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LA GROTTA di Giani Stuparich

Creato il 23 settembre 2014 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr
LA GROTTA di Giani Stuparich

Giani Stuparich (1891 – 1961) scrittore triestino, ci ha lasciato un’ampia produzione legata in buona parte alla sua città, al Carso (in cui combatté nella Grande Guerra), all’Istria. Con il racconto La grotta vinse nel 1948 il primo premio per l’Epica alle Olimpiadi di Londra.

“Andavano con passo gagliardo, con la sicurezza d’animo di quelli che si sentono in pochi ma uniti. Il ritmo delle sei scarpe ferrate faceva echeggiare le strade deserte”. Inizia così il racconto La grotta, letto nell’edizione Einaudi.

Delio, Renzo e Lucio progettavano da tempo di scendere lungo una grotta da loro scoperta. Si sono attrezzati per esplorarla. Ci vuole coraggio, ma anche preparazione. Ci troviamo nel Carso, quindi “a casa” dello scrittore Stuparich. Tra i tre giovani c’è affiatamento, ma anche una certa competizione. Lucio è piuttosto timido; i suoi amici invece appaiono più risoluti e determinati. Ma l’avventura diventa presto una tragedia; Delio e Renzo precipitano nel buio della grotta. Lucio è l’unico a salvarsi; sconvolto dal dramma, deve cercare aiuto. Il villaggio più vicino è molto lontano e il ragazzo è a piedi. Da qui in avanti il giovane è travolto dall’indifferenza delle persone che incontra. Il campionario di reazioni che trova è simile a quanto a volte si sente anche oggigiorno quando capita una disgrazia. Non c’è nessuna mobilitazione per cercare i due sfortunati ragazzi. Si decide che fino all’intervento dei pompieri non si potrà fare nulla. Questa scelta procura sollievo a tutti perché “salva” la domenica e giustifica l’inerzia e il disinteresse. La società distratta dagli impegni del giorno di festa trova in questo comodo atteggiamento una forte unione che mette insieme giovani e anziani. Meschinità ed egoismo dominano. D’altronde è domenica e nessuno ha voglia di occuparsi di cose tragiche. Solo un’insegnante permette al ragazzo di telefonare ai pompieri. Il resto della giornata il superstite lo passa in una piazza, in attesa; ha corso, ha brigato, ha lottato duramente per scuotere la gente. Ora non può più fare nulla. Resta in disparte, mentre dalle case proviene il rumore delle posate e delle chiacchiere del pranzo.

Diversi sono gli spunti di questo racconto. Davanti a un evento luttuoso che riguarda gli altri e che richiede un’impegnativa mobilitazione, è facile celarsi dietro frasi di rito come “Se la sono cercata”, oppure dietro il paravento dell’autorità cui si demanda l’effettivo intervento, in attesa del quale non si fa niente. Solo la maestra è solidale col ragazzo che in quella domenica rappresenta “il portatore di tragedia” con cui non si vuole avere a che fare, anteponendo la propria tranquillità a tutto. L’unico risvolto positivo è che Lucio in quella giornata è cresciuto; ora ha perfino una ciocca bianca, è maturato, è un adulto, ha abbandonato la timidezza e si è battuto strenuamente da solo per cercare aiuto. Ha manifestato un carattere determinato che prima non aveva. Il dolore porta conoscenza, come dicevano gli Antichi Greci.

La sua iniziazione alla vita è stata triste e dura: “Il cuore gli picchiava alle pareti del petto come il pendolo in una cassa vuota”. Nei suoi pensieri, mentre in piazza attende l’arrivo dei pompieri, c’è la riflessione sul suo futuro. Dovrà in un certo senso spiegare perché lui è ancora vivo a differenza dei compagni e per quali ragioni oscure il destino lo ha salvato. Questo aspetto si lega alla vita di Giani Stuparich, volontario nella Grande Guerra in cui perse l’amico Scipio Slataper e l’amato fratello Carlo, suicidatosi nel 1916 sul Monte Cengio per non essere catturato dagli Austriaci. Dei tre giovani triestini, volontari di guerra e collaboratori della Voce di Prezzolini, rimase solo Giani; come Lucio nel racconto, sentì probabilmente anche lui l’esigenza di dover giustificare, dopo il conflitto, il fatto di essere tornato a casa da solo, provando il fardello del sopravvissuto che può essere alleggerito, forse, soltanto dal tempo. Lo scrittore farà ricorso anche alle armi del pensiero e della letteratura, scrivendo in ricordo di Carlo, I Colloqui con mio fratello.


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