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“La maestra supplente” di Antonino Di Giorgio: il romanzo postumo di uno degli ultimi grandi intellettuali del Novecento

Creato il 22 novembre 2015 da Alessiamocci

“Così, nell’insieme, quei rotti dialoghi non rivelavano una ragazza intelligente, se, come Sacchini riteneva esemplando su di sé, l’intelligenza contiene sempre una qualche tendenza alla contemplazione e all’astrazione e una certa ricchezza di sentimento; mostravano invece una fuggiasca, una donna distratta che dappertutto è solo di passaggio, una che mai si sarebbe seduta e avrebbe guardato attorno”.

“La maestra supplente” di Antonino Di Giorgio (1928-2000), pubblicato nell’agosto del 2015 da Ianieri Edizioni nella collana Forsythia, è un romanzo inedito della fine degli anni Sessanta, rinvenuto nell’archivio dell’abitazione dell’autore a Casoli, in provincia di Chieti. Grazie alla lungimirante intuizione della casa editrice e alla volontà dei familiari che, in maniera sinergica, si sono prodigati affinché quest’opera venisse data alle stampe, chi non conosceva questo scrittore ha avuto modo di farlo. E menomale, perché Antonino Di Giorgio si è sempre dedicato, nei suoi scritti, ad analizzare la condizione umana, attraverso una vasta gamma di riflessioni che la penna elegante è riuscita a trasformare in una lettura intima e suggestiva, da cogliere nella sua totalità.

L’opera parla del maestro elementare Sacchini, quarantasettenne, colto da una vera e propria infatuazione all’arrivo nella sua scuola di Anna, una supplente ventenne. Questo sentimento lo sovrasta e lo mette in crisi, facendolo dubitare di tutto.

Sebbene narrato attraverso una prosa ricca e raffinata, che evoca scrittori di altri tempi, il tema dell’uomo giunto nel mezzo della vita, che si volta e fa un bilancio di un passato sempre più lontano e avverte un futuro che incombe e che lo troverà inadeguato, è sempre attuale. Sacchini, che è marito e padre, vive una vera e propria pulsione emotiva che lo porta a condurre un lungo viaggio nella sua stessa psiche. Anna è una giovane donna che Sacchini riconosce come del tutto “diversa da sé”, e diventa un espediente per rimpiangere la vita passata e le occasioni perdute.

Il maestro Sacchini non s’innamora di Anna in quanto tale, bensì per come lei lo fa sentire: molto intelligente ed ancora influente. Egli infatti, temendo di non essere all’altezza di quel “mondo della giovinezza” per cui prova nostalgia e che Anna rappresenta, cambia continuamente opinione sulla ragazza, quasi a voler dimostrare a se stesso che non valga la pena “lanciarsi” in una simile impresa. Preferisce sminuirla e pensare che ella non meriti il suo amore – cercherà in ogni modo di testarne l’intelligenza, mettendola continuamente alla prova – piuttosto che ammettere che Anna non sia interessata a lui.

Attraversava la vita come una pellegrina, incurante e risoluta ma senza fede, diretta a qualche sua banale città santa confusamente immaginata”.

La ragazza, dal canto suo, considera Sacchini soltanto un “maestro”, a cui lei, giovane insegnante di umili origini e appena uscita dalle scuole magistrali nonché priva di ogni esperienza, si appella in continuazione per dei consigli e potere così svolgere al meglio l’incarico che le è stato assegnato.

Piacere o non piacere ad Anna – punto che per altro Sacchini oserà chiarire solo alla fine – diventa per lui una questione di principio, perché vorrebbe dire piacere a se stesso e potersi accettare per quello che è.

In verità lui, valeva: era la vita, la maniera banale in cui era stato costretto a vivere che gli aveva fatto lentamente perdere quota. Col passare degli anni quell’esistenza grigia lo aveva schiacciato ed aveva finito per assegnarli un posto che egli sentiva non suo. Egli in sé valeva, ma non c’era nel mondo esterno fatto alcuno che gli altri potessero attribuirgli come sicura manifestazione del suo valore. Questo divario tra quel molto che uno sente intimamente di essere e quel poco di cui il mondo può testimoniare costituisce, specie quando il divario esiste davvero, l’unico e autentico motivo d’infelicità di molte persone”.

Anna diventa quindi la sua “tabula rasa” sulla quale imprimere tante nozioni. Lui, così intelligente ma ormai attempato; lei così ricca di tempo e di possibilità che andrebbero forgiate.

A questo autore, dalla scrittura fluida e regale che tanto ricorda quella dei grandi maestri del Novecento, forse è stato dato poco spazio: sicuramente meno di quanto avrebbe meritato. Il suo stile impeccabile, ammirato da Ennio Flaiano, ha fatto de “La maestra supplente” un piccolo capolavoro nel quale riconoscersi oppure confrontarsi. Un microcosmo, in cui noi, nostalgici del passato e della buona lettura, ci possiamo rifugiare.

Written by Cristina Biolcati


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