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La masturbazione è la cura

Creato il 11 febbraio 2014 da Lundici @lundici_it
piscina-notteStatale 106 in Calabria.

Statale 106 in Calabria.

Il vento scorreva velocemente, infrangendosi delicatamente su Dave, con le mani strette sui bordi laccati di nero di un portapacchi di un motorino scoppiettante, lanciato su di una statale calabrese, tra campagne di arance, sotto un cielo d’azzurro dipinto.

Abbassò lo sguardo, arreso all’aria tagliente. L’asfalto scorreva, sotto i suoi piedi, dandogli l’impressione di guardare le stelle, alla velocità della luce, dietro l’oblò di una navicella spaziale, persa nel vuoto dell’universo. Con le mani cercava di stringere quelle strisce bianche irraggiungibili. La realtà era troppo seria.

Correvano, Dave e Francesco, nel breve momento di pausa lavoro, in cerca d’alcool per la sera. Ogni tanto una festa per staccare.

Erano fotografi, fotografi di un villaggio calabrese. Ogni giorno sopportavano clienti che di cliente mostravano poco, ben più simili a evasi da zoo, uomini di Neanderthal come espressioni e a cinghiali come atteggiamenti. Odiavano l’uomo in vacanza, tutto gli era dovuto, tutto gli era concesso.

Scorrazzavano su una statale mal ridotta, in cerca d’alcool, unica fonte di relax.

Le macchine li sorpassano, rendendo il loro bolide un piccolo oggetto in implosione sugli specchietti retrovisori.

Arrivarono in paesino. Le balle di fieno facevano la capriola sulle vie. Loro due cowboy nel vecchio West.

Primo negozietto aperto. Una bottiglia di vodka per divertirsi, una di rum per dimenticare, una di birra per digerire e tabacco per la settimana. Fumatori per noia. Pagarono, chiudendo la porta del negozietto facendo gemere il piccolo campanellino sulla maniglia. Accesero il motorino, gli montarono sopra come fosse un pony. Partirono.

Ancora un’ora, sessanta inutili minuti di quiete mal sfruttata. La strada un tappeto grigio per star di villaggio al tramonto della loro pazienza.

Si fermarono a casa. Il pony addormentato contro il muro mal messo. Le chiavi fremevano nella tasca dei pantaloni, eccitandosi, ritte, nel buco della serratura della loro casa.

Dave andò in camera, tenendo sulle spalle il peso di mille pensieri. Si buttò sul letto, scosso dalla violenza dei dubbi e delle ansie del suo debole e timido inconscio.

Colonna sonora.

Colonna sonora.

Le note aspre di Medicine dei We Were Promised Jetpacks rimbalzavano sui muri della stanza, come mosche dispettose. Il cellulare vibrò, risvegliato dalla chiamata dei suoi genitori dall’altra parte del paese. Rispose senza entusiasmo.

Tra i tagli dei capelli di suo fratello malvisti dalla mamma, i numeri magicamente cancellati dalla rubrica, la zia sempre più pazza e relazioni spoglie di vero amore, il sentire casa diventò una freccia al cuore lanciata dalla vile e sorridente ansia. Salutò impegnandosi con un contrattempo immaginato. Appoggiò il cellulare sulla sedia. Avrebbe voluto lanciarlo contro il muro, sentendo la sinfonia dei mille pezzi infranti sul pavimento invaso dalla polvere di alcuni mesi.


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