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La gestione interna della SME, il caso Motta-Alemagna

Creato il 05 marzo 2012 da Ilcasos @ilcasos
Panettone

Panettone Motta

Inizia qui la seconda parte dell’articolo dedicato alla crisi del comparto alimentare italiano negli anni Ottanta del Novecento. Lo scopo di questa trattazione è mostrare come i cambiamenti nei consumi alimentari italiani degli anni Ottanta (ma già in atto nel decennio precedente) abbiano profondamente modificato il panorama industriale, produttivo e culturale della penisola. Se nella prima parte si è parlato della vicenda generale della Sme, in questa sezione si tratterà di un caso specifico del gruppo, quello dolciario, ripercorrendo le vicende che vedono protagoniste due storici marchi italiani: Motta e Alemagna.

La crisi

La storia della Motta e dell’Alemagna subì un drastico cambiamento sul finire degli anni Sessanta, quando la Sme, come si è detto nella prima parte, acquistò il 35 per cento del capitale della Motta (1968) e il 50 per cento di quello dell’Alemagna (1970)[1]. Seppur non rientrasse nei piani di acquisizione della Sme, l’Alemagna venne incorporata su pressione del management Motta, interessata alla confluenza nello stesso gruppo del suo principale concorrente. In un primo momento, però, l’unione delle due aziende non venne programmata, perché il socio Alemagna non voleva vendere la propria quota; si prospettò così la gestione separata dei due gruppi, che risultò essere un grande problema per la Sme, che doveva gestire due attività in diretta concorrenza tra di loro.[2]

Nel 1975 entrambi i gruppi subirono crisi vertiginose, accomunate da alcuni fattori. Sicca, professore all’Università di Napoli di Strategie d’Impresa e autore di numerosissimi volumi di gestione aziendale, ne indica cinque come principali;

  • Una caduta dei volumi prodotti e venduti, ed un peggioramento del mix, in presenza di un generale aumento dei prezzi;
  • Un generalizzato aumento dei costi, con particolare riguardo a quelli di personale. […] Il costo orario della manodopera industriale era passato da circa L. 1.700 a circa L. 4.500. […];
  • Un aumento dell’assenteismo;
  • Un aumento delle spese generali e dei costi di struttura. […];
  • Un aumento dell’incidenza sul fatturato degli oneri finanziari, […].

Gli investimenti per i nuovi impianti […] si presentavano altamente deficitari principalmente a causa del fatto che l’avvio delle produzioni era coinciso con una fase recessiva della domanda.[3]

Unidal: fusione e ristrutturazione

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Logo Motta

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Essendo la Sme in una tale situazione di crisi, per le attività si aprirono due possibilità: mantenimento delle società separate, oppure fusione delle aziende[4]. Analizzati costi e benefici di entrambe le opzioni, si arrivò alla conclusione che la concentrazione delle due aziende era la via più efficace per operare una vera ristrutturazione. Motta e Alemagna, quindi, come detto, si fusero nell’Unidal (Unione Industrie Dolciarie e Alimentari), il cui piano esecutivo, redatto nel 1975, prevedeva la ristrutturazione della attività produttive e commerciali su tutte le aree aziendali. Questa ristrutturazione avrebbe portato a un cambiamento riassunto nella tabella.

Il piano di ristrutturazione dell’Unidal[5].

Stabilimenti

Produzioni

Attuali

Previste

Viale Corsica

  • Panettone e colomba

  • Cioccolato e paste

  • Cioccolato modell. e conf.

  • Monodose lievitate

  • Caramelle

  • Torrone (solo bianco)

  • Pacchi natalizi e pasquali

  • Panettone e colomba

  • Ciocc. e paste

  • Torrone (bianco)

Via Silva

  • Panettone e colomba

  • Pandoro

  • Sticks e minicharms

  • Caramelle

  • Torrone (solo bianco)

Cornaredo

  • Monodose lievitate

  • Monodose non lievitate

  • Cioccolato

  • Torrone (cioccol.)

  • Gelati

  • Pacchi natalizi e pasquali

  • Monodose lievitate

  • Monodose non liev.

  • Cioccolato

  • Torrone (cioccol.)

  • Gelati

  • Pacchi natalizi e pasquali

Segrate

  • Gastronomia

  • Pasticc. surgel. e non

  • Torte gelato

  • Liquori

  • Sticks e minicharms

San Martino B.A.

  • Pandoro

  • Monodose non liev.

  • Monodose lievitate

  • Biscotti e crack.

  • Pandoro

  • Monodose non liev.

  • Monodose lievitate

  • Biscotti e crack.

  • Pluridose lievitate

Napoli

  • Monodose lievitate

  • Gelati

  • Monodose lievitate

Dal punto di vista commerciale, inoltre, la dirigenza Sme, puntava sulla rivalutazione dei due marchi riconoscendone l’impiego più adatto ai diversi segmenti di mercato, mettendo in condizione l’Unidal di poter gestire meglio i due gruppi, dividendola in due Divisioni Operative (Divisione Alimentare e Divisione Dolciaria) con specifici organi di marketing e budget pubblicitari. Anche gli esercizi commerciali e di distribuzione avrebbero subito un riassetto generale. In particolare sarebbero state scorporate le attività degli esercizi autostradali di Alemagna e Motta, unite in un’unica società insieme all’Alivar (ex-Alimont, cioè Montedison Alimentari), la Autogrill S.p.A., come si è visto nella prima parte. Il gruppo si sarebbe così ritrovato a gestire 266 esercizi ripartiti in questo modo[6];

  • Alemagna 126 (autobar)
  • Alivar 99 (40 grill e 59 snack bar)
  • Motta 41 (12 grill, 20 snack bar e 9 fast food)
Logo Alemagna

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Scorporate anche le attività gelatiere, conferite alla Tanara S.p.A. (di proprietà dell’Unidal) nel 1976, non fu però possibile avviare la parte principale del piano, e cioè il riassetto produttivo, commerciale e organizzativo della società. In una situazione in cui le attività dell’Unidal continuavano ad accumulare perdite (a causa delle quali i fornitori non assicuravano più le consegne a fronte di enormi crediti insoluti, e le banche ottenevano in alcuni casi provvedimenti giudiziari cautelativi), la Sme fu costretta ad intervenire con un’ulteriore finanziamento, di 26,6 miliardi di lire[7]. Ma nel primo semestre del 1977, le perdite accumulate arrivarono a 30 miliardi e quelle previste per 53 miliardi. Davanti a questa situazione, per evitare un dissesto finanziario della stessa Sme, nel settembre del 1977 l’Unidal venne messa in liquidazione con lo scopo di attuare un ulteriore piano di risanamento, per il quale una nuova società, la Sidalm (Società Industriale Dolciaria e Alimentare Milanese), nell’ambito di una finanziaria dell’IRI, la SPA, poi Sofin, avrebbe rilevato il 100 per cento delle attività sane dell’Unidal[8].

Concentrazione della produzione e tagli al personale

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Sciopero lavoratori Unidal

Sciopero operai dell'Unidal durante il periodo delle privatizzazioni

Il criterio che seguiva questo nuovo piano era di concentrare le produzioni in pochi stabilimenti specializzati, in modo da contenere i costi fissi di produzione. Questo avrebbe quindi comportato la chiusura degli stabilimenti di Segrate, di Napoli e di via Silva. Nel gennaio del 1978 un accordo tra Governo, Sindacati e IRI consentì di iniziare il processo di risanamento. Fino a quel momento era rimasto in vigore un altro accordo che predisponeva la messa in liquidazione di Unidal, ma con l’assicurazione che fino al dicembre 1977 sarebbe rimasta operativa, bloccando quindi la cassa integrazione speciale per migliaia di lavoratori che risultavano in esubero. Con il nuovo accordo veniva invece applicata la legge 675 sugli esuberi di personale del 12 agosto 1977[9]. Secondo gli accordi la Sidalm rilevava completamente la Motta-Alemagna, con un’occupazione di circa 4 mila unità e con 4 stabilimenti di cui tre da rilevare dall’Unidal e uno da costruire nel napoletano. All’Unidal sarebbero invece rimasti gli stabilimenti di via Silva a Milano, di Napoli, di Segrate e i negozi urbani, che verranno poi acquisiti anch’essi dalla Sidalm[10].

Nonostante un certo rilancio dei marchi Motta e Alemagna e la crescita, seppur non estesa a tutti i comparti, del settore dolciario, la nuova società stentava a vivere, a causa anche dei vecchi debiti e difetti dell’Unidal. L’equilibrio economico, infatti, non fu mai raggiunto, anzi: le perdite di fatturato continuavano ad essere cospicue, come dimostrano ad esempio i 62 miliardi di passivo del 1985. Il 1983, invece, fu l’unico anno che la Sidalm coprì con un attivo, seppur limitato (poco più di 600 milioni di lire). Nel 1984, a seguito di una delibera dell’assemblea straordinaria della Sidalm del luglio 1983, venne presa la decisione di modificare ulteriormente gli assetti societari con la sottoscrizione diretta dell’IRI di una quota di capitale Sidalm per ricostituire il capitale stesso, che era stato ridotto per coprire le perdite del 1982, a 75 miliardi di lire, affidando poi la società alla Sme. Dalla prima metà degli anni Ottanta, quindi, iniziò un nuovo capitolo per il gruppo Motta-Alemagna, sempre all’interno delle partecipazioni statali. Questo nuovo mandato, secondo i soci, avrebbe comportato un risanamento più rapido dei costi aziendali, inserendosi anche nel progetto di creazione della Sme come holding alimentare dell’IRI. Nella relazione che chiudeva il bilancio del 1984 della Sidalm, un passivo di 47,4 miliardi di lire, il management Sme espresse il proprio giudizio sulle cause che avevano determinato quel risultato.

Più in particolare gli elementi che hanno portato a tale risultato sono da ricercare nell’acuirsi, nel corso del 1984, di alcune inefficienze strutturali della Società:

  • Appannamento e sovrapposizione dell’immagine dei marchi Motta e Alemagna;
  • Declino delle quote di mercato;
  • Mancanza di innovazione e sviluppo di nuovi prodotti;
  • Costi fissi di produzione e delle funzioni “centrali” molto elevati;
  • Costi di vendita e di distribuzione superiori alla media di settore;
  • Struttura produttiva rigida ed eccedente i fabbisogni;
  • Debolezza del management con particolare riferimento al marketing ed alla R&D;
  • Debolezza finanziaria aggravata dalla pesante esposizione debitoria in dollari.

[…] Peraltro, proprio nel corso del 1984 i principali concorrenti sia nel settore dei monodose da forno sia nel settore zuccheri hanno ulteriormente rafforzato la loro posizione sul mercato con significativi investimenti di marketing.[11]

Sempre nella stessa relazione assembleare vengono poi indicate le linee guida per il risanamento della Società, nella struttura organizzativa, creando divisioni societarie nell’ottica di “mercato-canale-consumatore”, inserendo un quadro dirigente più competente, in particolare nel settore commerciale, il miglioramento qualitativo dei prodotti esistenti e il lancio di nuovi prodotti.

Tale piano di ristrutturazione, presentato alle Organizzazioni Sindacali il 12 marzo scorso, mira a fornire una risposta di più largo respiro ai problemi strutturali della Società e a porre le premesse per un totale rilancio della Sidalm. […] Il piano prevede l’ottimizzazione dell’allocazione produttiva attraverso l’ampliamento ed il potenziamento dello stabilimento di S. Martino B.A. (VR), l’ampliamento, la razionalizzazione ed il potenziamento dello stabilimento di Cornaredo (MI), l’adeguamento degli impianti del reparto crostatine nello stabilimento di Caivano (NA), la chiusura dello stabilimento di Viale Corsica e Milano, la riorganizzazione degli enti centrali, la razionalizzazione delle strutture delle aree di vendita[12].

Ancora fusioni e ristrutturazioni (la Sidalm e l’Alivar)

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La gestione del management Sme fu altrettanto fallimentare. Il 1984, il primo anno che avrebbe dovuto beneficiare degli interventi elencati sopra, chiuse come si è visto con perdite record. Nonostante un aumento considerevole delle spese di marketing (quasi 20 miliardi di lire in più) e una nuova esplosione dei consumi del 1984, la Sidalm ricevette nuovamente duri colpi che fecero indietreggiare ancora le quote di mercato.

Nel 1986, la Sidalm venne incorporata nell’Alivar[13], in un disegno che avrebbe ristrutturato tutte le attività alimentari del Gruppo Sme.

Nel 1986, coerentemente agli indirizzi esposti nella relazione al bilancio del precedente esercizio, sono state portate a compimento le operazioni di riassetto delle partecipazioni del Gruppo, finalizzate all’ottenimento di strutture societarie ed operative incentrate su settori ed aree di attività omogenee; è stato, altresì, varato un nuovo schema organizzativo che, in relazione ai nuovi assetti, appare meglio in grado, sotto il profilo funzionale e strategico, di conseguire miglioramenti di efficienza e di cogliere le sinergie comuni ai diversi settori di presenza.[…]

Le operazioni più significative a riguardo sono state le seguenti:

  • L’ALIVAR, in data 18 settembre 1986, ha acquistato dall’IRI e dalla Sofin l’intero pacchetto azionario della Sidalm per un prezzo complessivo di 36.349 milioni di lire; successivamente l’assemblea dell’Alivar del 25 settembre ha deliberato la fusione, mediante incorporazione della Sidalm sulla base delle rispettive situazioni patrimoniali al 30 giugno 1986; nella stessa data l’assemblea Sidalm provvedeva ad assumere analoga deliberazione; infine, in data 3 novembre 1986 la Sidalm veniva incorporata nell’Alivar, in esecuzione delle citate delibere assembleari;
  • […] la SIREA (controllata al 100% dall’Autogrill) in data 14 maggio 1986 ha acquisito dalla Sidalm l’intero pacchetto della società Esco, costituito da n. 160.000 azioni del valore nominale unitario di lire 10.000. La cessione è stata effettuata al prezzo di lire 5.500 milioni ed ha comportato per la Sidalm, tenuto conto del valore di carico di lire 1.430 milioni, una plusvalenza di lire 4.070 milioni. La Esco, che gestisce i punti di vendita ad insegne Motta od Alemagna, potrà così usufruire dei benefici derivanti da una più stretta integrazione con le attività di ristorazione del Gruppo SME.[14]

ANDAMENTO DELLE QUOTE DI MERCATO DEI MARCHI MOTTA E ALEMAGNA DAL 1981 AL 1984[15]

1981

1982

1983

1984

Panettone

Motta

Alemagna

14,0

14,1

13,1

14,0

11,9

13,5

12,3

12,2

Pandoro

Motta

Alemagna

5,8

8,4

7,7

5,9

5,7

6,2

6,2

5,7

Colomba

Motta

Alemagna

13,8

15,7

13,3

15,5

13,3

15,3

13,8

16,5

Monodose da forno

Sidalm

-

22,8

19,2

17,2

Biscotti

Motta

4,4

3,4

3,7

2,4

Cioccolatini

Motta

Alemagna

5,4

7,7

4,2

6,5

4,5

5,5

4,6

6,1

Caramelle in stick

Sidalm

34,0

38,6

39,6

33,6

Ma ancora una volta i risultati ottenuti dalla nuova società sono estremamente deludenti. Il bilancio del 1988 dell’Alivar risulta avere un attivo di 8,6 miliardi di lire, ma questo dovuto al fatto che la divisione PAI (produttrice di snacks) venne ceduta in un primo momento ad un’altra società appositamente costituita dall’Alivar, e poi ne venne acquistato il 49% dalla PFI Italia S.r.l., società che era indirettamente controllata dalla Pepsico Inc. È in questo periodo, infatti, che l’Alivar cerca di muoversi nel mercato nazionale e internazionale attraverso alleanze e joint-venture, con le grandi multinazionali del settore alimentare, di cui Pepsico Inc. rappresentava solo una parte[16].

Le perdite, che continuano anche per gli anni seguenti, e anche per gli inizi degli anni Novanta, avrebbero poi portato la Sme, come si è visto, ad una progressiva privatizzazione dei propri marchi e delle proprie aziende. Nel 1993, l’IRI decise la vendita di Italgel e Gruppo Dolciario Italiano, che tra i vari marchi possedevano Motta, Alemagna, Gelati Motta, Antica Gelateria del Corso e La Valle degli Orti, alla multinazionale svizzera Nestlè.

Anche in questo quadro, l’incapacità di raccogliere la sfida al nuovo mercato sorto negli anni Ottanta, avrebbe visto importanti acquisizioni e partecipazioni di grandi multinazionali straniere, che già da tempo avevano apportato ristrutturazioni aziendali tali da poter affrontare un mercato sempre più concentrato e segmentato. Si ripete, nello specifico, ciò che era stato detto nella prima parte dell’articolo. La conduzione quasi familiare delle imprese private e la concezione che vedeva nella Sme un bacino di voti piuttosto che una vera e propria azienda, hanno portato (tranne alcuni esempi come Ferrero e Barilla) a una grande instabilità delle imprese del mercato alimentare italiano.

Non riuscendo a stare più al passo col repentino cambio non solo della produzione, ma soprattutto dei consumi e delle richieste dei consumatori (che aspiravano a prodotti qualitativamente elevati e a costi accessibili), molte imprese dovettero piegarsi alla potenza dei grandi gruppi internazionali. Questi ultimi non disponevano solamente di grandi capitali che permettevano l’acquisto di macchinari più sofisticati, ma possedevano capacità di marketing molto superiori rispetto ai loro concorrenti italiani[17]. I grandi gruppi internazionali, infatti, riuscivano a diversificare e segmentare la propria produzione in modo da seguire e alle volte anticipare i cambiamenti del mercato nazionale. L’Italia entra quindi in questo periodo nel vero mercato globale, più come terra di conquista che non come zona endogena di espansione. Si assiste perciò a quello che si potrebbe definire una seconda rivoluzione antropologica, oppure alla maturazione piena della prima, teorizzata e analizzata da Pasolini tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. I consumatori italiani, infatti, in questo periodo, entrano a pieno titolo nella definizione di consumatori postmoderni, e forse sono le loro richieste e le sollecitazioni a cui sono sottoposti dalle martellanti campagne pubblicitarie delle nuove proprietà multinazionali a determinare lo stravolgimento del panorama culturale e industriale italiano.

[Bibliografia]

Se vuoi leggere di più su come è stato scritto questo articolo, butta un occhio qui.

Note   (↵ returns to text)
  1. L. Sicca, Strategia d’impresa. La formazione di un gruppo italiano: la SME, ETAS Libri, Milano 1987.↵
  2. L. Sicca, Presentazione delle due aziende, in, A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa: il caso Motta-Alemagna, ETAS Libri, Milano 1991, pp. 7-8.↵
  3. «I fattori che, invece, avevano riguardato le singole aziende Motta e Alemagna consistevano nel forte assorbimento in organico fisso di forza lavoro fino ad allora stagionale. Infatti, […], nel 1974, in seguito a decisioni della magistratura che dichiarava illecito il lavoro stagionale e che obbligava quindi le aziende all’inquadramento di tutto il personale di questa categoria, gli organici delle due aziende avevano subìto forti incrementi.
    Le due aziende scontavano, inoltre, le conseguenze degli investimenti nei nuovi impianti di Cornaredo (Alemagna) e di Ferentino (Motta). Infatti, all’avvio dell’attività di questi nuovi stabilimenti, un irrigidimento dei sindacati aveva impedito che il trasferimento delle produzioni nei nuovi impianti si accompagnasse ad effettivi alleggerimenti della manodopera occupata nei vecchi stabilimenti, nei quali peraltro veniva meno la possibilità di un equilibrio tra le stagionalità delle produzioni, fattore alla base della logica di diversificazione produttiva delle due aziende.
    Un ulteriore fattore che incideva sui costi di mano d’opera era costituito dal fatto che, nelle due strutture aziendali, erano presenti alcune produzioni che venivano effettuate ancora con processi semi-artigianali, comportando di conseguenza livelli di produttività molto bassi». A. Perenze, La crisi di Motta e Alemagna, in, A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, pp. 22-23.↵
  4. Per una descrizione completa delle due ipotesi confrontare A. Perenze, La coscienza della crisi e la ristrutturazione, in A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, pp. 39-47.↵
  5. Il piano di ristrutturazione dell’Unidal, Appendice 8, in A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, p. 132.↵
  6.  Il piano di ristrutturazione dell’Unidal, Appendice 8, in A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, p. 137.↵
  7. A. Perenze, L’attuazione del piano di ristrutturazione, in A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, p. 53.↵
  8.  A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, p. 54.↵
  9. Gazzetta Ufficiale n. 243 del 07/09/1977.↵
  10. A. Perenze, L’attuazione del secondo piano di ristrutturazione, in A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, p. 69-72.↵
  11. Intervento del management SME all’assemblea di bilancio Sidalm del 31.12.1984.↵
  12. Intervento del management SME all’assemblea di bilancio Sidalm del 31.12.1984.↵
  13. Nata prima col nome di Alimont, abbreviazione di Montedison Alimentari, a seguito delle fusioni delle aziende alimentari che la Montecatini e la Edison acquisirono nei primi anni Sessanta dopo gli indennizzi statali ricevuti per la nazionalizzazione dell’energia elettrica, nel 1972, e ceduta nel 1974 alla SME che cambiò il nome in Alivar.↵
  14. Sme-Napoli, Relazioni e bilancio al 31 dicembre 1987, s.l. s.d. (1988).↵
  15. L. Sicca, Dalla nascita della Sidalm ai nostri giorni, in, A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, p. 79.↵
  16. L. Sicca, Dalla nascita della Sidalm ai nostri giorni, in A. Perenze, L. Sicca, Crisi e ristrutturazioni d’impresa, ETAS Libri, Milano 1991, pp. 80-90.↵
  17. Ci si riferisce in questo caso al marketing relazionale. Le imprese estere si accorsero molto prima che quelle italiane che il cosiddetto branding, e quindi il marketing relazionale sarebbe stato il futuro del mercato di massa. A riguardo confrontare Roberto Grandinetti, Reti di marketing: dal marketing delle merci al marketing delle relazioni, ETAS libri, Milano 1993.↵
    • Roberto Grandinetti, Reti di marketing: dal marketing delle merci al marketing delle relazioni, ETAS libri, Milano 1993.
    • Adele Perenze, Lucio Sicca, Crisi e ristrutturazioni di impresa. Il caso Motta-Alemagna, ETAS libri, Milano 1991.
    • Lucio Sicca, Strategia d’impresa. La formazione di un gruppo italiano: la SME, ETAS libri, Milano 1987.

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