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La donna e il burattino – Romanzo spagnolo 14

Creato il 25 novembre 2012 da Marvigar4

la donna e il burattino

La donna e il burattino

Romanzo spagnolo

Traduzione dall’originale francese La Femme et le Pantin – Roman espagnol

di Marco Vignolo Gargini

14. DOVE CONCHA CAMBIA VITA, MA NON CARATTERE

Questo potrebbe costituire la fine di un romanzo, e tutto sarebbe bene quel che finisse con una tale conclusione! Ahimè! Non posso fermarmi qui! Lo saprete forse un giorno: mai una sfortuna si cancella nel corso d’una esistenza umana; mai una piaga è guarita; mai la mano femminile che semina l’angoscia e le lacrime saprà coltivare la gioia nello stesso campo straziato.

Otto giorni dopo quella mattina (dico otto giorni; non è durato assai), Concha rientrò, un domenica sera, qualche minuto prima di pranzo, dicendomi:

«Indovina chi ho visto? Qualcuno che amo tanto… Cerca un po’… Sono stata contenta.»

Io tacevo.

«Ho visto il Morenito», riprese. «Passava per Las Sierpes, davanti il magazzino Gasquet. Siamo andati insieme a la Cerveceria. Sai, t’ho parlato male di lui; ma non ti ho detto tutto ciò che penso. È carino, il mio amichetto di Cadice. Dai, tu l’hai visto, lo sai bene. Ha due occhi brillanti e lunghe ciglia; adoro le ciglia lunghe, fanno lo sguardo così profondo! E poi, non ha baffi, la sua bocca è ben fatta, i suoi denti bianchi… Tutte le donne si passano la lingua sulle labbra quando lo vedono così amabile.

«Tu scherzi, Conchita… non è possibile… Tu non hai visto nessuno, dì la verità?»

«Ah! non mi credi? Come vuoi. Allora non ti dirò mai cos’è successo in seguito.»

«Dimmelo immediatamente!» urlai afferrandole il braccio.

«Oh! Non te la prendere! te lo dirò! Perché nascondermi? È il mio piacere, lo faccio. Siamo andati insieme fuori città, por un caminito muy clarito, muy clarito, muy clarito [1] alla Cruz del Campo. Devo continuare? Abbiamo visitato tutta la casa per scegliere la saletta dove potremmo avere il migliore divano…»

E siccome mi alzavo, terminò, dietro le sue mani protettrici:

«Suvvia, è proprio naturale. Ha la pelle così dolce, ed è talmente più carino di te!»

Che volete? la picchiai ancora. E brutalmente, con mano dura, in modo da rivoltare me stesso. Lei gridò, singhiozzò, si inginocchiò in un angolo, la testa sulle ginocchia, le mani torte.

E poi, quando poté parlare, mi disse, con voce piena di lacrime:

«Cuore mio, non è vero… Sono andata alla corrida… vi ho passato la giornata… il biglietto è nella mia tasca… prendilo… Ero sola con il tuo amico G… e sua moglie. M’hanno parlato, te lo possono dire… Ho visto ammazzare tutti e sei i tori, e non ho lasciato il mio posto e sono rientrata direttamente.

«Ma allora, perché m’hai detto…?»

«Perché tu mi picchiassi, Mateo. Quando sento la tua forza, t’amo, t’amo; non puoi sapere come sono felice di piangere a causa tua. Vieni, adesso. Guariscimi presto presto.»

E fu così, signore, fino alla fine. Quando si fu convinta che le sue false confessioni non mi ingannavano più, e che avevo tutte le ragioni per credere alla sua fedeltà, inventò dei nuovi pretesti per eccitare in me ire quotidiane. E la sera, nella circostanza in cui tutte le donne ripetono: «M’amerai a lungo», sentivo, io, queste frasi stupefacente (ma reali: non invento niente): «Mateo, tu mi picchierai ancora? Promettimelo: mi picchierai bene! Mi ucciderai! Dimmi che mi ucciderai!»

Ne crediate, tuttavia, che questa singolare predilezione fosse la base del suo carattere: no; se aveva bisogno del castigo, aveva anche la passione della colpa. Faceva il male, non per il piacere di peccare, ma per la gioia di fare male a qualcuno. Il suo ruolo nella vita si limitava a questo: seminare la sofferenza e guardarla crescere.

All’inizio furono gelosie di cui non potete aver idea. Sui miei amici e su tutte le persone che componevano la mia cerchia, diffuse voci tali, e all’occorrenza si mostrò apertamente così ingiuriosa che ruppi con tutti e restai ben presto solo. La vista d’una donna, quale che fosse, bastava a portarla fuori di sé. Licenziò tutte le mie domestiche, poi la portiera fino alla cuoca, pur sapendo perfettamente che non rivolgevo loro nemmeno la parola. Poi cacciò via allo stesso modo quelle che aveva scelto lei in persona. Fui costretto a cambiare tutti i miei fornitori, perché la moglie del barbiere era bionda, la figlia del librario era bruna, e la sigaraia chiedeva mie notizie quando entravo nella sua bottega. Rinunciai in poco tempo ad andare a teatro: in effetti, se guardavo la platea, era per nutrirmi della bellezza d’una donna, e se guardavo la scena, era una prova decisiva che m’ero innamorato d’una attrice. Per le stesse ragioni, cessai di passeggiare con lei in pubblico: il minimo saluto diventava ai suoi occhi una sorta di dichiarazione. Non potevo né sfogliare delle stampe, né leggere un romanzo, né guardare una Vergine, sotto la pena d’essere accusato di tenerezza nei riguardi della modella, dell’eroina o della Madonna. Cedevo sempre, l’amavo tanto! Ma dopo quali lotte fastidiose!

Nello stesso tempo che la sua gelosia s’esercitava così contro di me, tentava d’intrattenere la mia, con mezzi che, da finti che erano all’inizio, divennero più tardi reali.

Mi tradì. Dalla cura che prendeva nell’avvertirmi ogni volta, riconobbi che cercava meno la sua propria emozione che la mia; ma infine, anche moralmente, non era affatto una scusa valida, e in ogni caso, quando tornava da quelle avventure particolari, non ero nello stato di fare la loro apologia, lo comprenderete senza difficoltà.

Ben presto, non le bastò più riferirmi le prove della sua infedeltà. Volle replicare la scena del cancello, e stavolta senza alcuna finzione. Sì! Macchinò, contro se stessa, una sorpresa in flagrante!

Fu un mattino. Mi sveglia tardi: non la vidi accanto a me. Una lettera era sul tavolo e mi diceva con qualche frase:

«Mateo che non m’ami più! Mi sono alzata durante il tuo sonno e sono andata a raggiungere il mio amante, hôtel X…, camera 6: tu puoi uccidermi là se vuoi, la serratura resterà aperta. Prolungherò la mia notte d’amore fino alla fine del mattino. Vieni dunque! Forse avrai la fortuna di vedermi durante un amplesso.

T’adoro.

CONCHA.»

Vi andai. Che momento fu quello, mio Dio! Seguì un duello. Fu uno scandalo pubblico. Ve ne hanno forse parlato…

E, quando penso che tutto era fatto “per attaccarmi a lei”! Fino a quanto l’immaginazione delle donne le può accecare sull’amore virile!

Ciò che vidi in quella camera d’hotel sopravvisse ormai come una vela tra Concha e me. Anziché frustare il mio desiderio, come aveva sperato, quel ricordo si trovò a spandere su tutto il suo corpo qualcosa d’odioso e d’incancellabile di cui restò impregnata. La ripresi tuttavia; ma il mio amore per lei era ferito per sempre. I nostri litigi divennero più frequenti, più aspri, anche più brutali. S’attaccava alla mia vita con una sorta di furore. Era puro egoismo e passione personale. La sua anima profondamente malvagia non sospettava nemmeno che si potesse amare altrimenti. A tutti i costi, con tutti i mezzi, mi voleva rinchiudere nella cintura delle sue braccia. – Alla fine scappai.

Successe un giorno, all’improvviso, dopo una scena tra le mille, semplicemente perché era inevitabile.

Una piccola gitana, venditrice di cestini, aveva salito le scale del giardino per offrirmi i suoi poveri lavori di giunco intrecciato e di foglie di canna. Stavo per farle carità, quando vidi Concha slanciarsi verso di lei e dirle con cento ingiurie che era già venuta il mese precedente, che senza dubbio pretendeva di offrirmi ben altro che i suoi cestini, aggiungendo che si vedeva bene negli occhi il suo vero mestiere, che se andava a piedi nudi era per mostrare le gambe, e che bisognava essere senza pudore per andare così di porta in porta con una sottana stracciata in cerca di innamorati. Tutto questo, cosparso d’oltraggi che non vi ripeto, e detto col tono più tracotante. Poi le strappò tutta la mercanzia, la ruppe, la calpestò… voi lascio indovinare i singhiozzi e i tremori della piccola sventurata. Naturalmente la ripagai. Da qui la battaglia.

La scena di quel giorno non fu né più violenta né più fastidiosa delle altre; eppure fu definitiva: non so ancora il perché. «Tu mi lasci per una zingara! – «Ma no. Ti lascio per la pace.»

Tre giorni dopo, ero a Tangeri. Mi raggiunse. Partii in carovana verso l’interno, dove lei non poteva seguirmi, e restai più volte senza notizie dalla Spagna.

Quando rividi Tangeri, quattordici sue lettere m’attendevano alla posta. Presi un piroscafo che mi portò in Italia. Altre otto lettere mi raggiunsero ancora. Poi fu il silenzio.

Rientrai a Siviglia dopo un anno di viaggi. Era sposata da quindici giorni con un giovane folle, peraltro di buona famiglia, che lei ha fatto mandare in Bolivia con una fretta significativa. Nella sua ultima lettera, mi diceva: «Sarò solo tua, o altrimenti di chi vorrà.» Immagino che stia tenendo fede alla sua seconda promessa.

Ho detto tutto, signore. Adesso conoscete Concepcion Perez.

In quanto a me, ho avuto la vita spezzata per averla trovata sul mio cammino. Non mi aspetto più niente da lei che l’oblio; ma un’esperienza acquisita così duramente può e deve trasmettersi in caso di pericolo. Non siate sorpreso se ho avuto a cuore di parlarvi così. Il carnevale è morto ieri; la vita reale ricomincia; ho sollevato un istante per voi la maschera d’una donna ignota.

«Vi ringrazio», disse gravemente André, stringendogli le mani.



[1] «Per una stradetta molto chiaretta, molto chiaretta, molto chiaretta.»



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