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La guerra verbale tra Israele e Turchia pone già fine allo “spirito di Parigi”

Creato il 21 gennaio 2015 da Alessandroronga @alexronga

Bandiere di Turchia e IsraeleE’durato poco lo “spirito di Parigi”, giusto il tempo di mostrarsi alle telecamere alla Marche Republicaine in memoria delle vittime del terrorismo jihadista che il 7, l’8 e il 9 gennaio scorsi ha sconvolto la vita frenetica della capitale francese. Ed in effetti era da utopisti pensare che marciare insieme in ricordo dei giornalisti di Charlie Hebdo, dei clienti del supermercato kosher e dei poliziotti uccisi avrebbe potuto cancellare anni di tensioni e accuse tra i leader mondiali. Eppure, vedendo marciare uniti verso la medesima direzione il premier Benjamin Netanyahu, il presidente palestinese Abu Mazen e il premier turco Ahmet Davutoglu, chi non ha – anche se per un istante – pensato che in quel momento la Storia potesse cambiare? Ma si sa che le utopie esistono perchè esistono leader politici che le rendono tali.

Il via alla querelle verbale l’ha dato il Primo Ministro turco, che, ad appena due giorni dal grande evento di Parigi, in conferenza stampa ha fatto un parallelismo tra gli attacchi islamici di Parigi e l’offensiva israeliana contro Gaza della scorsa estate, esprimendo condanna «per crimini contro l’umanità» commessi dai fratelli Kouachi e del loro sodale Coulibaly, ma anche dal premier israeliano Netanyahu. «Poichè il massacro di Parigi commesso da terroristi è un crimine contro l’umanità, allora ha commesso crimini contro l’umanità anche Netanyahu, in qualità di capo di un governo che ha ucciso bambini che giocavano in spiaggia durante il bombardamento di Gaza, che ha distrutto migliaia di case e che ha massacrato nostri cittadini in acque internazionali a bordo di una nave carica di aiuti umanitari (riferimento all’attacco israeliano del 2010 al battello turco “Mavi Marmara”, facente parte della Freedom Flotilla impegnata a trasportare aiuti a Gaza, in cui morirono nove cittadini turchi, ndr)».

Una dichiarazione che rischia di innalzare ulteriormente la tensione tra le due potenze militari dell’area mediorientale, viste anche le recenti tensioni tra Israele e l’ANP a proposito della denuncia per “crimini di guerra” presentata da Abu Mazen presso la Corte Penale dell’Aja, da cui è scaturita un’indagine preliminare proprio sui bombardamenti israeliani su Gaza del giugno scorso. Indagine che il ministro degli Esteri di Tel Aviv Avigdor Lieberman ha bollato senza mezzi termini come «scandalosa».

Ma Davutoglu ha avuto parole dure anche nei confronti nel numero speciale di Charlie Hebdo pubblicato la scorsa settimana, che ritraeva in copertina un Maometto piangente che mostra un cartello con su scritto “Je suis Charlie”: «La pubblicazione di una tale caricatura è una provocazione, non possiamo accettare insulti al Profeta». E in occasione dell’uscita della rivista satirica – riporta la Reuters – un tribunale turco ha disposto il blocco degli accessi a tutti i siti web che riportavano quell’immagine di copertina, per non ben specificati motivi di ordine pubblico.

Le parole del premier turco hanno fatto eco a quelle del presidente Recep Tayyip Erdogan, che all’indomani della Marche Republicaine aveva dichiarato di aver fatto fatica a capire come Netanyahu avesse osato parteciparvi: «Dovrebbe dar conto prima dei bambini e delle donne che ha ucciso».
La risposta di Netanyahu non si era fatta attendere, arrivata attraverso una serie di tweet, in cui il premier israeliano ha bollato come «vergognosi» gli attacchi di Erdogan, esortando la comunità internazionale a prenderne le distanze, ma esprimendo anche sorpresa per l’assenza di una condanna di quelle affermazioni.

Molto più dura la replica del ministro Lieberman, che in una nota ha tacciato Erdogan di essere «un bullo antisemita», ma ha criticato anche «il silenzio politically correct dell’Europa dinanzi a queste accuse, che ci riportano ad un clima da Anni Trenta». Frase a cui Erdogan ha risposto altrettanto duramente, suggerendo a Tel Aviv di fermare «la sua politica aggressiva e razzista, invece di attaccare gli altri nascondendosi dietro l’antisemitismo».


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