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La distanza necessaria

Da Marcofre

Un po’ di tempo fa (temo che sia parecchio tempo fa), ho letto da qualche parte di un film molto particolare.
Cinepresa fissa, un uomo entra in una stanza, si sdraia su un materasso e dorme. Non accade altro. Quel film dura otto ore. Come possiamo definirlo? Noioso? Certo!

Questo è un esempio per far intendere che infilare tutto nella pagina conduce al fallimento, allo sbadiglio, alla noia. È un errore che si commette quando siamo dentro una storia da capo a piedi.
La scrittura ha un briciolo di valore se crea la distanza necessaria: quello è il primo passo nella giusta direzione. Altrimenti è cronaca da due soldi.

A volte penso che creare la distanza necessaria sia un indizio di talento; perché presuppone una buona dose di umiltà e determinazione. È come essere su un palco, o davanti a una telecamera: e d’un tratto ci si rende conto che il modo migliore di narrare per noi è scendere da quel palco. O spostarsi dietro la macchina da presa.

Non è da tutti, perché è umano (soprattutto di questi tempi) cercare le luci del palcoscenico. Ecco perché ci vuole determinazione, e umiltà; soprattutto quest’ultima. Riconoscere i propri limiti, e non cercare comunque di arrivare costi quel che costi, significa accettare un genere di ruolo che impone duro lavoro. Impegno.

Si tratta di qualità che non hanno molto seguito, e questo le rende poco praticate. Forse non è un male.
Quando ci si rende conto di quale peso comporta la scrittura, di tutti gli elementi piccoli e grandi che una storia deve contenere nella giusta misura, pena il suo affondamento, molti preferiscono lasciar perdere. O credere che vada bene così.

Ammesso che ci sia il talento (non mi stancherò mai di ripeterlo), è forse l’umiltà l’ingrediente più prezioso per l’esordiente. Perché agisce come un lievito, e dopo molti anni e un bel po’ di fortuna, si arriva a scrivere qualcosa che i lettori (magari 15) apprezzeranno. Mentre quelli che vivranno tra 60 anni diranno: “Quello sì che sapeva scrivere. Peccato che vivesse tra pecoroni incapaci di apprezzarlo”.

Questa è la letteratura. Sempre sicuro di volerne fare parte?


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