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La débâcle siriana

Creato il 12 aprile 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La débâcle siriana

Con 83 stati e organizzazioni intergovernative rappresentate, la seconda Conferenza degli Amici della Siria è stata un successo mediatico. Eppure, secondo l’analista francese basato a Damasco Thierry Meyssan, tutto ciò non riesce a nascondere la sconfitta della NATO e del CCG in Siria: un anno di guerra a bassa intensità non ha portato a cambiamenti di regime e sono ora costretti a ritirarsi davanti al fronte russo-sino-iraniano.

 
Il 27 marzo 2012 il presidente Bashar al-Assad si è recato a Homs, dove ha visitato il distretto di Baba Amr, luogo in cui i takfiristi siriani [1] e i combattenti stranieri avevano costituito, per un mese, un emirato islamico indipendente. Egli ha promesso ai residenti sfollati che lo Stato avrebbe ricostruito le loro case “molto meglio di prima”, e che sarebbero potuti tornare presto. Migliaia di persone, soprattutto sunniti, erano state costrette a fuggire per evitare di cadere sotto la dittatura degli islamisti. In loro assenza le case sono state saccheggiate e centinaia sono state fatte saltare dai ribelli, se non erano state già distrutte durante gli scontri.

Bashar al-Assad, che continua ad essere il capo di Stato più popolare nel mondo arabo, ha incontrato gli abitanti di Homs ma ha evitato il tradizionale bagno di folla a causa della possibile presenza di terroristi isolati. “La guerra per rovesciare il regime siriano è definitivamente finita”, ha dichiarato Jihad Makdissi, portavoce del Ministero degli Esteri siriano. Il paese, le cui principali infrastrutture energetiche e le telecomunicazioni sono state sabotate, sta entrando nella fase della ricostruzione.

Nel frattempo, la NATO e il CCG hanno continuato a indulgere nei loro progetti. Una riunione del Consiglio nazionale Siriano si è tenuta per adottare un “Patto Nazionale” accettabile per l’opinione pubblica occidentale. L’intento era di dare una parvenza di laicità e democrazia a un organismo dominato dalla Fratellanza Musulmana, che chiede l’adozione della sharia e di un regime islamico. Il programma scritto dai Fratelli è stato successivamente curato da consulenti per la comunicazione e arricchito con alcune espressioni politicamente corrette. È stato adottato seguendo una dubbia procedura in cui i Fratelli hanno votato contro, ma avevano predisposto la partecipazione di persone estranee che l’hanno votato, in modo che il testo passasse senza che dovessero sconfessarlo. Il risultato è che il Consiglio possiede ora un testo programmatico che impegna solo coloro che lo leggono, e che la maggioranza dei suoi membri permanenti spera di eliminare alla prima occasione.
Da parte loro, il Segretario Generale della Lega Araba e il suo omologo delle Nazioni Unite hanno nominato Kofi Annan inviato speciale congiunto per negoziare una via d’uscita dalla crisi. Egli ha proposto un piano in sei punti che è la versione leggermente modificata della proposta russa fatta alla Lega. Ha ottenuto l’assenso del presidente al-Assad, a condizione che tali disposizioni non siano distorte nel loro senso e usate per infiltrare nuovamente armi e combattenti.

È in questo contesto che la NATO e il CCG hanno convocato la seconda conferenza degli Amici della Siria per domenica primo aprile a Istanbul. Questa è stata presieduta dalla Turchia e 83 tra Stati e organizzazioni intergovernative vi hanno partecipato [2]. In linea con il loro precedente incontro a Tunisi, il 24 febbraio, i partecipanti hanno riaffermato in primo luogo il loro sostegno a “una transizione politica guidata dalla Siria che porti a uno Stato civile, democratico, pluralista, indipendente e libero, che rispetti i diritti delle persone indipendentemente dalla loro etnia, religione o genere”, una posizione risibile da parte di paesi come l’Arabia Saudita o il Qatar che, tra l’altro, non sono né civili, né democratici, né pluralisti, e ancor meno liberi o indipendenti e che discriminano i loro cittadini in base a etnia, religione o genere.

In seguito gli Amici della Siria hanno espresso il loro fermo sostegno al piano in sei punti di Kofi Annan, mentre la presidenza turca proponeva di armare e finanziare i ribelli, in violazione del piano stesso. Con questo spirito la Conferenza ha ascoltato le relazioni del Consiglio Nazionale Siriano. Ha accolto con favore l’adozione formale del Patto Nazionale e la disponibilità dei membri del Consiglio a lavorare insieme, dimenticando che l’ultima riunione del Consiglio si è conclusa tra grida, porte sbattute e le dimissioni di 24 delegati curdi. Di conseguenza, ha riconosciuto il Consiglio come “un” legittimo rappresentante di tutto il popolo siriano, e come organizzazione ombrello per i gruppi di opposizione siriani.

Queste lodi immeritate non devono essere intese come riflesso di ignoranza della situazione o cecità, ma come un “contentino” diplomatico che aiuti a mandare giù una grande delusione. In effetti, la Conferenza ha rifiutato di riconoscere il Consiglio come “il” rappresentante del popolo siriano, vale a dire, come parlamento in esilio che potesse nominare un governo in esilio e reclamare la sede siriana alle Nazioni Unite. Questo rifiuto dimostra che gli Amici della Siria hanno rinunciato al cambio di regime e che il Consiglio non è più destinato a governare. La sua funzione è limitata ormai alla partecipazione alle campagne mediatiche contro il proprio paese. In questo contesto, il dipartimento di propaganda della Casa Bianca dovrà controllare le comunicazioni di tutti i gruppi di opposizione siriani. Pertanto, la Conferenza ha chiesto di avere un solo centro, il Consiglio, in cui a tutti i gruppi di opposizione fosse ordinato di confluire.

La camera di compensazione della responsabilità siriana

Chiusa la questione disciplinare, la Conferenza è proseguita registrando ufficialmente la creazione di tre nuovi organi. In primo luogo, su iniziativa del Dipartimento di Stato USA, è stato costituito un centro per “raccogliere, confrontare, analizzare” tutte le informazioni disponibili sulle violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità siriane, in vista del loro futuro giudizio da parte di una corte internazionale [3]. Noi a Damasco ricordiamo che per anni gli Stati Uniti hanno pensato di addossare al presidente Bashar Assad la responsabilità dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri. Hanno lavorato alla raccolta di false testimonianze e all’istituzione del Tribunale speciale per il Libano. Abbiamo ascoltato i sottoposti di Washington in Medio Oriente profetizzare che il presidente siriano sarebbe stato trascinato a L’Aia, con mani e piedi legati. Ricordiamo inoltre che le false testimonianze stilate contro Assad crollarono tra scandali per corruzione, e che Washington decise di dirigere il suo sistema pseudo-legale contro altri obiettivi.

Resta il fatto che questo Centro sarà principalmente responsabile per il coordinamento del lavoro delle ONG già sovvenzionate direttamente o indirettamente da Washington, come ad esempio Amnesty International, Human Rights Watch e la Federazione Internazionale dei Diritti Umani. Per coprire i costi di segreteria, il Dipartimento di Stato ha subito speso 1,25 milioni di dollari e fornito personale accuratamente selezionato.

Il Gruppo di lavoro sulle sanzioni

La Conferenza di Istanbul ha istituito un gruppo di lavoro sulle sanzioni, ufficialmente per coordinare e potenziare le misure adottate da Stati Uniti, Unione Europea, Lega Araba, ecc. I siriani hanno risposto sottolineando che mentre le sanzioni danneggerebbero loro, soffocherebbero alcuni loro vicini. Da qui la raccomandazione del documento finale che il gruppo si assicuri che tali sanzioni non danneggino paesi terzi, cosa che può implicare l’apertura di vie commerciali alternative. La Lega Araba, infatti, era stata costretta a sospendere le sue sanzioni contro la Siria perché queste minacciavano direttamente l’economia dei propri membri. Ad esempio, la Giordania si è ritrovata brutalmente privata di oltre due terzi delle sue importazioni, che significava inoltre essere privata dell’acqua potabile fornita dalla Siria. In una settimana, la sua economia era crollata. Il gruppo di lavoro sulle sanzioni sembra essere stato incaricato della quadratura del cerchio. La sua prima riunione si terrà a Parigi nella seconda metà di aprile, vale a dire, prima delle elezioni presidenziali francesi e dell’atteso cambiamento politico che ne deriverà.

Il Gruppo di lavoro per la ripresa economica e lo sviluppo

Il terzo e ultimo organo creato dalla Conferenza è il Gruppo di lavoro per la ripresa economica e lo sviluppo. In origine era stato programmato che il Consiglio Nazionale Siriano avrebbero formato il primo governo dopo la caduta del presidente Bashar al-Assad. Di conseguenza avrebbe ricevuto una sostanziale assistenza finanziaria, che gli avrebbe consentito di mobilitare la popolazione stremata dalle sanzioni. La promessa di questa manna aveva attirato nel Consiglio ogni tipo di squalo possibile. Nella misura in cui, da una parte, l’opzione di un cambiamento di regime è stata abbandonata e, dall’altra, è probabile l’inasprimento delle sanzioni, che senso ha aiutare il presidente al-Assad a rilanciare l’economia e lo sviluppo del suo paese? E perché questo gruppo di lavoro è co-presieduto dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Germania?

La nostra ipotesi, fino a nuovo avviso, è che questo gruppo di lavoro debba servire da copertura per il pagamento delle riparazioni di guerra da parte della Francia, in cambio della restituzione dei suoi ufficiali detenuti in Siria. I nostri lettori e ascoltatori sanno che 19 soldati francesi sono stati arrestati in Siria e che tre di loro sono stati consegnati al Capo di Stato Maggiore, ammiraglio Edouard Guillaud, durante la sua visita in Libano. I negoziati tra le due parti in conflitto proseguono con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti. La Francia ha riconosciuto che i prigionieri sono cittadini francesi, anche se tutti hanno la doppia cittadinanza algerina o marocchina, ma nega che fossero militari in missione. La Francia sostiene che si tratta di jihadisti, venuti a combattere su propria iniziativa e a sua insaputa. Dall’altra parte, la Siria sostiene che gli apparecchi di comunicazione della NATO in loro possesso provano che stavano agendo sotto questa bandiera. Comunque sia, la Francia potrebbe pagare un risarcimento per la loro liberazione, il cui ammontare è tuttavia difficile da stabilire. La Siria chiede un risarcimento per i danni di guerra, per le migliaia di morti e per le infrastrutture distrutte. La Francia fa presente che se ci fosse stata di fatto una guerra segreta, non avrebbe potuto condurla da sola e non ne sarebbe quindi l’unica responsabile. Nel caso in cui la Francia dovesse accettare di pagare il denaro, si rifiuterebbe tuttavia di riconoscere pubblicamente il motivo del trasferimento dei fondi. Avrebbe quindi bisogno di confondere il tracciamento del denaro con l’aiuto del suo partner tedesco.

Quale strategia per la NATO e il CCG?

L’esito di questa conferenza suggerisce la nuova strategia degli Stati Uniti, e di conseguenza della NATO e del CCG.
Washington ha smesso di perseguire un cambiamento di regime in Siria poiché non ne ha i mezzi militari. Inizialmente, piuttosto che riconoscerlo, il segretario alla difesa Leon Panetta aveva spiegato che l’intervento militare avrebbe soltanto complicato la situazione sul campo e gettato il paese nella guerra civile, invece di impedirla. Poi, il generale Martin Dempsey, Capo dello Stato maggiore Congiunto, e il generale James Mattis, comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti, hanno in fine ammesso che le forze aeree statunitensi non avrebbero potuto bombardare la Siria, se ciò fosse stato ordinato, considerato che il paese è ora dotato del sistema antiaereo russo, il più efficace al mondo. Inoltre, i generali statunitensi hanno ammesso che lo spazio aereo siriano continua ad essere monitorato; tuttavia non con lo scopo di fornire informazioni all’Esercito Libero Siriano, ma per evitare che gli arsenali chimici e biologici cadano nelle sue mani. In altre parole, non solo Washington ha abbandonato l’idea di un cambiamento di regime con la forza, ma sta agendo in modo tale da prevenirlo, in modo da non entrare in conflitto con Russia, Cina e Iran.

In mancanza di una migliore soluzione, Washington ha deciso di strumentalizzare il caso siriano per mettere in imbarazzo Mosca e Pechino. La creazione della Camera di Compensazione di Responsabilità Siriana si riduce al lancio di una nuova campagna di propaganda anti-siriana, non per aprire la strada ad un intervento NATO, ma per accusare la Russia e la Cina di essere dittature che sostengono un’altra dittatura. E le sanzioni non hanno più lo scopo di demoralizzare la classe media nel tentativo di farla rivoltare contro il regime, ma di costringere la Russia e la Cina a pagarle per la Siria.

È su questo sfondo che si deve interpretare l’arroganza di Alain Juppé. Il Ministro degli Esteri francese è consapevole che le sue dichiarazioni anti-siriane sono vuote, ma non può curarsene di meno dato che presto lascerà l’incarico, e che il suo successore si rifiuterà di sopportarne le conseguenze in nome dell’alternanza politica. La sua crescente retorica serve sia ad alimentare il dossier affidato alla Camera di Compensazione di Responsabilità Siriana, che a soddisfare una lobby il cui supporto troverà utile quando sarà all’opposizione. A questo proposito, Damasco, che anticipa la sconfitta elettorale di Nicolas Sarkozy, ha inviato un diplomatico di alto livello a Parigi. Egli ha incontrato il suo amico, l’ex ministro degli esteri socialista, che lo ha presentato a Francois Hollande, rivale di Nikolas Sarkozy alle elezioni. La Siria è al corrente dei legami del candidato socialista con Israele e il Qatar. Ma confida che il prossimo presidente francese adotterà fondamentalmente la posizione degli Stati Uniti, e che di conseguenza tutto il sostegno all’opposizione armata cesserà.

(Traduzione dall’inglese di Giulia Renna)


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