurali, conoscere cose che, gli esseri umani cresciuti anche solo cinquanta anni fa, non potevano nemmeno immaginare possibili. È un mondo nuovo, innervato di conoscenza e di competenze diffuse, liberamente accessibili e condivisibili.

A patto che, per chiunque, sia consentito studiare, approfondire, conoscere e avere accesso alle nuove tecnologie della comunicazione orizzontale, basate sul web. A patto, cioè, che il tasso d’ingiustizia del futuro, non si misuri tra chi sa usare una macchina e chi ne subisce i suoi usi distorti. Tra chi ha accesso al sapere – e al potere – e chi rimane impigliato nel bozzolo disperante della propria condizione sociale di partenza.

Per questo pensiamo che vada immediatamente innervata l’intera penisola di fibra ottica, per garantire l’accesso al web veloce e a servizi pubblici comuni. Un bene prezioso, la rete internet, perché veicola contenuti e facilita la comunicazione tra lontani e diversi.

Comunicare e trasferire contenuti. Due lemmi, se si pensa bene, che solo apparentemente sembrano in contrasto fra loro. Sono, infatti, uniti dal formato e veicolati dall’industria culturale.

Conosciamo l’etica hacker e amiamo compulsivamente l’i-phone o il blackberry. E invidiamo il nerd compagno di viaggio in treno o aereo che usa con disarmante disinvoltura palmari e touch screen, scivolando virtuosamente sugli schermi del nostro desiderio consumistico. E ci innervosiamo, figli incantati e saettanti, nel vedere i nostri nonni e genitori alle prese con le penne usb o le connessioni adsl.

E allora occorre capire, di questa grande rivoluzione quotidiana e di questa guerra permanente tra formati e offerte premium, cosa dobbiamo salvare e cosa dobbiamo sconfiggere, per consentire al maggior numero di cittadini d’aver accesso ai contenuti e diritto di parola, senza censure né cesure della propria identità. La parola scritta arriva ovunque e non trasporta soltanto l’informazione, che invece può essere nascosta, fermata, diffamata, ma trasferisce qualcosa che solo gli occhi del lettore possono smentire e confermare. Questa potenza non puoi fermarla se non fermando la mano di chi la scrive. La potenza della parola spaventa. Per il governo italiano è più temibile Saviano che falso in bilancio.

La libertà di stampa, ripristinata dopo la caduta del regime fascista, è un baluardo fondamentale della nostra Costituzione. È un principio su cui deve tornare a discutere l’intera classe politica. Ma questo atteso dibattito è stato rimandato per troppo tempo. Oggi occorre ripensare all’intera strutturazione del panorama mediatico, ostaggio degli interessi di una sola persona su cui, peraltro, grava il conflitto di interessi più grande della storia italiana, del duopolio Rai-Mediaset e dell’occupazione partitica della tv di Stato.

Contemporaneamente, crediamo sia possibile abbattere i muri innalzati dai potenti e dai governi a protezione dello status quo. C’è un Italia migliore che non si vede ma che vive nella realtà di internet e nel luogo possibile della Rete in cui un numero indefinito di persone dialogano, si scambiano esperienze facilitando la conoscenza e la naturale predisposizione dell’essere umano all’empatia.

La Rete consente l’estensione delle capacità delle donne e degli uomini e preme per l’attuazione di forme di democrazia partecipata, in cui ognuno è chiamato al proprio compito di cittadino del mondo. Internet rimpicciolisce il pianeta e allarga il dialogo permettendoci di osservare ciò che succede in ogni parte del mondo. Pensiamo al ruolo della Rete e delle sue applicazioni nella vicenda delle scorse elezioni politiche in Iran. Anche le grandi testate e i telegiornali utilizzavano immagini e video amatoriali estratti dalla rete. Pensiamo a come tutto il mondo abbia avuto la possibilità di osservare e guardare ciò che altrimenti sarebbe stato impossibile per via della censura imposta dal governo iraniano. E pensiamo a Neda, divenuta simbolo di quella lotta e di quelle rivendicazioni proprio perché la sua morte ha bucato i limiti e i confini del suo paese, entrando nel nostro privato, riannodando i fili di un’umanità lacerata. La Rete costruisce pace perché unisce, perché narra porzioni di racconto che altrimenti non avrebbero voce.

L’altro spunto di riflessione è l’ostacolo alla libera circolazione della musica che minaccia lo sviluppo della produzione discografica e multimediale. Non è stata la tecnologia informatica a uccidere la musica e, insieme, a farla risorgere grazie ad i-tunes? E cosa aspettiamo ad abbassare l’iva sulla musica, introducendo su tutta la filiera dei prodotti multimediali e culturali una tassa di scopo capace di rispettare i vincoli posti dalla Ue?

Noi pensiamo vada riformata la gestione dei diritti di proprietà intellettuale a partire dalla Siae. E che vadano introdotte le licenze di creative commons che, insieme all’uso sapiente della leva fiscale che va necessariamente abbassata sui prodotti culturali e alzata su quelli di mero intrattenimento e consumo di massa, sono la migliore risposta contro la pirateria, per sottrarre al controllo di aziende globali il controllo sulle idee di tutti.

 

Perché le idee sono il lievito del tempo nuovo, quello che stiamo gia vivendo

 

Un mondo dalle mille possibilità. Di mille futuri possibili, di mille nuovi lavori di concetto e di occasioni di crescita economica immateriale. Per questa ragione riteniamo opportuno che, nei tavoli ministeriali del Tesoro, si calcoli, oltre al Pil, anche il Pns: il “Prodotto Nazionale Sapere. E ancora, per riflettere sulle opportunità di questo mondo e sulle sue insidie, si pensi alla moltiplicazione dei canali televisivi, indotta dal change over al digitale terrestre. Oppure al diffondersi pervasivo dei tablet e degli smart phone che vivono di app(licazioni). Agli ebook. O, ancora, alla diffusione di contenuti cross mediali via web.

Sono infinite, a pensarci bene, le possibilità di investire per i privati nelle multiformi applicazioni delle nuove tecnologie e della produzione culturale. Perché anche le imprese hanno compreso che l’unico modo per farcela è dare all’Italia una vocazione “glocale”, che faccia leva sulla ricchezza del patrimonio storico, orografico, architettonico, artistico, naturale, trasformandoli in fattore di conoscenza, competenza e promozione della propria unicità nel mondo.

È tempo di immettere, nel circuito produttivo dei contenuti, un sapere finalmente critico, una leva di giovani talenti che abbia già sorbito e digerito le maria defilippi e i grandi fratelli, come cascami di un tempo andato, morto, sepolto. Superato come la tv generalista del pleistocene, dato che la tv del prossimo futuro è quella delle nicchie e della multi piattaforma.

E la politica, le istituzioni, cosa possono fare per sviluppare queste occasioni, garantendo profitti per le imprese e buoni salari per i lavoratori, arricchimento culturale per i cittadini, rispetto per l’estetica, democrazia nell’accesso alle fonti e libertà creativa agli sviluppatori?

La politica deve, innanzitutto, attenuare tutti i fumi della distrazione di massa, stimolando la creatività e non la piatta comunicazione. Moltiplicando i luoghi di partecipazione collettiva al lavoro creativo, tramite il coworking; offrendo possibilità tramite il microcredito e l’abbassamento delle soglie di accesso al credito bancario. Occorre fare una cosa grande e semplice: creare il Ministero della produzione creativa e accorparvi tutte le deleghe oggi sperse nei mille rivoli di altrettanti ministeri.

Un Ministero della produzione creativa significa uscire dalla trappola della sola conservazione dei beni culturali ai fini della promozione turistica, e introdurre l’idea d’industria creativa. L’insieme, cioè, di originalità, etica, cultura, estetica e identità. La capacita di custodire e, insieme, innovare. Perché la cultura e testimonianza di civiltà. Le industrie culturali e creative italiane dispongono di un potenziale in gran parte inutilizzato di crescita e di occupazione.

Il recente libro verde descrive un’industria della creatività europea capace di contribuire con il 2,6% al Pil della Ue a 27 paesi, occupando circa 6 milioni di persone. Se il mercato del lavoro in Europa registra una contrazione tra il 2002 e il 2004, negli stessi anni, l’occupazione nel settore culturale è cresciuta di un 1,85%. Secondo il Creative Economy Report del 2008 l’industria creativa rimane uno dei principali settori del commercio mondiale in termini di crescita. La bilancia commerciale dell’Ue a 27 paesi, per esempio, nei principali settori legati alla creatività ha registrato nel 2007 un surplus di 30 miliardi di euro. L’industria creativa è pertanto un settore caratterizzato da notevoli prospettive di crescita nel lungo termine. Questo potenziale riguarda tutti i paesi e le regioni del mondo. Ma noi siamo italiani, abbiamo in più la ricchezza di un territorio unico e inimitabile.

Creatività e innovazione sono i soli fattori in grado di consentire a un sistema economico di reggere le sfide della competizione globale. Con l’innovazione si diffondono idee che migliorano l’efficienza dei sistemi produttivi e la funzionalità dei prodotti. Con la creatività si guadagna in bellezza, perché l’atto creativo e il più appagante dei desideri realizzati. E si passa “dal made in Italy allo styled in Italy”.

Ma cosa intendiamo esattamente per industria creativa?

Oltre ai settori tradizionali delle arti (arti dello spettacolo, arti visive, patrimonio culturale), l’industria creativa comprende anche i film, i dvd e i video, la televisione e la radio, i videogiochi, i nuovi media, la musica, i libri e la stampa, il design, la moda, la pubblicità e la comunicazione.

Una riforma sistemica e nuovi investimenti pubblici sono decisivi per restituire all’Italia una visione ambiziosa: occorre, infatti, attenuare l’invasione di prodotti culturali stranieri e favorire la produzione di un’identità multiculturale locale che aiuti anche l’integrazione dei popoli migranti che ci attraversano. Per farlo è necessario parlare un linguaggio dei segni universale e tecnologicamente avanzato aiutando le imprese a rafforzarsi e unirsi in distretti culturali, favorendo la nascita di scene artistiche territoriali, stimolando la mobilità degli artisti e aiutandoli a vivere in residenze artistiche permanenti che fungano da aggregatori di talenti e di pubblico e da incubatori della diversità culturale. Occorre stimolare la concorrenza superando il duopolio televisivo, stimolando l’accesso alle nuove tecnologie, diffondendo la banda larga. Perché l’unico modo per far aumentare i consumi culturali – obiettivo indispensabile per la sinistra contemporanea – e aumentare la base dei suoi produttori e favorire l’accesso popolare alle arti. Molti economisti considerano i costi marginali della cultura bassissimi. E allora, riprendendo la proposta di Walter Santagata, perché non rendere gratuito l’accesso ai musei pubblici? Poi questi venderanno valore aggiunto, come gadget, ristorazione o eventi. Il nostro obiettivo politico mira ad abbattere gli ostacoli che impediscono la libera fruizione di cultura. È indispensabile promuovere l’imprenditorialità diffusa, favorire gli editori puri, la cultura d’impresa e di management allo scopo di aiutare l’emersione di nuovi pubblici per nuove imprese e nuovi contenuti. Va democratizzato l’accesso alle fonti culturali, rendendo diffuse le attività di formazione attraverso la promozione di una collaborazione più intensa, sistematica e ampia tra le arti, le istituzioni accademiche e scientifiche e le iniziative comuni pubblico-privato. L’accesso al finanziamento delle industrie culturali e creative è limitato perché numerose imprese soffrono di cronica sottocapitalizzazione e incontrano seri problemi per ottenere una giusta valutazione dei loro attivi immateriali, ad esempio i diritti d’autore. Se si pensa non solo al cinema – la più popolare delle forme di produzione artistica – è opportuno prevedere strumenti finanziari innovativi, come il capitale di rischio, il microcredito, le garanzie e altri strumenti di condivisione del rischio. Nuovi interessanti modelli finanziari, mirati in modo più specifico alle industrie culturali e creative, sono emersi. I migliori agevolano l’accesso al credito. Altri mettono in contatto investitori e imprese che necessitano di capitale di rischio per crescere, anche per mezzo di forme di finanziamento collettivo (crowdfunding).

Oggi sappiamo che, per il cinema italiano, tassa di scopo e tax credit, rifinanziamento del Fondo Unico dello Spettacolo a valere su una tassa di scopo, il Centro unico nazionale dell’audiovisivo sono la cura indispensabile. Parimenti fondamentale è la riforma radicale della Rai per impedirne la contiguità con la politica e liberarla dall’assillo della competizione con Mediaset. Perché il credito fiscale funziona se esiste un mercato dei diritti veramente libero. E allora diciamolo, una buona volta, che il mercato dei diritti cinetelevisivi va liberato dal giogo del conflitto di interessi e delle rendite di posizione e che vanno rafforzati e aiutati i produttori indipendenti. Le infrastrutture culturali e i servizi di alta tecnologia, le buone condizioni di vita e le buone possibilità d’impiego del tempo libero, il dinamismo delle comunità culturali e la forza delle industrie culturali e creative locali sono sempre più considerati i veri fattori di attrattività per imprese, talenti e pubblico. Il turismo del futuro è in questo snodo: non basta più offrire meravigliose città d’arte per attrarre i grandi flussi turistici internazionali. L’Italia deve essere un posto alla moda.

Cosa lo è più della creatività e dei giovani?

Ciò di cui avremmo bisogno e un capovolgimento completo del modo di intendere la creazione. Per Goffredo Fofi “la cultura con cui dobbiamo quotidianamente confrontarci è una specie di tranquillante o di sonnifero, che ci distrae e ci aiuta a non pensare invece che a pensare, a dimenticarci invece che a trovarci, è un consumo indifferenziato che nei propositi di chi lo propone e amministra deve servire a renderci inattivi invece che attivi. Le istituzioni della cultura e i suoi gestori si preoccupano del successo e del consenso, della superficie e dell’attualità invece che del radicamento, della lunga durata, della qualità e della possibilità di incidere in profondità nell’humus di una popolazione e di un’epoca”.

La creatività che abbiamo in mente richiede il rilancio delle politiche pubbliche e del protagonismo privato. È la creatività degli spiriti liberi e critici, incapaci di sottomettersi ad alcun potere. L’unica in grado di garantire uno sviluppo rapido e sano del Paese.

È un processo possibile, basta iniziarlo. Adesso.

Nichi Vendola

(da C’è un’Italia migliore, Fandango libri, 2011)


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