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La malattia del ferro

Creato il 01 aprile 2011 da Valentediffidente
La malattia del ferroRicordo ancora il senso di libertà provato nel guardare fuori e vedere solo mare. Ogni volta uno spettacolo nuovo con la luna che si spezzettava in mille scaglie di luce sulla tranquilla schiena di quella gigantesca pozza d'acqua. Ma anche quando il gigante era furioso lo spettacolo non mancava e sentirlo inveire alzando onde gigantesche era molto istruttivo. Tutti dovrebbero trovarsi in mezzo ad un mare incattivito, aiuta a ricordarsi che la fragilità umana ci rende piccoli e inutili di fronte alla potenza della natura. Il grido dei gabbiani che si poggiavano sulle paratie a prua e la discreta compagnia dei delfini, che non ho mai capito perché, ti aiutavano a sentirti più leggero. In lontananza il sole esplodere di luci e colori, mentre lentamente sussurrava addio al giorno finito. E colpi di vento sul viso ad asciugare lacrime ancor prima che potessero manifestarsi e brividi di freddo che troppo spesso eravamo abituati a trasformare in sorrisi per nascondere agli sconosciuti la malinconia di casa. E poi sguardi e occhi persi nella scia acquosa del mare e parole in mille lingue. Così tante lingue che alla fine non senti più la differenza tra una e l'altra e impari a espressioni. Quante esperienze, sensazioni e ricordi condivisi con le onde che sbattevano all'esterno della cabina. Inutile spiegare se non l'hai vissuto. Inutile dirti che tutto ciò lo porterai dentro per sempre e che spesso, quando le mura dei palazzi ti intrappolano, o la vista è bloccata dalle montagne, la malinconia ti esplode in bocca e improvvisamente la terra ferma, tutta quella stabilità e sicurezza, è molto peggio del ruggito del mare agitato che ti faceva mettere il materasso in terra o vomitare continuamente. Quella volta tornando da Alessandria furono 16 ore di mare terribile, stomaco in subbuglio e mal di testa. Tutti seduti nel corridoio del Deck B a tenerci compagnia. Un intero mondo, argentini brasiliani italiani filippini portoghesi uruguagi americani canadesi, a ridere insieme nonostante la nausea e un po' di timore. A raccontarsi vite che sembrano una più pazza dell'altra e la tua, che non ti sembrava normale, viene rivista con rinata coscienza. Poi capita di amarsi, più per colmare le distanze e sfumare la malinconia, che per reale sentimento. Poi si sbarca. Fine contratto. Ci si chiama per qualche settimana e la vita riprende il suo viaggio. Una vita di amicizie profondissime ma, il più delle volte, destinate a perdersi nella distanza delle miglia marine.Negli occhi conservo lo splendore del Nord Africa il lunedì e la magia Turca del giovedì. Ho ancora addosso come cicatrici tutto quello che ho visto, tutto quello ancora da vedere. Rimbomba nelle orecchie la domanda più frequente - tu da dove vieni? - e come potevi non rispondere con un poetico - da molti posti diversi?Ricordo con forza vivida il momento prima di addormentarmi, quando guardavo la tua fotografia appesa vicino al letto, accompagnando un bacio con le mani.
Eccomi qui ora. Lontano da tutto quello che è passato. Mi capita ancora, però, che nel sonno mi sembra ancora di sentire il frusciare dell'onda vicino al mio letto. Sono le notti che non riesco più ad addormentarmi ed allora fantastico su quale porto toccherò all'indomani. Mari del Nord o mar Nero? Non importa basta che ci sia vita, nuove magnificenze delle quali i miei occhi si possano nutrire, nuove parole di lingue improbabili e chi mi sia possibile di impararne una di più.
E' per questo che spesso mi senti distratto e rispondo in maniera confusa. Sto tenendo le tue mani mentre passeggiamo per le vie del centro. Ti ascolto - oh, lo giuro che ti sto ascoltando - ma una parte della mia testa sta ricostruendo intorno a sé il centro di Malaga, un parte del Palazzo Topkapi e quel miliardodimiliardi di cose che non ho ancora mangiato con gli occhi.

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