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La grottesca storia delle distillerie e di altri scempi editoriali

Creato il 08 gennaio 2016 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
E così è giunto il mio turno di parlare di quello scherzo di cattivo gusto che sono i Distillati. Per coloro che ancora fossero nello stato felice di inconsapevolezza dell'argomento in questione, spiego brevemente di cosa si tratti, prima di lanciarmi nella mia prima catilinaria dell'anno. I Distillati sono l'ultima trovata editoriale che maschera uno scempio ai danni della letteratura dietro la filantropica intenzione di invogliare a leggere con la sponsorizzazione della brevità. Sono ancora troppo polemica, scusate. In termini più diplomatici, si tratta di un'iniziativa della casa editrice Centauria che, come recita la pubblicità martellante sui vari media, promette il piacere della lettura con una riduzione del numero delle pagine di alcuni best-seller e una modica spesa di 3,90 euro, così da offrire un prodotto editoriale da assaporare nel tempo di un film.
 

La grottesca storia delle distillerie e di altri scempi editoriali

Il libro dimezzato ricercato dai protagonisti di
Pomi d'ottone e manici di scopa

 Ho aspettato qualche giorno prima di esplodere, cercando di farmi un'idea più completa del fenomeno e delle sue implicazioni, di sondare il terreno delle opinioni dei cosiddetti 'lettori forti' (la sensazione di essere bastian contrario è sempre lì che alita sul collo) e, non da ultimo, di cercare un lato positivo in questa operazione, giusto per iniziare l'anno con il proposito di essere meno acida su alcuni temi pungenti.
Il fatto è che di giustificazioni a questa cosa proprio non ne ho trovate, e i Distillati si sono confermati quello che sembravano al primo risuonare del loro raggelante slogan: una grottesca operazione di marketing che con la cultura e con il piacere di godere la lettura non ha nulla a che vedere.
Sulla questione si sono espresse prima e meglio di me alcune voci che godono, nella blogosfera, di una grande attenzione e stima da parte mia, da Dusty pages in Wonderland a I dolori della giovane libraia, da Del furore di aver libri a Macaronea (che ha offerto una visione didattica del problema che non poteva non trovarmi concorde). Tengo però a ribadire la mia assoluta contrarietà a quelle soluzioni facili e allettanti che pensano di rendere più accessibile la cultura (in particolare quella del libro) attraverso il suo annientamento. Ho espresso più volte questo concetto in passato, sottolineando come i mezzi di semplificazione e abbellimento celino una minaccia che nella nostra società è sempre più presente: quella della superficialità. La cultura, l'istruzione, il libro possono essere certamente presentati in chiave leggera o divertente (e tante sono le iniziative di successo che lo dimostrano), ma lo strumento 'facilità' non può essere usato diversamente da un medium, e non dovrebbe diventare la norma. Insomma, si possono approntare delle soluzioni per avvicinarsi a ciò che si presenta come complesso (come fanno, ad esempio, le riduzioni dei classici per bambini e ragazzi), ma della complessità dobbiamo avere la chiave, e non fuggire davanti ad essa con un contentino. Ridurre un libro con la pretesa di renderne la lettura più scorrevole è un po'come imparare a memoria la parafrasi di un testo poetico e credere di conoscere così la poesia stessa. Il primo aspetto del problema, dunque, è l'idea di fondo secondo cui il libro è uno strumento lungo, noioso e quindi minaccioso da aggirare con qualche giochetto, privandosi dell'approccio diretto che invita alla riflessione, alla pazienza, al nutrimento dello spirito critico. Se si vuole semplicemente vantarsi di aver letto un certo libro, comunque, basta affidarsi ai riassunti di Wikipedia. Il lettore di Distillati, come il divoratore di parafrasi staccate dal loro contesto, si riduce a quell'individuo dalle scarse pretese e dalla scarsa fiducia nelle proprie capacità intellettive che risponde perfettamente alle esigenze di una società che quelle pretese e quella fiducia non è disposta a soddisfare.
D'altra parte, però, c'è un secondo campanello d'allarme, che è poi quello direttamente connesso allo slogan sul piacere della lettura: «Abbiamo ridotto le pagine, non il piacere». Ma che razza di piacere si cerca nella lettura, se questa diventa una sorta di ricatto cui cedere sulla base di un prezzo o di una mole di pagine allettanti perché minori? Innanzitutto si dovrebbe smettere di condannare i non lettori e di sentirsi in dovere di sedurli con queste moine, perché leggere sarà per molti di noi una gioia immensa, ma non possiamo certo ergerci ad evangelizzatori di libri, per quanto i benefici della lettura siano evidenti. In secondo luogo vorrei proprio capire come si possa mantenere il piacere della lettura sfrondando un volume, riducendo la trama e i dialoghi all'osso: se leggere, oltre che un'occasione di arricchimento critico e lessicale, è un passatempo gradevole, perché mai dovremmo richiedere di leggere meno? Della serie: il cioccolato è così buono che di una stecca ti basta un quadratino.  

La grottesca storia delle distillerie e di altri scempi editoriali

I classici rivisitati sulla scia di Twilight, After e compagnia bella

 Peraltro trovo curioso che i libri sfrondati siano testi già amati dal grande pubblico dei lettori (anche occasionali) e che alcuni siano stati approvati dagli stessi autori (come si deve supporre nel caso di Margaret Mazzantini, essendo in vita e proprietaria dei diritti di Venuto al mondo)... se il libro è equivalente o allettante in versione smilza, perché non lo hanno scritto direttamente in duecento pagine? E va bene che anche fra gli Antichi circolavano riassunti di opere maggiori (le cosiddette epitomi), ma accadeva per evidenti problemi di circolazione dei testi, dal costo della loro produzione a quello della disponibilità di supporti. Dalla filologia, che fin dalle origini ha portato all'accurata ricostruzione dei testi e al loro arricchimento, siamo approdati all'anti-filologia.
Ampliando lo sguardo, ci troviamo davanti un mercato editoriale che, prima dei Distillati, ha inventato i Flipback, con l'abbaglio nel formato impugnabile con una sola mano che dava un'idea di brevità e di tendenza smart, le orripilanti copertine dei grandi classici travestiti da young-adult con profusione di petti nudi per renderli più friendly (contrariamente alle mie abitudini, uso i termini inglesi per evidenziarne l'uso più grottesco possibile) ai giovanissimi e certi titoli affibbiati ai grandi classici, con il De vita beata di Seneca trasformato in L'arte di essere felici, stile guru.
Si tratta di tante trovate che, più che promuovere la lettura, ne hanno prodotto una fruizione distorta, facendo leva sulla superficialità più che sulla qualità, il tutto sperando di attrarre chi ha pochissima (se non proprio nessuna) voglia di leggere e di godere del libro per quello che è: i Distillati, come gli altri casi citati, mirano a suscitare le stesse reazioni dei lucchetti degli adolescenti innamorati o delle varie mode dei braccialetti fluo o delle insegne Keep-calm, presentandosi come fenomeni di massa al di sotto dei quali non c'è una reale adesione, ma solo l'adeguamento ad un 'tipo', in questo caso quello del lettore.
Ma tutto ciò sarebbe anche etichettabile come la sciocchezza del momento, se non fosse che quegli stessi editori che si impegnano tanto a calamitare chi rifiuta il loro lavoro perdono contemporaneamente l'occasione di investire in favore dei lettori forti, quelli che si fiondano in libreria non perché punzecchiati da una novità della grafica ma perché smaniano di cercare tra gli scaffali una lettura creata per loro, sia essa impegnata o di semplice svago. Il lettore forte dovrebbe essere confortato da un editore che lo fa sentire il destinatario del suo impegno e non costretto a zigzagare fra le pile di pubblicazioni di massa pensate per abbagliare chi, più che una lettura, ricerca la moda del momento. Non intendo dire che libri così marcatamente commerciali vadano ritirati dai negozi o che coloro che le ricercano siano da bollare come eretici, ma semplicemente che si dovrebbe dedicare qualche attenzione in più a chi il libro lo cerca, anziché tirarli addosso a chi può farne a meno. E con questo mi riferisco anche ad una questione di prezzo: chi legge molto è costretto a confrontarsi con prodotti editoriali dai costi esorbitanti, sia che si rivolga ai grandi editori, sia che prediliga quelli indipendenti; ormai un volume in formato tascabile raramente scende sotto i 10 euro e molti si aggirano per tutto il tempo della loro storia editoriale fra i 16 e i 20 euro, senza prospettive di una discesa dei prezzi, per non parlare dei libri-sottiletta che fanno uscire dal portafogli otto euro per cinquanta pagine. Certo, esistono le biblioteche, ma, dato che di mercato si stava parlando, torno a ribadire che il mercato dovrebbe puntare sui suoi principali fruitori. 

La grottesca storia delle distillerie e di altri scempi editoriali

"Racconta solo a grandi linee"

 Staremo a vedere quanto impiegano questi Distillati a sparire dalla scena, come è ovvio che debba accadere per il modo in cui sono stati concepiti e per la funzione sociale e mediatica che possano svolgere. Nel frattempo speriamo che non producano più mostri di quelli che il potere dei libri può arginare, auspicando che, prima o poi, gli editori si ricordino anche di chi, più che sfrondare i libri, vorrebbe che le loro pagine fossero infinite.
C.M.Articolo originale di Athenae Noctua. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore e senza citare la fonte.

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