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«La laicità non è irreligiosità», intellettuali respingono il fondamentalismo

Creato il 17 novembre 2012 da Uccronline

«La laicità non è irreligiosità», intellettuali respingono il fondamentalismoDa due anni a questa parte numerose sono state le prese di posizioni di intellettuali laici contro i cosiddetti “new atheist”, ovvero gli autori, e i loro devoti, dei numerosi libelli apologetici dell’ateismo che hanno riempito le librerie dal 2004. Parliamo di Sam Harris, Richard Dawkins, Daniel Dennett, PZ Myers, Christopher Hitchens, e in Italia il “bollito” (boiled) Piergiorgio Odifreddi.

Per colpa di questi autori il dialogo tra credenti e non credenti si è fortemente incrinato, l’ateismo si è incattivito. Oggi, secondo le parole del sociologo laico Frank Furedi, esponente di primo piano della British Humanist Association, «il nuovo ateismo si è trasformato non solo in una religione laica, ma in una religione secolare fortemente intollerante e dogmatica». Secondo il filosofo Michael Ruse, non credente e docente presso la Florida State University, «l’umanesimo, nella sua forma più virulenta, sta cercando di fare della scienza una religione. E’ inondato da un intollerante entusiasmo, vi è quasi un isterico ripudio della religione». Lo scrittore inglese Alain De Botton è molto impegnato nel voler celebrare un “nuovo ateismo”, come un antidoto«all’aggressivo e distruttivo approccio di Dawkins alla miscredenza». Purtroppo, ha continuato, «a causa di Richard Dawkins e Christopher Hitchens, l’ateismo è diventato noto solo come una forza distruttiva».

Grazie all’attività di quest’ultimo si inizia finalmente a parlare di un “laicismo soft”, cioè «un atteggiamento tollerante e anche interessato alla varietà delle pratiche religiose, e mantiene un tono di voce impegnato ed equo» secondo la definizione dell’ateo moderato Charles Taylor.

Recentemente sono apparsi tre articoli molto interessanti proprio su questo, in cui i tre autori hanno a loro volta preso le distanze da quel che definiscono “l’ateismo anti-teista”. Il primo è a firma del docente della Georgetown University, Jacques Berlinerblau, il quale ha ottimamente spiegato che «la laicità è la separazione tra Stato e Chiesa, non l’incredulità o l’ateismo. La laicità americana ha perso il controllo della sua identità e immagine, perché l’equazione laicità = ateismo sta rapidamente guadagnando quote di mercato». Purtroppo questo è accaduto perché «i “new atheist” hanno prodotto un misto di arti marziali per assalire la religione in generale. hanno allegramente (e catastroficamente) messo tutti i non credenti contro tutti i credenti». Questo non è un discorso retorico, sappiamo infatti che il filosofo Sam Harris ha scritto: «i religiosi moderati sono in gran parte responsabili dei conflitti religiosi nel nostro mondo, perché le loro convinzioni forniscono il contesto in cui la violenza religiosa può essere distruttiva» (The End of Faith, Norton & Co.  2004). Lo stesso ha affermto Richard Dawkins, in “The God Delusion”: «la fede religiosa, anche lieve e moderata, contribuisce a fornire il clima di fede estremista che fiorisce in modo naturale». Per Berlinerblau questo è significativo: «una scuola di pensiero non riesce a distinguere tra un membro dei talebani che decapita una giornalista e un metodista che serve alla mensa per i poveri di Cincinnati non è pronta a prendere decisioni politiche che derivano dal bene del secolarismo». Ha quindi concluso con un excursus sull’origine della laicità, attribuita a George Jacob Holyoake , il quale «ha omesso qualsiasi riferimento all’ateismo nella sua definizione di laicità».

Pochi giorni dopo è apparso un altro articolo, a firma di Faiza Rahman, nel quale si è ribadito lo stesso concetto: «è ’importante capire che il secolarismo e l’ateismo hanno poco in comune». La laicità, secondo l’autrice, «garantisce la tolleranza e la convivenza di tutte le morali religiose. Per esempio, l’uso di un cristiano dell’alcol deve essere tollerato e rispettato dai musulmani, i cui editti religiosi dichiarare l’alcol illegale nella maggior parte dei casi. Così, la laicità può essere intesa come un concetto che dà respiro a tutte le credenze». Perciò la laicità dev’essere considerata «lontana dall’essere qualsiasi tipo di movimento ‘evangelista’ gestito dagli atei».

Per ultimo segnaliamo l’interessante riflessione di Chris Stedman, responsabile del Journal of Inter-Religious Dialogue il quale -non credente- ha raccontato la sua scioccante esperienza da persona impegnata nel dialogo interreligioso con il “movimento ateo”, partecipando ai loro eventi, nei quali purtroppo «la religione e le persone religiose sono state sonoramente derise, screditate, e negate.  Ero arrivato sperando di trovare una comunità legata da ideali etici e umanitari. Invece, mi sono sentito isolatodolorosamente scoraggiato», ha scritto. Agli eventi privati, con l’intento di dialogare personalmente con i membri dell’ateismo militante, è andata ancora peggio: appena ha esposto le sue opinioni moderate sul dialogo tra fede e non fede, ha descritto Stedman, è stato subito etichettato come «un non vero ateo. Abbiamo un nome per persone come te: sei un ‘faitheist’ » (in Italia -per tentare un’equiparazione- sarebbe stato disprezzato come “ateo devoto”). Una donna, di età molto avanzata come tutti i partecipanti, lo ha presto zittito e allontanato affermando: «Noi abbiamo una prospettiva superiore, tutti gli altri sono perdenti», mimando di schiacciare con la mano una zanzara invisibile.

Il giorno dopo Stedman è stato invitato al Loyola University’s Institute a tenere una lezione ad un programma di formazioni di sacerdoti e religiosi cattolici. Subito si è accorto della differenza, secondo quanto ha raccontato: «erano veramente (e comprensibilmente) curiosi del mio ateismo. Seduto in classe il giorno dopo del mio maldestro tentativo di ricerca della comunità laica, mi sono reso conto che mi sentivo più a casa con i miei colleghi religiosi che con gli atei del giorno prima». E ancora: «queste persone credevano in Dio, ritenevano le loro ragioni fondate ma non solo era tolleranti verso le mie convinzioni, ma mi hanno abbracciato con entusiasmo, spronandomi». Anche lui ha indicato come responsabili di questa aggressività ateista i vari autori citati all’inizio dell’articolo, «non c’è da meravigliarsi che molti nella comunità organizzata atea ne seguano l’esempio, senza distinzione tra tutti i credenti e condannandoli come un blocco uniforme». Essi «sono impegnati in un monologo, invece del dialogo. Anche io mi sono reso conto ad un certo punto di essere così impegnato a parlare che non stavo ascoltando. Trattavo la religione come un concetto, invece di parlare con persone che realmente hanno vissuto vite religiose. Quando ho iniziato ad ascoltare ho visto che il mio approccio alla religione era distorto e stereotipato». E concludendo: «l’ateismo reazionario che si fissa sul fare proclami antireligiosi, che individua le vite religiose degli altri come il suo nemico numero 1, è tossico, mal diretto, e dispendioso».


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