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“La Grande Casa” di Nicole Krauss

Creato il 18 luglio 2011 da Sulromanzo

“La Grande Casa” di Nicole KraussIl nuovo romanzo di Nicole Krauss si intitola “La Grande Casa”, pubblicato da Guanda e tradotto da Federica Oddera.

Nicole Krauss è una scrittrice di grandissimo talento che è riuscita in pochi anni, dalla pubblicazione di “Un Uomo sulla soglia” (2002), sua prima opera narrativa, ad imporsi nel panorama letterario mondiale: ha pubblicato poesie e racconti su alcuni dei maggiori quotidiani statunitensi ed i suoi romanzi sono stati già tradotti in trentacinque lingue.

In questo lavoro ritroviamo tanti elementi che ricordano “La Storiadell’Amore”. In “La Grande Casa”, però, si ha quasi l’impressione di penetrare in maniera più profonda e decisa negli animi dei personaggi. Per esempio, nella prima pagina del romanzo in cui incontriamo una donna che soffre per amore. R (non viene detto il nome per esteso), infatti, si è trasferito ed ha deciso di troncare la loro relazione, convinto che quella sia la scelta giusta da fare e lasciando lei nella disperazione più profonda. Tutto questo condiviso con il lettore in una sola pagina, attraverso la narrazione in prima persona di una donna, Nadia, che scopriamo essere una scrittrice (nelle pagine successive ci parla dei suoi libri e del suo rapporto con la scrittura).

In crisi con il mondo a causa di R, dicevo. Una trentina di pagine più avanti, però, il dolore di Nadia è legato ad un’altra perdita importante nella sua vita. Infatti, si trova costretta a restituire a Leah Weisz, figlia del poeta Daniel Varsky, la scrivania che lui ha abbandonato, insieme ad altri mobili, venticinque anni prima. Nadia lo credeva ormai morto e si era abituata a quel mobile, forse senza rendersi effettivamente conto della sua importanza fino a quel momento.

Forse altri particolari mi sfuggirono, perché mentre Leah parlava mi ritrovai a lottare per accettare l’idea che stavo per cedere l’unico oggetto significativo nella mia vita di scrittrice, la sola incarnazione fisica di tutto quanto altrimenti era imponderabile e intangibile, a quella bambina, che magari ci si sarebbe seduta di quando in quando come di fronte a un altare paterno.” p 33)

La scrivania ha diciannove cassetti, uno dei quali rimane chiuso. È un oggetto particolare, che collega tutti i personaggi del romanzo e diventa il simbolo di ciascuno di essi. Racchiude i ricordi, il dolore, l’amore, quasi fosse uno specchio privilegiato sull’anima di chi la possiede. La scrivania, però, sembra anche voler essere un omaggio della Krauss a tanti fra quelli che l’hanno preceduta. Per esempio, si ipotizza che sia appartenuta a Garcia Lorca. Inoltre, simbolo della scrittura di e per Nadia, sembra quasi voler richiamare alla mente del lettore (o di questa lettrice, se preferite), “una Stanza tutta per sé” della scrittrice inglese Virginia Woolf, opera nella quale si incoraggiavano le donne a trovare uno spazio tutto per sé nel quale potersi dedicare all’arte.

La voce narrante del romanzo non è una sola: alcuni personaggi raccontano infatti in prima persona un pezzo della loro storia che, per certi versi, sembra quasi iniziare, o finire, nel momento in cui qualcuno bussa alla loro porta per chiedere la restituzione della scrivania. Questo momento sembra quasi rappresentare un’epifania (per dirla con Joyce), proprio come accade ad Arthur Bender, un professore universitario inglese che ha sposato Lotte Berg, una scrittrice fuggita dalla Germania nazista.

Se non è di troppo disturbo – a queste parole spinse lo sguardo al di là della mia figura, verso l’interno -, posso entrare?

Gli chiesi di cosa si trattava. Di una scrivania, disse Weisz.

Mi cedettero le ginocchia. Ero paralizzato, sicuro che potesse essere soltanto lui: l’uomo che Lotte aveva amato, nella cui ombra mi ero ritagliato una vita insieme a me.” (p 316)


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